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Nota a ACF, 17 gennaio 2024, n. 7127.

di Sara Rescigno

Tirocinante ACF

La controversia presa in esame, in relazione alla sottoscrizione di quote di un fondo nell’ambito di un piano di accumulo (cd. PAC), affronta il tema della responsabilità dell’Intermediario per il non corretto adempimento degli obblighi relativi alla prestazione del servizio di consulenza con riguardo all’informativa resa e agli obblighi di verifica dell’adeguatezza dello strumento finanziario rispetto al profilo della Ricorrente.

In particolare, la Ricorrente ha lamentato di aver sottoscritto, dietro insistente consiglio del consulente a lei assegnatole dall’Intermediario, le quote di un fondo nell’ambito di un piano di accumulo (cd. PAC), che prevedeva 36 versamenti mensili da 500 euro, in assenza di informazioni precise e corrette e senza un’adeguata conoscenza ed esperienza per operare sugli strumenti finanziari proposti.

L’Intermediario odierno resistente, nel difendere la correttezza del proprio operato e di quello del consulente tramite il quale ha agito, ha rappresentato di aver correttamente profilato la Ricorrente e di averle proposto un investimento adeguato al suo profilo di rischio, nonché di averle reso tutta l’informativa necessaria prima della sottoscrizione dell’investimento sopra indicato.

Il Collegio, nel decidere la controversia de quo, ha accolto il ricorso nei termini che seguono.

In merito all’inadempimento degli obblighi informativi nella commercializzazione di fondi comuni di investimento rientranti nell’ambito di applicazione della Direttiva 2009/65/CE (cd. Direttiva UCITS), l’Arbitro ha ribadito il proprio consolidato orientamento secondo cui la dimostrazione da parte dell’intermediario dell’avvenuta consegna al cliente del KIID (Key Investor Information Document) è circostanza di per sé idonea a far ritenere correttamente assolti i predetti obblighi.

Nella fattispecie in esame, la Ricorrente non ha contestato di aver sottoscritto il modulo di sottoscrizione dell’investimento, contenente la dichiarazione di aver ricevuto il KIID, ma ha solo affermato di aver concluso la suindicata rischiosa operazione d’investimento dietro insistenza del consulente, il quale le aveva riferito che si trattava di un’ottima scelta di investimento.

Trattandosi di questioni che attengono alla dinamica dei rapporti tra le parti, secondo l’Arbitro, la Ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la fornitura di informazioni diverse da parte dell’Intermediario rispetto a quelle contenute nel KIID, alla luce del costante orientamento dell’ACF, secondo cui le doglianze attinenti alla dinamica dei rapporti tra il cliente ed il personale dell’intermediario non possono essere meramente allegate, ma devono trovare riscontro in idonee evidenze, che è onere del ricorrente fornire, vertendo in tal caso la prova su circostanze che si collocano al di fuori dell’applicazione del principio di inversione dell’onere della prova di cui all’art. 23 del TUF[1].

Le contestazioni relative agli inadempimenti degli obblighi informativi, pertanto, sono state rigettate dal Collegio per i motivi sopra indicati.

In relazione agli obblighi di profilatura della Ricorrente, invece, l’Arbitro ha riscontrato che nel questionario MiFID raccolto un anno prima, il 12 marzo 2021, in tema di propensione al rischio, la Ricorrente aveva un profilo bilanciato, avendo indicato di attendere dagli investimenti una media oscillazione del valore del capitale investito, con un orizzonte temporale degli stessi individuato come prevalentemente o totalmente di lungo periodo.

Tuttavia, detto questionario, ad avviso del Collegio, presentava vari profili di criticità, in quanto non idoneo a raccogliere sufficienti informazioni in merito all’effettiva esperienza della Ricorrente in materia finanziaria, né al relativo “livello” di propensione al rischio.

Con riguardo, infatti, al livello di esperienza e conoscenza in ambito finanziario, l’Arbitro ha rilevato che nel questionario non erano presenti domande concernenti la conoscenza specifica delle diverse tipologie di strumenti finanziari. L’unica domanda presente in punto di esperienza era volta solo ad acclarare se la Ricorrente avesse effettuato operazioni presso altri intermediari finanziari nel corso dell’ultimo anno, domanda alla quale ella risulta aver risposto negativamente.

In ordine all’obbligo di valutazione di adeguatezza degli investimenti, il Collegio ha notato che dal verbale di consulenza, redatto sulla base delle informazioni rilasciate dalla Ricorrente sulla propria situazione finanziaria e sui propri obiettivi di investimento, emergeva una valutazione di positiva adeguatezza dell’investimento, per la presenza del livello di conoscenza ed esperienza ritenuto necessario dall’Intermediario per operare sugli strumenti/prodotti contenuti nel portafoglio.

