1 min read

Nota a Cass. Civ., Sez. I, 15 febbraio 2024, n. 4214.

di Veronica Valeria Loi

Avvocato

Con la sentenza n. 4214 del 15/02/2024, la Suprema Corte si è pronunciata su una  questione ritenuta “di rilievo nomofilattico”, ovvero,l’ammissibilità – e la compatibilità con il principio di unitarietà del rapporto di conto corrente bancario dell’azione di ripetizione dell’indebito in costanza del rapporto di conto corrente bancario (conto c.d. aperto)”, e, di conseguenza, è tornata ad esprimersi anche sulla differenza fra rimesse solutorie e ripristinatorie, oltre ad aver affrontato il tema della valenza probatoria degli estratti conto bancari.

Nello specifico, la vicenda sottoposta all’esame dei giudici di legittimità ha riguardato le censure mosse ad un provvedimento della Corte d’Appello di Messina che aveva rigettato sia l’appello principale proposto dalla Banca sia quello incidentale di una ditta correntista avverso una sentenza del Tribunale messinese.

Il Giudice di primo grado, infatti, aveva dichiarato inammissibile l’azione di ripetizione dell’indebito in costanza di rapporto proposta da una ditta correntista contro la Banca e, previa declaratoria di nullità delle clausole di determinazione degli interessi con rinvio al c.d. uso piazza, di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e di commissione di massimo scoperto, aveva accertato che il conto corrente presentava un saldo a credito per la società correntista di € 347.873,89, con rigetto delle residue domande risarcitorie.

In particolare, la Corte d’Appello aveva condiviso la statuizione di “inammissibilità” dell’azione di ripetizione dell’indebito in costanza del rapporto di conto corrente pronunciata dal Tribunale di Messina sul rilievo «che l’azione di ripetizione dell’indebito di somme illegittimamente addebitate possa essere esperita dal correntista solo dopo la chiusura del conto, poiché fino a quel momento le somme non possono considerarsi ancora “pagate».

Avverso la predetta sentenza, l’Istituto di Credito ha proposto ricorso principale per Cassazione, affidandolo a cinque motivi, a cui ha resistito in giudizio la società correntista con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, nonché memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c.

Con ordinanza interlocutoria n. 5963/2023, è stata disposta la trattazione della causa in pubblica udienzain relazione alla questione, avente rilievo nomofilattico, dell’ammissibilità – e della compatibilità con il principio di unitarietà del rapporto di conto corrente bancario[1]dell’azione di ripetizione dell’indebito in costanza del rapporto di conto corrente bancario (conto c.d. aperto)”.

Rimandando alla lettura del provvedimento per avere piena contezza dei singoli motivi, sia del ricorso principale sia del controricorso, e anche dell’intero iter motivazionale che ha portato la Cassazione a rigettare entrambi i ricorsi, in questa sede, l’attenzione viene focalizzata solo suoi principi espressi dalla Suprema Corte in merito all’ammissibilità e all’interesse del correntista alla domanda di accertamento e di ripetizione dell’indebito nell’ipotesi di conto corrente aperto e sulle statuizioni  relative alla differenza tra rimesse solutorie e ripristinatorie, nonché alla valenza probatoria degli estratti conto bancari.

 

Sull’interesse del correntista all’accertamento giudiziale anche prima della chiusa del conto.

In primis, gli Ermellini – richiamando i principi espressi nella nota sentenza n. 24418/2010 delle Sezioni Unite – ribadiscano che sussiste l’interesse del correntista anche prima della chiusura del conto, e pure in assenza di rimesse solutorie, all’accertamento giudiziale della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con riaccredito delle somme illecitamente addebitate dalla banca”.

Tale accertamento, infatti, secondo la Suprema Corte, mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto[2].

I giudici di legittimità, inoltre, hanno ritenutoerroneala motivazione con cui la Corte d’Apello di Messina aveva affermato che l’azione di ripetizione dell’indebito di somme illegittimamente addebitate” può “essere esperita dal correntista solo dopo la chiusura del conto”, poiché fino a quel momento le somme non possono considerarsi ancora ‘pagate”.

