Nota a Cass. Civ., Sez. I, 24 gennaio 2024, n. 2338.
Massima redazionale
In tema di nullità negoziali, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la rilevabilità d’ufficio si estende anche a quelle cc.dd. di protezione, in quanto configurabili, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza eurounitaria[1], come una species del più ampio genus rappresentato dalle prime, risultando le stesse volte a tutelare interessi e valori fondamentali che trascendono quelli del singolo, quali il corretto funzionamento del mercato e l’uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica[2]. Tale principio è stato ritenuto applicabile anche ai contratti bancari, in relazione ai quali è stato affermato che la nullità prevista dall’art. 117, commi primo e terzo, TUB per l’ipotesi in cui il contratto non sia stato stipulato in forma scritta si configura come una nullità di protezione, rilevabile anche d’ufficio, stante l’inequivocabile disposto dell’art. 127, comma secondo, TUB[3]. È stato, tuttavia, precisato che, caratterizzandosi le nullità di protezione «per una precipua natura ancipite, siccome funzionali nel contempo alla tutela di un interesse tanto generale (l’integrità e l’efficienza del mercato, secondo l’insegnamento della giurisprudenza europea) quanto particolare/seriale (quello di cui risulta esponenziale la classe dei consumatori o dei clienti)», la rilevazione officiosa delle stesse, in mancanza della quale risulterebbe frustrata o, comunque, sminuita la funzione di tutela del bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole, incontra il limite della conformità del rilievo «al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall’orbita della tutela»[4]. Non può, pertanto, condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, ai fini dell’esclusione della natura ripristinatoria delle rimesse affluite sul conto corrente, ha ritenuto insussistente una apertura di credito, per il solo fatto che gli opponenti non avevano fornito la prova della stipulazione del contratto in forma scritta, affermandone la nullità, per difetto del requisito di cui all’art. 117, comma primo, TUB, senza considerare che la rilevazione di tale vizio, nel caso specifico, non corrispondeva all’interesse della correntista e dei fideiussori, ai quali restava in tal modo precluso l’accoglimento della domanda riconvenzionale: la insussistenza di un affidamento, imponendo di attribuire natura solutoria a tutti i versamenti effettuati sul conto corrente nel corso del rapporto, comportava infatti, conformemente all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità[5], la necessità di ancorare la decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione alla data di effettuazione dei singoli addebiti, anziché a quella (più recente) di chiusura del conto, in tal modo impedendo alla correntista ed ai fideiussori di ottenere la restituzione degl’importi illegittimamente addebitati o corrisposti in epoca anteriore al decennio che aveva preceduto la proposizione della domanda. Non essendo la nullità rilevabile d’ufficio, non poteva conseguentemente ritenersi preclusa ai ricorrenti la possibilità di fornire la prova dell’affidamento attraverso mezzi diversi dalla produzione del documento contrattuale, quali gli estratti conto o i riassunti scalari, attestanti il reiterato adempimento da parte della Banca di ordini di pagamento impartiti dalla correntista, anche in assenza di provvista, le risultanze del libro fidi, attestanti l’esistenza di una delibera di concessione di un finanziamento, o la segnalazione alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, nella misura in cui gli stessi potevano essere considerati idonei a dimostrare l’esistenza di un accordo tra le parti per l’utilizzazione da parte della correntista d’importi eccedenti la disponibilità esistente sul conto ed i limiti di tale utilizzazione.
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[1] Cfr. CGUE, 04.06.2009, C-243/08.
[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 12.12.2014, n. 26242 e 26243.
[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 06.09.2019, n. 22385.
[4] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 12.12.2014, n. 26242.
[5] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 02.12.2010, n. 24418; Cass. Civ., Sez. I, 26.09.2019, n. 24051; Cass. 24.03.2014, n. 6857.
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