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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 21 dicembre 2023, n. 35676.

Massima redazionale

Nel caso di specie, con il primo motivo di ricorso, si denunciava la violazione o falsa applicazione dell’art. 1284 c.c. e degli artt. 116, 117, 121 e 124 TUB, dal momento che il Tribunale aveva ritenuto che l’erronea quantificazione dell’indice sintetico di costo (ISC) non comporti la maggiore onerosità del finanziamento e, quindi, non consenta l’applicazione dell’art. 117, comma 6, TUB.

A giudizio della Prima Sezione Civile, il motivo è infondato. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha già stabilito che, in tema di contratti bancari, l’indice sintetico di costo (ISC), corrispondente al tasso annuo effettivo globale (TAEG), è solo un indicatore sintetico del costo complessivo dell’operazione di finanziamento: la mancata indicazione dell’indice, dunque, di per sé non determina una maggiore onerosità del finanziamento, ma solo l’erronea rappresentazione del costo globale di esso, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencati in contratto[1].

L’indice sintetico di costo, o indicatore sintetico di costo (ISC), o tasso annuo effettivo globale (TAEG), difatti, rappresenta il costo effettivo dell’operazione, espresso in percentuale, che il cliente deve alla società che ha erogato il finanziamento: consequenzialmente, racchiude contemporaneamente il tasso d’interesse in regime di capitalizzazione composta, e tutte le spese accessorie della pratica (spese d’istruttoria, imposte di bollo, ecc.). Ciò posto, esso si traduce in una formula sintetica, d’immediata intelligibilità, che esprime l’incidenza dell’interesse e di tutti i costi accessori e che, per conseguenza, risponde a funzione informativa, volta a consentire al cliente di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi e di renderlo consapevole dell’effettiva onerosità dell’operazione[2].

Non configura «tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati» (art. 117, comma 4, TUB), e la pattuizione relativa non rientra nel novero delle clausole «che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati» (art. 117, comma 6, TUB).

Non trova, quindi, attuazione il successivo comma 7 della medesima disposizione, il quale, in caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, comporta l’applicazione:

  1. a) del tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione;
  2. b) degli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è effettuata o il servizio viene reso.

Del pari, non trova applicazione, peraltro, l’art. 124 TUB, sul quale ha fatto leva il Tribunale; invero, a norma dell’art. 122 TUB, le disposizioni contenute nel Capo II del Titolo VI del suddetto d.lgs., intitolato al “Credito ai consumatori”, non si applicano nei casi di «e) finanziamenti destinati all’acquisto o alla conservazione di un diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato; f) finanziamenti garantiti da ipoteca su beni immobili…».

La disciplina interna è, d’altronde, conforme a quella unionale, posto che la Direttiva n. 87/102/CE, vigente all’epoca dei fatti, appunto prevedeva (art. 2, paragrafo 1) che «La presente direttiva non si applica: a) ai contratti di credito o di promessa di credito: – destinati principalmente all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o un immobile costruito o da costruirsi…». Successiva è la Direttiva n. 2014/17/UE, relativa ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, recante modifica delle Direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del Regolamento (UE) n. 1093/2010, e volta a garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivano contratti di credito relativi a beni immobili (considerando 15), la quale stabilisce invece (art. 3, paragrafo 1) che «La presente direttiva si applica ai: a) contratti di credito garantiti da un’ipoteca o da un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali oppure da un diritto connesso ai beni immobili residenziali; e b) contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata». Come noto, questa Direttiva è stata attuata con il D.lgs. n. 72/16, che ha comportato l’introduzione del capo Ibis del Titolo VI del TUB, intitolato al “Credito immobiliare ai consumatori”, e che è inapplicabile ratione temporis.

Da ultimo, l’erronea indicazione dell’indice sintetico di costo o TAEG non incide sulla validità del contratto[3], integrando la violazione di una regola di condotta della banca e, segnatamente, del dovere di informazione trasparente delle condizioni del contratto di mutuo applicate alla clientela, la quale può quindi dar luogo soltanto a responsabilità precontrattuale o contrattuale. Come correttamente affermato dal giudice di primo grado, l’unico rimedio di cui si può avvalere il mutuatario, al quale siano state applicate condizioni più sfavorevoli di quelle pubblicizzate dalla banca, è di natura risarcitoria (sempre che egli sia in condizione di provare di aver subito un pregiudizio, nonché il nesso di causalità tra condotta scorretta della banca e danno)[4]. Nel caso in esame, il ricorrente non ha fatto leva su quest’inadempimento, né sul relativo corredo risarcitorio (essendosi limitato a sostenere che l’errata indicazione dell’indice sintetico di costo avesse determinato la nullità della pattuizione concernente gli interessi corrispettivi).

 

 

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[1] Cfr. Cass. n. 39169/2021.

[2] Cfr. Cass. n. 4597/2023; Cass. n. 14000/2023.

[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 26724/2007.

[4] V. Cass. n. 4597/2023; Cass. n. 14000/2023.

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