Per la Suprema Corte, infatti,il giudice di secondo grado, (…), nell’indicare le ragioni della ritenuta “inammissibilità” della predetta domanda, non ha, in realtà, correttamente applicato i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 24418/2010 – pur citata nella sentenza impugnata – le quali hanno distinto tra rimesse ripristinatorie della provvista e rimesse solutorie”.

 

Distinzione tra rimesse ripristinatorie della provvista e rimesse solutorie.

A tal proposito, il Supremo Collegio – in perfetta continuità con l’insegnamento della sentenza delle Sezioni Unite del 2010 –  chiarisce che “costituiscono pagamento in senso tecnico (determinando uno spostamento di ricchezza a favore della banca) le c.d. rimesse solutorie, ovvero i versamenti effettuati dal correntista su un conto corrente per il quale vi sia stato uno sconfinamento rispetto al fido concesso (con contratto di apertura di credito in conto corrente) oppure su un conto corrente ab origine non affidato.

Mentre, con riferimento alle rimesse c.d. ripristinatorie, “che affluiscono su un conto non “scoperto” ma solo “passivo” – non essendovi stato sconfinamento rispetto al limite di affidamentonon può parlarsi tecnicamente di pagamento atteso che, con quei versamenti, il correntista si limita a ripristinare la provvista, non determina alcuno spostamento patrimoniale a favore della banca, potendo riutilizzare in qualsiasi momento la somma versata sul conto corrente, che la banca è contrattualmente obbligata a tenere a disposizione del cliente fino alla eventuale revoca dell’affidamento.

I giudici di Piazza Cavour precisano, inoltre, che “se nel corso del rapporto di conto corrente, i versamenti di danaro eseguiti su di esso dal correntista hanno la semplice finalità di ripristinare il fido concesso dalla banca al cliente (in quanto eseguite su un conto affidato e nell’ambito dell’affidamento concesso), di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto[3].

Ecco perché, secondo gli Ermellini, è errato affermare, in via generale, che si può parlare di “pagamenti” solo dopo la chiusura del conto corrente, come, invece, ha fatto la Corte d’Appello.

Tale eventualità si verifica, invero, solo nella situazionein cui siano affluite su un conto affidato solo rimesse di natura ripristinatoria, mentre, ove i versamenti siano eseguiti su un conto “scoperto”, si potrà parlare di pagamento in senso tecnico, anche se questo è avvenuto in costanza di rapporto”.

 

L’azione di ripetizione dell’indebito in costanza di rapporto: il principio di diritto espresso.

La Suprema Corte quindi, ha affermato il seguente principio di diritto:

«l’azione di ripetizione dell’indebito può essere esercitata anche in costanza del rapporto di conto corrente bancario, ma, affinché la pretesa del correntista, cui sia stata illegittimamente addebitata una somma, seguita da un suo versamento, sia qualificabile come ripetizione di indebito pagamento, occorre che quel versamento abbia natura solutoria; in caso contrario non è configurabile un diritto di ripetizione dell’indebito, ai sensi degli artt. 2033 e ss. cod. civ., in capo al correntista, il quale “potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli.

Ma non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo»[4].

 

La problematica del pagamento del saldo attivo del conto corrente.

Altra questione è se il correntista possa disporre delle somme risultanti a suo credito sul conto corrente (anche eventualmente all’esito della intervenuta restituzione sullo stesso conto dei pagamenti che si sono rivelati indebiti).

Ma “la problematica del pagamento del saldo attivo del conto corrente, ancora aperto”, è stata ritenuta estranea al thema decidendum, come cristallizzatosi nel giudizio di primo grado.

La società correntista, infatti, aveva richiesto la ripetizione “delle somme illegittimamente trattenute mediante gli illegittimi addebiti e non il pagamento del saldo positivo del conto corrente, il quale viene determinato considerando anche le annotazioni successive sul conto”.

 

L’onere probatorio e il valore probatorio degli estratti conto.

Infine, per quanto concerne l’onere probatorio, gli Ermellini ribadiscono che ove gli estratti conto bancari prodotti dal correntista siano comunque idonei ad attestare senza soluzione di continuità tutte le rimesse suscettibili di ripetizione verificatisi da un certo periodo in poi, fino da all’estinzione del rapporto (rimanendo sprovvisto di documentazione solo il periodo iniziale), la domanda di ripetizione dell’indebito è accoglibile, previo l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio che prenda come punto di partenza, nell’elaborazione dei conteggi, il saldo del primo estratto conto disponibile[5].

