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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 15 gennaio 2024, n. 1519.

Massima redazionale

Nella specie, la Corte territoriale, nel delibare la domanda di accertamento della responsabilità del notaio, ha richiamato il principio, per cui «Il notaio incaricato della stipula di un contratto avente ad oggetto diritti reali su beni immobili non può limitarsi ad accertare la volontà delle parti e a sovrintendere alla compilazione dell’atto, essendo tenuto a compiere l’attività necessaria ad assicurare la serietà e certezza dei relativi effetti tipici, e il risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse, dal momento che contenuto essenziale della sua prestazione professionale è l’obbligo di informazione e consiglio»[1]. Il compimento dell’attività necessaria ad assicurare la serietà e certezza degli effetti tipici dell’atto rogato, nonché il risultato pratico perseguito dalle parti, obbliga il notaio non solo a compiere una preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene (nonché, prima ancora, evidentemente, della sua esistenza, specie quando si tratti di diritto reale in re aliena) attraverso l’esame delle risultanze dei registri immobiliari e la loro visura[2], ma lo obbliga anche, più incisivamente, a compiere una verifica di natura tecnica ed essenzialmente giuridica che ricomprende anche la stabilità o meno nel tempo dei titoli giudiziali trascritti, acquisendo informazioni presso la conservatoria dei registri immobiliari sulla loro definitività[3]. In applicazione di tale principio, la Corte territoriale ha proceduto ad accertare se, nel caso concreto, il notaio avesse adempiuto l’obbligo di verificare l’esistenza giuridica del diritto reale di superficie che formava oggetto di trasferimento in base all’atto rogando e, formulando un motivato apprezzamento di merito, ha ritenuto che tale obbligo non fosse stato esattamente adempiuto.

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La decisione impugnata è censurata nella parte in cui, accogliendo la domanda di manleva proposta dal notaio nei confronti della propria assicurazione, aveva condannato quest’ultima a tenerlo indenne, oltre che delle altre somme che egli avrebbe dovuto corrispondere ai clienti, unicamente delle spese di soccombenza (ovverosia, delle spese processuali sostenute dagli attori vittoriosi, al cui rimborso era stato condannato quale parte soccombente), ma non anche delle spese di resistenza, vale a dire delle spese sostenute per resistere all’azione dei danneggiati, poste a carico dell’assicuratore, nei limiti stabiliti dall’art. 1917, c.c. Ebbene, il motivo è fondato, in quanto l’obbligo di rimborso delle cc.dd. spese di resistenza sorge oggettivamente (sempre che ne sia fornita la prova e nei limiti di quanto effettivamente provato)[4], per la sola circostanza che l’assicurato sia stato costretto ad agire o a difendersi in una controversia che abbia causa in situazioni rientranti nella garanzia assicurativa[5].

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[1] Cfr. Cass. 15.02.2022, n. 4911.

[2] Ex multis, Cass. 13.06.2002, n. 8470; Cass. 11.01.2006, n. 264; Cass. 28.11.2007, n. 24733; Cass. 12.06.2020, n. 11296.

[3] Cfr. Cass. 16.03.2021, n. 7283.

[4] Cfr. Cass. 15.09.2023, n. 26683.

[5] Cfr. Cass. 13.10.2022, n. 29926.

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