Nota a Cass. Civ., Sez. I, 29 gennaio 2024. n. 2675.
La sentenza in oggetto della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, attiene a un contenzioso in merito alla presunta violazione degli obblighi informativi da parte dell’intermediario convenuto.
Alla base dell’asserita violazione, nello specifico, vi sarebbe la mancata formalizzazione e conseguente sottoscrizione di due contratti-quadro inerente agli Interest Rate Swap (IRS) e collegati ad un sottostante contratto di leasing. Con atto di citazione ritualmente notificato, la medesima società chiedeva la condanna della banca alla restituzione della somma incassata dalla stessa sotto forma di poste passive e corrispondente a complessivi €398.553,30.
Il Tribunale di Torino, in primo grado, dopo aver appurato la mancanza della forma scritta, ha confermato la nullità dei contratti, condannando Intesa Sanpaolo a corrispondere all’attrice l’ammontare complessivamente pari a €524.600,42 oltre interessi legali.
Alla sentenza di primo grado, ha fatto seguito la citazione in appello promossa dalla banca convenuta al fine di veder riconosciuta la validità del contratto di IRS stipulati fra le parti.
La Corte di Appello di Torino, nel merito, ha rilevato che i contratti erano stati perfezionati con la sottoscrizione delle disposizioni di stipula all’interno di uno studio notarile e solo in seguito vi sarebbe stato lo scambio delle lettere di conferma, presso la sede dell’intermediario.
Nonostante venga appurata la presenza della forma scritta del contratto de quo, viene confermata, in appello, la nullità del medesimo, data l’omessa informativa inerente al diritto di recesso che la banca avrebbe dovuto prevedere a salvaguardia del consumatore.
L’Istituto ha presentato ricorso in cassazione al fine di veder riconosciuta la correttezza del proprio operato.
La Corte ha rilevato, in primo luogo, che i contratti sottoscritti rientravano nell’offerta di servizi di investimenti fuori sede e che l’incontro avvenuto presso la sede dell’intermediario, per lo scambio delle conferme, abbia assunto natura puramente ricognitiva e non di conferma degli stessi. La mera ricognizione costituisce, infatti, “manifestazione di scienza e non di volontà”, contrariamente al caso di natura confirmatoria delle medesime lettere e che avrebbe costituito, di fatto, valore negoziale in quanto espressione della volontà delle controparti.
Per quanto attiene all’esercizio dello ius poenitendi, la corte di merito, ha riportato alcuni estratti della decisione delle Sezioni Unite n. 13905/2013, che chiariscono come il diritto di recesso, previsto dal sesto comma dell’art. 30 del D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), e la conseguente previsione di nullità dei contratti (indicata nel settimo comma dello stesso articolo) non si applichino esclusivamente ai casi di vendita fuori sede di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario in favore dell’emittente o dell’offerente. La portata di questa tutela si estende, altresì, a situazioni in cui la vendita fuori sede avvenga nell’esecuzione di un servizio d’investimento diverso, ivi compresa l’esecuzione di ordini impartiti dal cliente purché ricorra la stessa esigenza di tutela.
La peculiarità di un’operazione di investimento perfezionata al di fuori della sede dell’intermediario, secondo quanto dichiarato dalla decisione in disamina, consente di presumere che l’investimento non derivi da una premeditata e consapevole decisione dell’investitore ma sia il risultato di una sollecitazione esterna adoperata dall’intermediario.
Quanto appena prospettato, quindi, non fa altro che confermare come l’esercizio dello ius poenitendi, non sia solo un istituto che consenta all’investitore di recedere da decisioni assunte in assenza di piena consapevolezza, ma garantisca, altresì, che ogni operazione fuori sede rispetti la precipua trasparenza e tutela previste dalla normativa.
Infine, la Corte di Cassazione, effettuando un richiamo alla funzione assolta dai contratti di Interest Rate Swap, quale strumento di copertura dal rischio di interesse, sottolinea la rilevanza assunta dal differente obiettivo per il quale i medesimi contratti sono stati sottoscritti.
In particolar modo, quest’ultimi assolvono ad un duplice obiettivo:
- copertura (hedging), al fine di minimizzare il rischio di tasso derivante dalle possibili fluttuazioni dei tassi di interesse;
- speculazione, al fine di conseguire un profitto.
Nel caso di specie, la Corte afferma che la sottoscrizione degli IRS per fini di copertura potrebbe comportare il venir meno dell’esigenza di tutela dall’aleatorietà del contratto che, di norma, viene attenuata dal medesimo diritto di recesso accordato all’investitore.
Per quanto sopra, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza d’appello, rinviandola al giudice di merito al fine di determinare l’eventuale natura di operazione economica complessa e gli eventuali presupposti per i quali troverebbe giustificazione l’applicazione dello ius poenitendi ai medesimi contratti.
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