Né tale interpretazione, – sempre secondo la Suprema Corte -, determina una lesione della posizione di parità tra banca e correntista in ordine all’onere della prova”. 

È pur vero, – precisa la Suprema Corte – “che sia la banca che il correntista, nelle rispettive azioni di condanna al pagamento del saldo del conto e di ripetizione dell’indebito, sono entrambe onerate di provare i fatti costitutivi del proprio diritto. Tuttavia, mentre la banca, dal momento che chiede il pagamento del saldo del conto corrente, deve dimostrare come si fosse formato integralmente il proprio credito risultante da tale annotazione contabile, il cliente, nel chiedere la ripetizione delle somme illegittimamente addebitate dalla banca, non è necessariamente tenuto a produrre tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto se i fatti costitutivi del proprio diritto, ovvero i pagamenti e l’inesistenza di una causa che li giustifichi, siano allegati solo a partire da un certo periodo in poi, così dimostrando di accettare per il periodo precedente, in cui non vi sono contestazioni, le annotazioni della banca.

Infine, l’Istituto di Credito aveva dedotto la violazione dell’art. 2697 cod. civ. per erronea ricostruzione del rapporto di conto corrente, lamentando “che il saldo positivo del primo estratto conto prodotto dal correntista non avrebbe potuto essere utilizzato atteso che la mancata produzione degli estratti conto a partire dall’apertura del rapporto avrebbe imposto di azzerare il saldo del conto. Solo nel caso in cui il saldo risultante dal primo estratto conto prodotto fosse stato negativo per il correntista che ha proposto l’azione, tale saldo avrebbe potuto essere utilizzato ai fini della ricostruzione del rapporto”.

Ebbene, anche questo motivo è stato ritenuto infondato, posto che “le censure del ricorrente non considerano che il saldo positivo risultante dal primo estratto conto prodotto dal correntista riguardano un’annotazione contabile che, essendo stata effettuata dalla stessa banca, ha efficacia probatoria nei suoi confronti a norma dell’art. 2709 cod. civ.”.

*****

Breve nota di approfondimento.

I temi affrontati dalla Suprema Corte in questa sentenza non sono certamente nuovi, su di essi gli Ermellini si sono già espressi più volte[6].

Vista però la rilevanza che tali argomenti rivestono nell’ambito del contezioso bancario, appare opportuno soffermarsi sui vari passaggi giurisprudenziali che hanno portato alla riaffermazione del principio espresso nel provvedimento in commento[7].

 

Sull’ “interesse ad agire” del correntista in costanza di rapporto di conto corrente.

Per quanto concerne l’azione di ripetizione dell’indebito in costanza del rapporto di conto corrente bancario (il c.d. “conto aperto”), già nella celebre sentenza delle Sezioni Unite del 2 dicembre 2010, n. 24418, veniva affermato che il correntista, sin dal momento dell’annotazione in conto, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso: e potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli[8]

La Suprema Corte, successivamente, è tornata in diverse occasioni sull’argomento[9], soffermandosi, innanzitutto, sulla sussistenza dell’interesse ad agire del cliente.

In particolare, con ordinanza del 05/09/2018 n. 21646, gli Ermellini hanno riaffermato che il correntista, anche in una situazione … contrassegnata dall’assenza di rimesse solutorie da lui eseguite ha comunque un interesse di sicura consistenza a che si accerti, prima della chiusura del conto, la nullità o validità delle clausole anatocistiche, l’esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in proprio danno e, da ultimo, l’entità del saldo (parziale) ricalcolato, depurato delle appostazioni che non potevano aver luogo”[10].

E la sentenza qui in commento del 15 febbraio 2024, non solo segue pedissequamente l’insegnamento delle Sezioni Unite del 2010, ma dà continuità anche ai vari principi espressi successivamente sull’argomento dai giudici di legittimità.

Pertanto, appare evidente che la sussistenza dell’interesse del correntista ad agire, anche in costanza di rapporto, sia da ritenersi ormai pacifica.