In tale circostanza, il Collegio ha ribadito che la valutazione di adeguatezza deve essere effettuata dagli intermediari prestatori di servizi d’investimento in conformità alle disposizioni dell’art. 41, comma 1, del Regolamento Intermediari n. 20307/2018[2], nonché alle previsioni dell’art. 54, paragrafo 12, del Regolamento (UE) 2017/565[3].

Orbene, l’Arbitro ha rilevato che, nel caso di specie, la valutazione di adeguatezza non era in

linea con i citati standards normativi, contenendo essa formule generiche che riproducevano, nella sostanza, la definizione stessa dei concetti di appropriatezza e di adeguatezza, senza avere riferimenti specifici alle valutazioni concretamente svolte nella fattispecie.

In particolare, la citata valutazione non ha chiarito perché lo strumento proposto, particolarmente rischioso (con un livello di rischio pari a 6 in una scala di 7 valori), fosse adeguato.

In conclusione, accertata la responsabilità dell’Intermediario relativamente allo svolgimento della valutazione di adeguatezza ed alla raccolta del questionario di profilatura, con riferimento alla quantificazione del danno causato, il Collegio ha innanzitutto ribadito che il continuato possesso dei titoli da parte del cliente, come nel caso di specie, non può essere considerato di per sé ostativo al riconoscimento del risarcimento di un danno, potendo in tali casi farsi applicazione del principio affermato dalla Suprema Corte[4] secondo cui «le conseguenze dell’indebito accollo del rischio al cliente […] cessano – o quanto meno non sono più direttamente riconducibili alla violazione da parte dell’intermediario dei propri obblighi verso l’investitore – a partire dal momento in cui quest’ultimo, adoperando l’ordinaria diligenza cui ciascuno è tenuto nella gestione del proprio patrimonio, sia stato in grado di percepire egli stesso l’esistenza di tali rischi. Quel che accade a partire da quel momento in poi è presumibile sia frutto di una scelta autonoma […] del cliente di conservare la titolarità dei titoli».

L’Arbitro, accogliendo tale principio[5], ha condannato l’Intermediario al risarcimento del danno parametrato alla differenza tra il capitale effettivamente investito con il PAC ed il valore delle quote del fondo detenute dalla Ricorrente.

 

 

 

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[1] Decisione n. 6905 del 13 ottobre 2023.

[2] Cfr., art. 41, comma 1, Regolamento Intermediari n. 20307/2018, secondo cui «gli intermediari che prestano il servizio di consulenza l’obbligo di fornire ai clienti al dettaglio, su supporto durevole e prima che la transazione sia effettuata, una dichiarazione di adeguatezza che specifichi la consulenza prestata e indichi perché essa corrisponda alle preferenze, agli obiettivi ed alle altre caratteristiche del cliente».

[3] Cfr., art. 54, paragrafo 12, del Regolamento (UE) 2017/565, secondo cui gli intermediari «presentano al cliente al dettaglio una relazione che comprende una descrizione generale della consulenza prestata e del modo in cui la raccomandazione fornita sia idonea per il cliente al dettaglio, inclusa una spiegazione di come risponda agli obiettivi e alle circostanze personali del cliente in riferimento alla durata dell’investimento richiesta, alle conoscenze ed esperienze del cliente e alla sua propensione al rischio e capacità di sostenere perdite».

[4] Cfr., Cass. 29 dicembre 2011, n. 29864. Tale principio è stato accolto anche dall’Arbitro con un proprio orientamento, secondo cui il rischio che il perdurante possesso dei titoli possa consentire al cliente di giovarsi dell’eventuale incremento di valore degli stessi rappresenta il “naturale effetto del principio affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale, in caso di mancata tempestiva vendita di titoli, l’investitore, come sopporta il rischio di eventuali ulteriori perdite, si giova anche di eventuali riprese di valore”. Cfr., Decisione ACF n. 7084 del 21 dicembre 2023.

[5] Il principio enunciato dalla Suprema Corte è stato accolto anche dall’Arbitro con un proprio orientamento, secondo cui il rischio che il perdurante possesso dei titoli possa consentire al cliente di giovarsi dell’eventuale incremento di valore degli stessi rappresenta il “naturale effetto del principio affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale, in caso di mancata tempestiva vendita di titoli, l’investitore, come sopporta il rischio di eventuali ulteriori perdite, si giova anche di eventuali riprese di valore”. Cfr., Decisione ACF n. 7084 del 21 dicembre 2023.

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