Nota a Cass. Civ., Sez. I, 6 ottobre 2023, n. 28148.
La controversia giunge dinanzi alla Corte di Cassazione a seguito dell’esclusione, da parte del giudice delegato di una procedura di fallimento, della domanda di insinuazione al passivo di un credito derivante dal mancato ricevimento del prezzo relativo alla cessione da parte della società ricorrente alla società convenuta di n. 135.000 azioni di una terza società, da corrispondere entro il 31 dicembre 2013 previa garanzia pignoratizia sulle stesse. In particolare, il giudice delegato ha motivato l’esclusione del credito ritenendo che la vendita delle azioni era avvenuta in esecuzione di un contratto preliminare datato 13 novembre 2010 tra la società convenuta e i soci della società terza oggetto della vendita delle azioni, prevedente – inter alia – una opzione di vendita delle partecipazioni in favore di diversi soggetti, tra cui la stessa società attrice. Lo stessa, ha ritenuto che il preliminare, così come l’opzione e la conseguente vendita, fosse da considerare nullo per contrarietà all’art. 2358 c.c. in materia di divieto di assistenza finanziaria, in quanto con esso e coi collegati contratti di appalto e di finanziamento la società terza oggetto di vendita delle azioni, aveva finito per accordare prestiti o garanzie per l’acquisito delle proprie azioni, in assenza delle condizioni di legge. Difatti , si è fatto notare che l’efficacia del contratto preliminare era stata sottoposta alla duplice condizione sospensiva dell’ottenimento, da parte della società oggetto della cessione delle azioni, di un finanziamento bancario di 35 milioni di euro e della stipula di un appalto con la società convenuta per l’esecuzione di opere di comparto. Sicché l’erogazione dell’acconto stabilito nell’appalto aveva consentito alla società convenuta di acquistare le azioni stesse.
La società attrice, in questo senso, propose opposizione allo stato passivo, sostenendo che invece il finanziamento era finalizzato a dotare la suddetta società delle risorse necessarie alla realizzazione del progetto di sviluppo immobiliare perseguito dalla stessa società, sicché le somme ad essa versate a favore della convenuta altro non avevano rappresentato che l’anticipo del prezzo dell’appalto, dopodiché la società attrice aveva esercitato l’opzione contrattuale prevista dal contratto del 2010 e formalizzato la vendita delle proprie azioni alla convenuta, la quale invece non aveva pagato il prezzo. In sede di opposizione la società attrice ha affermato, in particolare, che: (i) l’art. 2358 c.c. è applicabile solo alle erogazioni a titolo di prestito o garanzia, non anche ai corrispettivi o agli acconti di un appalto; (ii) che il credito insinuato al passivo era riferito alla seconda cessione azionaria rispetto a quella iniziale del 70% della partecipazione, una cessione a sé stante, per la quale non erano stati utilizzati gli acconti dell’appalto; (iii) che in ogni caso l’art. 2358 c.c. non avrebbe mai potuto coinvolgere altro che il finanziamento, non anche l’acquisto della partecipazione.
Il Tribunale di Mantova ha respinto l’opposizione così descritta, sulla base della tesi secondo cui: (i) il concetto di dare prestiti andrebbe inteso, anche ai fini dell’art. 2358 c.c., in senso ampio, essendo il divieto di assistenza finanziaria diretto alla tutela dell’effettività del patrimonio sociale; (ii) il credito della società attrice era sì quello relativo alla vendita delle azioni, ma la vendita non poteva dirsi autonoma e indipendente dal resto dell’operazione complessiva, perché già il contratto del 2010 aveva previsto la vendita in opzione e perché il collegamento funzionale tra i contratti era tale da rendere evidente il fine ultimo in effetti perseguito; (iii) quest’ultimo doveva identificarsi con quello di attuare la cessione totalitaria delle azioni della società in questione, già indebitata, mediante l’ottenimento del finanziamento a titolo di mutuo edilizio da utilizzare come pagamento dell’anticipo contrattuale dell’appalto; (iv) la nullità ex art. 2358 c.c., lungi dall’avere come possibile oggetto il semplice finanziamento, ma è tale da travolgere anche l’acquisto delle azioni, altrimenti finendo per essere frustrata la finalità della norma in ordine alla tutela del patrimonio della società target.