Del resto, come ha evidenziato recentemente il Tribunale di Padova, la richiesta del correntista “corrisponde all’evidente interesse …. non solo di mettere chiarezza in ordine alla legittimità di alcune clausole contrattuali, ma anche di verificare la concreta ricaduta sul conto, ovvero gli effetti dell’eventuale loro illegittimità sul conto corrente, ricostruendo il debito effettivamente sussistente nei confronti dell’istituto. È evidente che se il conto registra alcune poste passive illegittime, fintantoché il saldo sia negativo, dette poste produrranno anche interessi passivi, che il correntista ha tutto l’interesse attuale a non vedersi addebitare (…) Medesimo interesse del correntista va poi affermato con riferimento alla domanda di rettifica del saldo di conto corrente[11].

In sintesi, stando ai principi espressi dalla Suprema Corte, richiamati anche nella sentenza in commento, l’interesse del correntista ad agire rileva, sul piano pratico, almeno in tre direzioni:

  1. quella dell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime;
  2. quella del ripristino, da parte del correntista, di una maggiore estensione dell’affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem;
  3. quella della riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioè, dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito).

Pertanto, “sotto questi tre profili la domanda di accertamento (…) prospetta (…) per il soggetto che la propone un sicuro interesse, in quanto è volta al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, che non può attingersi senza la pronuncia del giudice[12].

D’altro canto, “se si riconosce il legittimo interesse ad ottenere l’accertamento del corretto sviluppo contabile del rapporto, la rettifica del saldo ne è solo una immediata conseguenza: è la fotografia contabile dell’eliminazione o sostituzione degli addebiti riconosciuti come illegittimi”[13].

 

Sulla rilevanza della distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie.

In questo particolare contesto, è evidente la rilevanza che assume la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie. Essa, infatti, costituisce una “qualifica concettualmente determinante per spostare e allocare il quantum delle rettifiche e delle ripetizioni di indebito nelle controversie bancarie[14].

Ed è per questo, come ha osservato un autorevole Autore, che “natura giuridica e sostanza tecnica dei pagamenti sui conti correnti assistiti da un’apertura di credito hanno sempre rappresentato un vivace terreno di confronto (e di scontro) “ideologico” nel diritto bancario, intrecciandosi e sovrapponendosi con il concetto di nullità del titolo e – soprattutto – di prescrizione del diritto di rettifica del saldo e di ripetizione dell’eventuale indebito[15].

Si comprende, quindi, perché la suprema Corte, più volte chiamata ad esprimersi sul punto, ormai da anni, evidenzia quella che deve essere la linea di demarcazione tra le due tipologie di pagamento.

In particolare, sempre le Sezioni Unite del 2 dicembre 2010 a cui, poi, si sono riportate tutte le successive sentenze, inclusa la sentenza del 15 febbraio qui in commento , hanno stabilito cheil discrimine tra le rimesse solutorie e quelle ripristinatorie, al fine di capire quali potranno essere considerate alla stregua di pagamenti (tali da poter formare oggetto di ripetizione ove siano indebiti), va ricercato nella presenza, o meno, di capitale liquido ed esigibile.  In particolare, quando la banca acconsente ad un temporaneo sconfinamento della somma di denaro messa a disposizione (capitale erogato “oltre fido”), il credito che ne deriva risulta liquido ed esigibile nell’immediato, in quanto, in tal modo, esula dalla funzione propria del contratto di apertura di credito. Solo in questa particolare rappresentazione contabile, i versamenti effettuati dal correntista che coprono il capitale concesso “extra fido” (e le pertinenze ad esso riferite) possono essere considerati come rimesse solutorie e, quindi, pagamenti di un credito liquido ed esigibile. Non altrettanto è a dirsi, invece, nelle ipotesi dei versamenti in conto, in quanto la loro sola funzione è quella di ripristinare la disponibilità della provvista di cui l’accreditato può continuare a godere, divenendo liquidi ed esigibili solamente alla chiusura del rapporto contrattuale di conto corrente[16].

