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Accordo di ristrutturazione dei debiti: strumento di risanamento per l’imprenditore (anche non commerciale)

di Monica Mandico

Mandico & Partners

1. Ratio e soggetti legittimati.

L’art. 57 del D.lgs. n. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza d’ora in poi denominato con l’acronimo CCII) disciplina l’accordo di ristrutturazione dei debiti – d’ora in poi “Accordo” –  uno strumento di risanamento a cui l’imprenditore, anche non commerciale, e diverso dall’imprenditore minore, può ricorre per tentare di ridurre l’esposizione debitoria ed assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria.

Tali accordi sono aperti all’imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici, delle grandi imprese soggette all’amministrazione straordinaria e delle imprese assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa.

Contrariamente, gli accordi di ristrutturazione non si applicano all’impresa minore. Ai sensi dell’art. 2 lett. d) d. lgs. 14/2019 è tale “l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell’art. 348”.

2. Fattispecie.

Il CCII ha introdotto tre diverse tipologie di accordo di ristrutturazione:

  • Accordo standard o ordinario (art. 57), simile a quello disciplinato dalla legge fallimentare all’art. 182bis, in cui i creditori devono rappresentare almeno il 60% dei crediti e l’accordo è soggetto all’omologazione del Tribunale, secondo quanto disposto dall’art. 44 del CCII. Tale accordo oltre a prevedere una moratoria, deve assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei nei seguenti termini: entro 120 giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; entro 120 giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.
  • Accordo agevolato (art. 60), “semplificato” rispetto a quello ordinario che prevede la percentuale del 30% dei creditori (contro il 60% dell’accordo ordinario); l’assenza di  moratoria nel pagamento dei creditori estranei agli accordi (prevista nell’accordo ordinario); e rinuncia alle misure protettive temporanee (che possono essere richieste nell’accordo ordinario).
  • Accordo ad efficacia estesa (art. 61) riprende parzialmente l’art. 182septies della legge fallimentare, ma con una portata soggettiva più ampia, considerato che riguarda anche i creditori non finanziari.

3. Procedura.

Per presentare la domanda di accordo di ristrutturazione, l’imprenditore deve trovarsi in stato di crisi o insolvenza[1].

Durante la procedura, le parti (debitore e creditori) sono tenuti a comportarsi secondo correttezza e buona fede. Nello specifico, il debitore è obbligato da un lato, a illustrare la propria situazione in modo veritiero e completo; dall’altro, a gestire il proprio patrimonio nell’interesse dei creditori. I creditori invece hanno il dovere di collaborare con il debitore, tutelandone la riservatezza.

La domanda si propone con ricorso del debitore. Il Tribunale può accogliere o rigettare la richiesta di omologazione. In caso di accoglimento, il tribunale decide con sentenza che è successivamente notificata e iscritta nel Registro delle Imprese.

Gli accordi di ristrutturazione possono essere omologati anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria quando: l’adesione risulta decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale del 60% (accordo standard) e del 30% (accordo agevolato), la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione finanziaria è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, in base alla relazione del professionista indipendente.

La Corte di Cassazione, Sezione Prima, con sentenza n. 11985/2020[2] si è espressa sul punto stabilendo che in sede di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis LF, il sindacato del giudice fallimentare si estende oltre la mera verifica formale degli adempimenti previsti dalla legge sino a comprendere anche la valutazione della realizzabilità effettiva dell’accordo stesso. Tale principio si inserisce nell’ambito di una recente corrente giurisprudenziale[3] in base alla quale, in sede di omologazione il giudice fallimentare opera un tipo di verifica di legalità non solo formale, ma anche sostanziale, compresa l’effettiva esistenza della garanzia, in termini di plausibilità e ragionevolezza, del pagamento integrale dei creditori estranei all’accordo nei tempi di legge.

Invece, se il tribunale non omologa gli accordi di ristrutturazione, dichiara con sentenza, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, l’apertura della liquidazione giudiziale[4]. L’apertura della liquidazione giudiziale non avviene d’ufficio, ma solo su istanza degli interessati.

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[1] Ai sensi dell’art.2 lett. a) del CCII, con il termine crisi “s’intende lo stato di difficoltà economico-finanziaria che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”. Invece, ai sensi dell’art.2 lett. b), per insolvenza “s’intende lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

[2] V. Corte di Cassazione, 19.06.2020, Rel. Amatore.

[3] Cfr. ult. Cass. Civ. n. 12064/2019.

[4] Ai sensi dell’art.48 comma 6 del CCII se il tribunale non omologa il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione o il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, provvede con sentenza eventualmente dichiarando, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, l’apertura della liquidazione giudiziale secondo quanto previsto dall’articolo 49, commi 1 e 2.

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