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«15 principi di gioco, non solo per il rugby, ma anche per la quotidianità.»
Mi è piaciuto subito, senza conoscere né Autore, né, tantomeno, trama, e senza essere, neppure, un appassionato di rubgy, perché il titolo mi è sembrato, al tempo stesso, un buon promemoria e un buon auspicio.
Le teste di cazz* sono i giocatori che cadono nella pericolosa spirale dell’individualismo, ma anche tutti i componenti di un team, sociale, economico, imprenditoriale, familiare, amicale, disallineati rispetto alla visione comune, che remano sconnessi, con cadenza aritmata; i fori della canoa, anche piccoli, che, col tempo, la sabotano, facendola affondare. 
Il rugby diventa una metafora, così come, del resto, i quindici giocatori in campo divengono altrettanti principi, mutuabili dal campo di gioco in quello, che sa essere ancora più complicato, della vita. Carattere, adattamento, scopo e responsabilità, preparazione, sacrificio, lunguaggio e ritualità, aspettative; ma anche e soprattutto whānau e whakapapa, ovverosia coesione e futuribilità (con tutti i limiti evidentemente riduttivi della traduzione di una concettualità maori molto più ampia). 
La cronaca di James Kerr è un concentrato di situazioni, esempi, modi di essere e di pensare, strategie, attitudini, esercizi, tutti assommati da un unico fil rouge: la necessità di migliorare se stessi, ma non in un’ottica meramente individualistica, quanto di gruppo.
L’obiettivo ultimo deve essere, infatti, lasciare, in eredità, qualcosa di migliore di quanto trovato. Un lascito di esempi concreti, di virtuosismo, di lavoro quotidiano, che passa dai piccoli gesti, magari umili, ma oltremodo efficaci; come pulire lo spogliatoio, che è luogo simbolico, dal quale ci si avvia per i successi in campo. Come piantare un albero, che non si avrà mai modo di veder fruttificare.
 
“Niente teste di cazzo” non è solo la storia, aneddotica, di Gilbert Enoka, Graham Henry, Richie McCaw e Sean Fitzpatrick; è anche la storia di Muhammad Alì, come di Steve Jobs; della Saatchi & Saatchi, come della Boeing; anche di Jonas Salk e del suo non-brevetto del vaccino contro la poliomielite. Di persone, di eroi, che si sono impegnate, responsabilmente, per migliorare, nel loro settore, nella loro attività, l’esistenza. 
Invero, alla fine, tutto si riduce al carattere, al nostro e a quello degli altri, che altro non è se non l’impronta lasciata dalla vita su di noi e da noi su di essa; un darle valore, per valorizzarci.
Perché persone migliori fanno All Blacks migliori, ma anche scienziati, amministratori delegati, imprenditori, banchieri, investitori, avvocati, artigiani, commercianti migliori. E genitori, fratelli, insegnanti, politici, amici e mentori migliori. 

Insomma, persone migliori fanno un mondo migliore. 

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