Più recentemente, la stessa Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 9141/2020, a cui si è uniformata anche la successiva giurisprudenza di legittimità[17], ha affermato che «per verificare se un versamento effettuato dal correntista nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all’esito della declaratoria di nullità da parte dei giudici delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e, conseguentemente, determinare il reale passivo del correntista e ciò anche al fine di verificare se quest’ultimo ecceda o meno i limiti del concesso affidamento»[18].

Sulla questione i giudici di Piazza Cavour sono tornati anche con l’ordinanza n. 3858 del 2021, ristabilendo “tutti i paletti concettuali della fattispecie, ripercorrendo – quasi a scopo didattico – l’intero iter argomentativo che ha portato a definire l’essenza stessa del ricalcolo del saldo del conto corrente, in caso di vizi negli addebiti da parte della banca[19].

Infatti, in tale pronuncia si ribadisce che il “pagamento in senso tecnico” può essere individuato soltanto laddove vi siano rimesse solutorie, ossia versamenti che il cliente effettua su un conto scoperto (cioè non affidato) oppure oltre i limiti del fido; con le rimesse ripristinatorie, invece, il correntista si limita ad ampliare nuovamente la disponibilità dell’affidamento, non potendosi individuare un pagamento nel senso appena precisato.

È di tutta evidenza, però, come evidenziato anche recentemente dalla stessa Suprema Corte[20], che l’applicazione ai casi concreti dei menzionati principi per la ricostruzione contabile del conto corrente bancario, al fine di individuare la natura delle rimesse effettuate dal correntista, pone un ulteriore problema relativo a quale saldo contabile dovrà essere utilizzato per la ricerca e la individuazione delle rimesse solutorie. Il “saldo banca“, che offre una ricostruzione delle operazioni contabili così come si sono susseguite nel tempo, oppure il “saldo rettificato“, epurato dalle annotazioni illegittime effettuate dall’istituto di credito?

Scelta, questa, che, come è intuitivo, ha notevoli riflessi pratici nei contenziosi bancari aventi ad oggetto (…) la nullità delle indebite annotazioni effettuate dalla banca nel corso di un rapporto di conto corrente con apertura di credito, o comunque scoperto, e la consequenziale azione di ripetizione ex art. 2033 c.c.”[21].

Ebbene, la Suprema Corte, in una recente ed articolata ordinanza, richiamando il dibattito giurisprudenziale sorto in merito alla tipologia di saldo contabile da utilizzare per la ricerca e l’individuazione delle rimesse solutorie, ha affermato che “nelle controversie che hanno ad oggetto l’azione di nullità delle clausole contrattuali e delle prassi bancarie contrarie a norme imperative ed inderogabili e la relativa domanda di ripetizione di indebito con prescrizione decennale, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere affrontata attraverso un iter procedurale che vede, in via preliminare, l’individuazione e la cancellazione dal saldo di tutte le competenze illegittime applicate dalla banca e dichiarate nulle dal giudice di merito e solo successivamente, avendo come riferimento tale saldo “rettificato“, si potrà procedere con l’individuazione della parte solutoria di ogni singolo versamento effettuato dal correntista nel corso del rapporto contrattuale di conto corrente con apertura di credito o comunque scoperto[22].

Non si può non ricordare, inoltre, “che ove venga dedotta la nullità del titolo in base al quale gli interessi sono stati annotati, essendo l’azione di nullità imprescrittibile a norma dell’art. 1422 c.c., l’operazione di rettifica sul conto non può essere sottoposta ad un termine predefinito, essendo legata inscindibilmente all’esito ed agli effetti dell’azione di nullità proposta, con la conseguenza che la rettifica del conto avrà sempre necessariamente luogo, senza limiti di tempo, in caso di accoglimento dell’azione di nullità che abbia dichiarato l’illegittimità del titolo su cui si è fondata l’annotazione sul conto”[23].

Ne consegue che “il dies a quo della prescrizione della condictio indebiti di cui all’art. 2033 c.c., decorrerà solo per quella parte della rimessa sul conto corrente che supererà il limite del fido dopo aver rettificato il saldo[24].

