Nota a Cass. Civ., Sez. V, 8 gennaio 2024, n. 492.
Con ordinanza depositata in data 8.01.2024, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in tema di IRAP, in uno al suo presupposto impositivo, e in accoglimento del ricorso interposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche, ribaltando così l’esito dei giudizi svoltisi nei due precedenti gradi, in cui la contribuente si era vista vittoriosa.
In particolare, la Suprema Corte annulla la sentenza del giudice d’appello sul presupposto dell’omessa valutazione da parte di quest’ultimo delle circostanze presuntive da cui inferire la partecipazione societaria al 50% della contribuente-dottoressa commercialista, insieme al collega e coniuge in alcune società, a cui risultavano intestate fatture riferite ad attività di servizi forniti da ragionieri e periti commerciali, e a cui la contribuente aveva affidato la gestione contabile della propria clientela.
Di seguito i principi espressi dalla Corte.
1. È pacifico in giurisprudenza il principio (cfr. Cass., n. 9774/2023; già Cass.,SS.UU. n.9451/2016, Cass., SS.UU. n.12108/2009) per cui «il requisito dell’autonoma organizzazione -previsto dall’art.2 del d.lgs. 15/09/1997, n.446-, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive». E tutto ciò, aggiunge la Corte, con onere probatorio -in caso di rimborso e in punto di elementi fattuali richiesti in questo senso dalla legge- incombente unicamente sul contribuente.
2. Inoltre: «non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzativa, ma è anche necessario che questa struttura sia “autonoma”, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi bensì anche sotto i profili organizzativi».
Pertanto, nel caso del professionista inserito in uno studio associato, anche ove questo svolga una distinta e separata attività professionale, oltre che diversa da quella esercitata in forma associata, è in capo al professionista «l’onere di dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi recati proprio dalla sua adesione alla detta associazione, che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmente fa conseguire ai suoi aderenti utilità altre e aggiuntive, che non si esauriscono in quelle della separata attività collettiva, in quanto, solitamente, comportano anche altri vantaggi organizzativi».
3. Quanto al profilo della determinazione della base imponibile dell’IRAP, afferma la Corte che il combinato disposto delle norme di legge coinvolte facendo riferimento alla «differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti e quello dei costi sostenuti inerenti alle attività di cui all’art. 49, comma 1, T.U.I.R., senza menzionare quelle di cui al comma 2, lettera a), della medesima disposizione, esclude l’assoggettabilità ad imposizione di quella parte di reddito che un lavoratore autonomo, esercente abitualmente l’attività professionale intellettuale di dottore commercialista, abbia prodotto in qualità di presidente del consiglio di amministrazione di una banca, senza utilizzare la propria autonoma organizzazione (Cass., n. 10594/2007)». Trattasi di principio immutato anche dopo le modifiche apportate dall’art. 34 L. 342/2000, al T.U.I.R. che con l’art. 50, co. 1, lettera c-bis, ha previsto l’inclusione tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente dei redditi derivanti dalle collaborazioni coordinate e continuative, prima inquadrati quali altri redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 49, co.2, lett. a) (Cass., n. 26473/2022).
E così, continua la Corte di Cassazione: «il dottore commercialista che svolga anche attività di sindaco e revisore di società non soggiace ad IRAP per il reddito netto di tali attività, in quanto soggetta ad imposizione è unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata, ma va tenuto fermo l’onere del contribuente di provare la separatezza dei redditi di cui predica lo scorporo (Cass., n. 12052/2018; Cass., n. 17987/2019)».
Al contrario, ove non sia possibile effettuare lo scorporo (i.e. fornire la prova ad opera del contribuente/professionista della separatezza tra le diverse categorie di compensi) dei redditi derivanti dagli incarichi di sindaco, amministratore di società ovvero consulente tecnico, non spetta al professionista il rimborso di imposta, in quanto soggetto sostanzialmente svolgente un’attività unitaria (Cass., n. 3434/2012; Cass., n. 6418/2014; Cass., n. 19327/2016; Cass., n.1712/2017; Cass., n. 12495/2019).
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