La ricorrente, avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi. La S.C. ha ritenuto infondato il sesto motivo di ricorso relativo alla violazione o falsa applicazione degli artt. 2358, 1418 e 1419 c.c. per avere il tribunale erroneamente affermato che la nullità ex art. 2358 c.c. si sarebbe dovuta estendere anche all’acquisto delle azioni, oltre che al mero finanziamento; ha trattato unitariamente i motivi dal secondo al quarto, tutti concernenti il divieto di assistenza finanziaria di cui all’art. 2358 c.c. e, infine, ha ritenuto assorbiti gli altri motivi. Nella trattazione della questione la Corte ha ritenuto utile una premessa in iure sul tema cardine della controversia del divieto di assistenza finanziaria della società di capitali per l’acquisto di azioni proprie. In particolare è stato rilevato che la norma nella sua attuale formulazione, ad esito del recepimento della Direttiva Comunitaria 2007/68 differisce rispetto al testo previgente, allorquando la stessa era congegnata in modo tale da prevedere un divieto di assistenza finanziaria in termini assoluti, interpretando la stessa come volta a preservare il capitale della società a fronte di possibili condotte di annacquamento, e su tale scorta secondo orientamento costante della medesima Corte, la norma nella vecchia formulazione era sostanzialmente posta a tutela dell’effettività del patrimonio sociale, ritenendo vietata qualsiasi forma di agevolazione finanziaria, e di riflesso accordando la nullità (virtuale) sia del contratto di finanziamento sia del contratto di acquisto delle azioni come conseguenza della violazione della norma imperativa.
Diversamente, alla luce dell’attuale formulazione, che consente l’assistenza finanziaria ma solo in presenza di determinate condizioni, l’orientamento suddetto è stato messo in discussione da una parte della dottrina in base all’assunto, fatto proprio anche dalla società ricorrente, che l’operazione di assistenza finanziaria non è più vietata in senso assoluto.
La Suprema Corte, sottolinea che il divieto (non più assoluto) posto dall’art. 2358 c.c. è ancora oggi posto a presidio di interessi generali, quali sono quelli dei terzi e dei creditori alla integrità patrimoniale della società, e ciò induce a ritenere che l’operazione realizzata in violazione di tale disposizione dia luogo all’inosservanza di una norma imperativa di grado elevato, tesa a tutelare interessi di sistema. Così, anche a fronte della nuova formulazione, la Suprema Corte ha ritenuto confermare l’orientamento tradizionale per cui il mancato rispetto del divieto, laddove difettino le condizioni stabilite dalla legge, produce la nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c. dell’operazione di assistenza finanziaria nel suo complesso, e proseguendo, sulla base di tale assunto, la stessa ha affermato il principio fondamentale secondo cui sono da considerarsi sempre affetti da nullità gli atti contrari a norme imperative dirette a tutelare interessi di carattere generale, e tali sono quelli dei terzi e dei creditori sociali a che le operazioni di assistenza finanziaria, in violazione dell’art. 2358 c.c., non abbiano a depauperare il patrimonio della società e, di conseguenza, proprio perché riferita all’intera operazione di assistenza finanziaria, la sanzione di nullità si propaga anche al contratto di acquisto delle azioni in virtù dell’evidente connessione funzionale.
La Corte, così ricostruita in diritto la questione controversia, nel motivare l’accoglimento dei motivi di ricorso sopra indicati, conclude statuendo che: (a) il divieto di cui all’art. 2358 c.c. è finalizzato a impedire quei prestiti che siano preordinati all’acquisto di azioni proprie; (b) la sanzione della nullità si propaga all’atto di acquisto, alla specifica condizione che sia individuabile il collegamento funzionale tra l’acquisto delle azioni e la erogazione del finanziamento; (c) il collegamento ricorre quando gli atti, sebbene formalmente distinti, risultino interdipendenti al punto che l’uno serve oggettivamente alla realizzazione dell’altro, considerata l’operazione economica nel suo complesso; (d) la prova del collegamento funzionale, per quanto non necessariamente emergente dai contratti e suscettibile di palesarsi in base a indici anche presuntivi, deve in ogni caso essere fornita a onere di chi intenda far valere la nullità dell’operazione nel suo complesso.
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Praticante Avvocato presso Giovannelli e Associati,