In conclusione, come ha evidenziato il Tribunale di Napoli, “in tema di indebito bancario, l’istituto di credito non ha diritto a quelle annotazioni in conto corrente prive di un valido titolo le quali, addebitate sul conto corrente, vanno stornate ai fini della rideterminazione del reale saldo, a nulla rilevando che le stesse ricadano nel periodo ‘coperto’ da prescrizione. Ciò in quanto la rettifica del saldo di conto corrente non è soggetta a limiti temporali e, in particolare, al termine di prescrizione decennale, che invece interessa la ripetizione delle rimesse solutorie[25].

E quindi, possiamo dire, senza timore di smentita, che in tema di conto corrente bancario sussiste l’interesse del cliente all’accertamento giudiziale, anche (ndr) prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetizione delle somme illecitamente riscosse dalla banca[26].

 

 

 

 

____________________________________________

[1] Si veda: Cass. n. 10127/2005 e Cass. n. 2262/1984.

[2] Cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. VI, Ord. del 05-09-2018, n. 21646.

[3] Si veda Cass. S.U. sent. n. 24418/2010, punto 3.3., pag. 14.

[4] Cfr.: Cass. S.U. sent. n. 24418/2010, cit., pag. 10-11.

[5] Vedi: Cass. sent. n. 11543/2019; vedi anche Cass. n. 35979/2022 e Cass. n. 30882/2018 in parte motiva nell’ultimo capoverso.

[6] Sul tema in giurisprudenza si vedano ex multis: Cass., civ., ord. del 16 marzo 2023, n. 7721; Cass. Civ. Sez. I, ord. del 15 febbraio 2021, n. 3858; Cass. ord. n. 9141 del 2020; Cass. civ., Sez. VI, sent. del 05/09/2018 n. 21646.

[7] Per un approfondimento sull’argomento, si vedano, sempre su questa rivista: M. CHIRONI: Rassegna giurisprudenziale sui profili sostanziali e processuali dell’azione di accertamento del saldo; A. ZURLO: Meglio una giuridica verità, che una bella bugia: sulla necessità di rettificare il saldo di conto corrente – Nota a Trib. Treviso, Sez. III, 4 maggio 2021, n. 809; A. ZURLO: Sulla natura ripristinatoria o solutoria delle rimesse in conto corrente (con apertura di credito), nota a Cass. Civ., Sez. I, 19 maggio 2020, n. 9141; D. GIOVENZANA, Azione di ripetizione indebito e meccanismo di imputazione di pagamento ex art. 1194, 2 co., c.c. – nota a Cass. Civ., Sez. I, 15 febbraio 2021, n. 3858. Si veda anche: F. GRASSELLI: Ricostruzione del corretto dare e avere tra banca e cliente: l’utilizzo del criterio del “saldo rettificato”, anche in caso di mancata disponibilità di tutti gli estratti conto. Le annotazioni su “saldo attivo”, pubbl. su www.dirittobancario.it; A. DI BIASE: La tutela del correntista nel rapporto di conto corrente in itinere – Nota a Trib. di Santa Maria Capua Vetere, Sez. III° Civile, sent. del 20 febbraio 2018, n. 682 per Il Foro Napoletano, pubbl. su https://www.iris.unina.it/.

[8] Cfr.: Cass. Sez. Un. del 2 dicembre 2010, n. 24418, così richiamata in Cass. 21646/2018.

[9] Cfr.: Cass. civ., Sez. VI, ord. del 05/09/2018 n. 21646.

[10] Cfr.: Cass. Civ., Sez. VI, sent. n. 21646/2018, cit. All’uopo si ricorda anche che la Cassazione, qualche mese prima, aveva puntualizzato che “non esiste un diritto alla rettifica del conto autonomo rispetto al diritto di far valere la nullità, annullamento, rescissione o risoluzione del titolo a base dell’annotazione nel conto stesso. L’annotazione nel conto non è altro che la rappresentazione contabile di un diritto, non un diritto a sé; allorché il titolo (generalmente negoziale) alla base di quel diritto viene dichiarato nullo oppure viene annullato, rescisso o risolto, viene meno il diritto stesso, e conseguentemente la nuova realtà giuridica trova una corrispondente rappresentazione contabile”. Gli Ermellini precisavano che “a tale conclusione, per lo più fondata sull’art. 1827 c.c. (“Effetti dell’inclusione nel conto”), si perviene sulla base dei seguenti “passaggi” contenuti nella motivazione delle seguenti, sentenze: Civ. – Sez. Un., sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418: “il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica del conto in suo favore delle risultanze del conto stesso”; Corte Cost., sentenza 5 aprile 2012, n. 78: “In proposito, si deve osservare che non è esatto (come pure è stato sostenuto) che con tale espressione si dovrebbero intendere i diritti di contestazione, sul piano cartolare, e dunque di rettifica o eliminazione delle annotazioni conseguenti ad atti o negozi accertati come nulli, ovvero basati su errori di calcolo. Se così fosse, la norma sarebbe inutile, perché il correntista può sempre agire per far dichiarare la nullità – con azione imprescrittibile (art. 1422 c.c.) – del titolo su cui l’annotazione illegittima si basa, e, di conseguenza, per ottenere la rettifica in suo favore delle risultanze del conto” (Cfr. Cass. ord. del 15 febbraio 2021, n. 3858).

[11] Cfr.: Cfr. Trib. di Padova, sent. del 26/10/2022, Giudice Maria Antonia Maiolino, su ilcaso.it.

[12] Cfr.: Cass. Civ., Sez. VI, sent. n. 21646/2018, cit.

[13] Cfr. Trib. di Padova, sent. del 26/10/2022, cit.

[14] A. LA LUMIA: Rimesse solutorie, rettifica del saldo e prescrizione: la Cassazione fa (ancora) il punto sul concetto di pagamento nei conti correnti affidati, pubblicato su ntplusdiritto.ilsole24ore.com.

[15] A. LA LUMIA: Rimesse solutorie, rettifica del saldo e prescrizione: la Cassazione fa (ancora) il punto sul concetto di pagamento nei conti correnti affidati, cit.

[16] Cfr. Cass., civ., ord. del 16 marzo 2023, n. 7721.

[17] Si veda: Cass. civ., sez. I, sent. n. 3858 del 15 Febbraio 2021.

[18] Con l’ordinanza n. 9141 del 2020, inoltre, “contrariamente a quanto sostenuto dall’orientamento favorevole all’utilizzo del “saldo banca”, la Corte ha espresso, affatto coerentemente, la netta separazione tra l’azione di prescrizione e quella di accertamento della nullità delle competenze illegittime addebitate dalla banca. Infatti, l’individuazione delle rimesse solutorie non ha alcun rapporto di affinità o di collegamento con la prescrizione del diritto alla ripetizione dei pagamenti indebiti effettuati dal correntista: ricalcolare il reale ed effettivo rapporto di dare/avere, eliminando tutte le competenze addebitate dalla banca illegittimamente e quindi nulle, risulta essere una mera operazione preventiva e legittima rispetto a quella di individuazione dei versamenti solutori. Così facendo, infatti, – come si è osservato in dottrina – si viene solamente ad operare una fictio iuris finalizzata a contrappore una realtà giuridica a quella storica offerta dalla banca e, quindi, il disposto dell’art. 1422 c.c., non risulterà violato ma varrà per tutte le rimesse “realmente” solutorie individuate in base al saldo ricalcolato” (Cfr.: Cass., civ., ord. del 16 marzo 2023, n. 7721, cit., che così sintetizza quanto espresso nell’ordinanza n. 9141/2020, cit.).

[19] A. LA LUMIA: Rimesse solutorie, rettifica del saldo e prescrizione: la Cassazione fa (ancora) il punto sul concetto di pagamento nei conti correnti affidati, cit.

[20] Cfr. Cass., civ., ord. del 16 marzo 2023, n. 7721, cit.

[21] Cfr.: Cass. civ., ord. del 16 marzo 2023, n. 7721, cit

[22] Cfr.: Cass. civ., ord. del 16 marzo 2023, n. 7721, cit.

[23] Cfr.: Cass. civ. n. 21646/2018, cit.

[24] Cfr.: Cass. civ., ord. del 16 marzo 2023, n. 7721, cit.

[25] Cfr.: Trib. di Napoli, 07 Novembre 2022. Est. Frallicciardi.

[26] Cfr.: Cass. civ., Sez. VI, ord. del 05/09/2018 n. 21646, cit.

Seguici sui social: