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Nota a Trib. Bari, Sez. IV, 7 dicembre 2023, n. 5082.

Segnalazione a cura dell'Avv. Massimo Melpignano.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

«Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.»

(Fosco Maraini, Il Lonfo)

 

Nel caso di specie, gli attori sostenevano che tutti gli investimenti posti in essere su sollecitazione da parte della Banca Popolare convenuta fossero inadeguati, tanto in termini di quantificazione del rischio associato allo strumento, quanto per la natura illiquida; nello specifico, veniva eccepita la violazione degli artt. 21, comma 1, e 23 TUF, nonché degli artt. 27, 28 e 29 Regolamento Consob n. 11522/1998, degli artt. 31, 39 e 40 Regolamento Consob n. 16190/2007, degli artt. 1418, comma 2, 1325 e 1343 c.c. e, da ultimo, della Comunicazione Consob n. 9019104, del 2009.

La Banca Popolare, chiedendo il rigetto integrale della domanda, evidenziava come gli attori avessero formulato richiesta di ammissione alla compagine sociale (con la sottoscrizione di apposito modulo), fosse presente la dichiarazione in merito alla puntuale ricezione delle informazioni relative agli investimento e, rispetto a tale ultimo profilo, nonostante l’informativa circa il superamento della soglia di concentrazione (nella specie, pari al 45%), gli investitori avevano autorizzato ugualmente l’operazione (dichiarando di essere stati adeguatamente informativi sul conflitto di interessi sotteso all’investimento). L’Istituto contestava anche l’applicabilità della richiamata Comunicazione Consob, «trattandosi di investimenti di natura differente rispetto a quelli cui la suddetta comunicazione si riferisce.».

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Il Tribunale di Bari, senza soluzione di continuità con i più recenti pronunciamenti aventi medesimo oggetto, ritiene la domanda attorea (parzialmente) fondata e meritevole di accoglimento. In via del tutto preliminare, riafferma l’orientamento consolidato per cui «in materia di compravendita di strumenti finanziari, l’investitore, a seguito dell’inadempimento dell’intermediario ai propri obblighi di informazione, imposti dalla normativa di legge e di regolamento Consob e derivanti dalla stipula del cd. contratto quadro, può domandare la risoluzione non solo di quest’ultimo ma anche dei singoli ordini di investimento aventi natura negoziale e tra loro distinti e autonomi quando il relativo inadempimento sia come nel caso di specie di non scarsa importanza»[1].

Ciò posto, in punto di prescrizione, devono essere rigettate le eccezioni formulate dalla Banca convenuta. Invero, trattandosi di responsabilità contrattuale, vertendosi in materia di inadempimento degli obblighi imposti all’intermediario finanziaria nell’acquisto di titoli, il termine prescrizionale è quello ordinario (decennale), non ancora decorso nel caso di specie; ove, per converso, dovesse inquadrarsi la fattispecie nell’alveo della responsabilità extracontrattuale e/o precontrattuale (ai sensi dell’art. 1337 c.c.), nessun diritto sarebbe, del pari, prescritto, dal momento che, in ossequio alla giurisprudenza di legittimità, «il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non già dalla data del fatto, inteso come fatto storico obiettivamente realizzato, bensì da quando ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all’avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi dal medesimo conosciuti e conoscibili»[2]. Ebbene, nel caso di specie, tale data può, alternativamente, farsi coincidere:

  • con la pubblicazione delle prime delibere sanzionatorie nn. 20583 e 20584 di CONSOB, di censura della violazione da parte della Banca di tutta una serie di obblighi informativi relativamente alla determinazione del prezzo dell’azione, nel corso dell’aumento di capitale del 2013 (a cui hanno aderito gli attori);
  • con l’assemblea del 29 aprile 2016, quando il valore dell’azione è repentinamente e improvvisamente sceso a euro 7,50 cadauna;
  • con la data dell’ultimo estratto conto.

Per come prospettata da parte attrice, la responsabilità della convenuta deve essere inquadrata come contrattuale, posto che sono stati sollevati vizi relativi al contratto; la prescrizione deve, consequenzialmente, considerarsi decennale.

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Tutto ciò premesso, nel merito, il giudice barese rileva come, nel primo questionario, del 2009, la Banca non avesse attribuito uno specifico profilo di rischio agli investitori, che non avevano risposto a 3 delle 11 domande: il CTU ha ritenuto che si trattasse di un “profilo piuttosto avverso al rischio”. Nei due questionari successivi, del giugno 2010 e del maggio 2014, la Banca ha proceduto con l’attribuzione di una propensione al rischio medio-alta (nel primo caso) e un profilo di rischio medio-basso, con esperienza finanziaria media (nel secondo); ne esitava che la Banca ritenesse i due clienti-investitori disposti a operare in strumenti finanziari anche nel lungo termine, circostanza inverosimile in precipua considerazione dell’età avanzata di entrambi, all’epoca della sottoscrizione. Per il Tribunale, il diverso profilo attribuito, in un range temporale comunque contenuto (si badi, medio-alto nel 2010 e medio-basso nel 2014), pur in costanza delle medesime risposte fornite ai questionari, rappresenta una ulteriore anomalia.

Il CTU (in risposta alle osservazioni del CTP della convenuta) ha evidenziato come la profilatura medio-alta, nel questionario del 2010, apparisse incongruente rispetto all’obiettivo di investimento espresso, considerando che, nell’ultimo questionario, del 2016 (successivo agli investimenti oggetto di controversia), la Banca ha reiterato l’attribuzione di un profilo medio-basso, già attribuito nella precedente profilatura del 2014. Nel contratto-quadro del 2004 emerge una propensione al rischio media e non risultano fornite informazioni relative a esperienza in strumenti finanziari, situazione finanziaria degli investitori, obiettivi di investimento, tutte informazioni rilevate nel successivo contratto-quadro del 2010.

Nel febbraio 2013 veniva autorizzata, per il tramite di un modulo prestampata, un’operazione di aumento di capitale sociale, sebbene il livello di concentrazione sul rischio emittente avesse superato la soglia di alert del 45%.

Il CTU ha, inoltre, precisato come le operazioni di investimento contestate appaiano complessivamente rischiose e inadeguate alle caratteristiche del cliente, anche in ragione della mancata diversificazione del portafoglio, composto esclusivamente da strumenti finanziari non quotati, emessi dalla Banca Popolare, in quanto un evento negativo legato alla società emittente avrebbe certamente influenzato negativamente il rendimento di tutti i titoli presenti in portafoglio.

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Quanto al rispetto degli obblighi informativi in generale, la disciplina dettata dal TUF e dal successivo regolamento attuativo CONSOB n. 11522/1998 pone a carico dell’intermediario finanziario, quale soggetto tenuto ad agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato (art. 21, lett. a), TUF, art. 26, lett. e), Reg. CONSOB n. 11522/1998 e art. 1176 c.c.),  l’obbligo di tutelare l’interesse dei clienti, ove tale obbligo si concretizza anche nel dovere di segnalare al cliente la natura del rischio dell’investimento che si accinge a fare (cfr. artt. 5 e 21, lett. a), TUF e art. 47 Cost.). Gli obblighi gravanti sull’intermediario finanziario in base alla disciplina del TUF vengono individuati nell’obbligo di informarsi sul tipo di prodotto finanziario negoziato, sul profilo di rischio da attribuire al cliente, nonché nell’obbligo di informare il cliente in ordine alla tipologia e all’affidabilità dell’investimento e, dunque, in ordine all’adeguatezza dello stesso al suo profilo di rischio. Concretamente la Banca deve, quindi, innanzitutto informarsi e conoscere i dati relativi alla rischiosità dell’investimento da lei proposto o richiesto dall’investitore, e, successivamente, riferirli al cliente, indipendentemente dal fatto che l’investimento sia stato proposto dalla Banca o che sia stato il cliente-investitore a ordinare le operazioni da effettuare. Il contenuto dello specifico obbligo dell’intermediario è quello di assumere informazioni da parte dell’investitore, funzionale all’adempimento dell’ulteriore obbligo della Banca, prima di eseguire gli ordini di negoziazione impartitigli, di fornire al cliente un’informazione che lo metta in grado di comprendere appieno le caratteristiche essenziali dell’operazione, con riguardo a costi, rischi patrimoniali e adeguatezza della stessa, nonché di verificare il livello di consapevolezza da parte del cliente del rischio assunto e l’adeguatezza dell’operazione.

Qualora l’intermediario valuti un’operazione come non adeguata, a questa può dare corso solo in forza di un ordine impartito per iscritto dal risparmiatore, in cui venga fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute[3]. La giurisprudenza di legittimità è unanime nel ritenere che, in tema di intermediazione finanziaria, anche quando la diffusione di strumenti finanziari avvenga mediante l’attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, la tutela del cliente è comunque affidata all’adempimento, da parte dell’intermediario, di obblighi informativi specifici e personalizzati, ai sensi degli artt. 21 ss. TUF e 26 ss. Regolamento CONSOB n. 11522/1998.

È noto che l’art. 23, comma 6, TUF dispone che «nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.». In tema di violazione degli obblighi di diligenza e conseguente riparto dell’onere probatorio nei giudizi di risarcimento del danno (nello svolgimento dei servizi di intermediazione finanziaria), la giurisprudenza di legittimità ha statuito che non possa ritenersi assolto l’onere di comprovare di avere agito secondo la diligenza richiesta, non potendosi attribuire alcuna rilevanza al profilo di rischio dell’investitore, alla sua esperienza in materia «perché le informazioni da trasmettere al cliente devono essere concrete e specifiche in riferimento ad ogni singolo prodotto di investimento e le stesse, nella specie, andavano comunque fornite, indipendentemente dalle inclinazioni al rischio dell’investitrice e dal peso dell’investimento rispetto al patrimonio complessivamente investito, perché proprio sulla base delle informazioni fornite dall’intermediario, l’investitore avrebbe selezionato quelle, secondo lui, con maggiori probabilità di successo»[4]. In punto di onere di allegazione del cliente, il Tribunale di Bari si pone, senza soluzione di continuità, con l’orientamento[5], per cui «In tema di intermediazione finanziaria, la disciplina dettata dall’articolo 23, comma 6, del D.lgs. n. 58 del 1998, in armonia con la regola generale stabilità dall’articolo 1218 c.c., impone all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonché di fornire la prova del danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatori poi pregiudizievole; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute».

In definitiva, l’investitore deve allegare l’inadempimento dell’intermediario alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal TUF e dalla normativa secondaria, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; per converso, l’intermediario deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute, e di aver agito con la specifica diligenza richiesta[6]. Laddove l’intermediario non porti detta doppia prova positiva, sarà tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore[7].

Dalla funzione sistematica dell’obbligo informativo scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso eziologico tra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, poiché anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa, nell’ambito delle opzioni omogenee offerte dal mercato, anche alla luce dei fattori di rischio segnalatigli[8].

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Nel caso di specie, gli attori hanno addotto di aver ricevuto solo parte della documentazione (peraltro, a seguito di numerosi solleciti). L’intermediario, quando presta servizi di investimento diversi dalla consulenza in materia di investimenti e dalla gestione di portafogli, richiede al cliente (o potenziale cliente) di fornire informazioni in merito alla conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio proposto o chiesto. A tal riguardo, l’art. 42 Reg. CONSOB, in relazione alla valutazione di appropriatezza, prevede che, ove il cliente scelga di non fornire le informazioni di cui al precedente art. 41 o, ancora, qualora tali informazioni non siano sufficienti, gli intermediari avvertono il cliente che tale decisione si risolverà in un impedimento di determinare se il servizio o lo strumento sia appropriato. Al contempo, la giurisprudenza ha reiteratamente affermato che i documenti informativi devono essere caratterizzati da contenuti concreti, relativi alle specifiche operazioni da compiere, di talché la semplice consegna di documentazione generale, non attagliata ai singoli titoli negoziati, non sostituisce l’ulteriore obbligo, ex art. 28, comma 1, lett. a), che impone all’intermediario finanziario di chiedere al cliente notizie specifiche (segnatamente, su esperienza, situazione finanziaria, obiettivi, propensione al rischio), né, tantomeno, quello di cui all’art. 28, comma 2, che pone in capo all’intermediario l’obbligo di fornire informazioni adeguate, in relazione alla singola operazione da compiere (ferma restando ogni ulteriore valutazione in ordine al diverso profilo dell’adeguatezza).

Nella specie, la Banca Popolare aveva l’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione, in forza del condivisibile principio per cui «in tema di intermediazione mobiliare, l’intermediario finanziario, convenuto nel giudizio di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi, non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione di investimento nel caso in cui l’investitore, nel contratto-quadro, si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio, nel qual caso l’intermediario deve comunque compiere quella valutazione, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso (come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato)»[9].

Quanto alla valutazione che la Banca avrebbe dovuto diligentemente compiere, è emerso che la percentuale di concentrazione di strumenti finanziari emessi dalla medesima, rispetto al totale dei titoli immessi in portafoglio, è pari al 100%. Tenuto conto dell’età degli investitori, dell’omessa documentazione di pregressi e importanti investimenti speculativi, della mancata emersione di consistenti risorse o patrimoni, tali da far ritenere sostenibile il rischio connesso all’investimento azionario, senza compromissione dei risparmi, la concentrazione degli investimenti sul medesimo titolo, non quotato sui mercati regolamentati, con rischio di liquidità, integrava operazione non adeguata agli investitori. La mancata segnalazione di tale circostanza costituisce un inadempimento grave agli obblighi informativi gravanti sulla convenuta.

La stessa concentrazione (si badi, esclusiva, al 100%) su titoli finanziari emessi dalla stessa Banca convenuta ha determinato una perdita totale, che verosimilmente non si sarebbe verificata se la concentrazione fosse stata diversificata. Perdita dalla quale sorge il diritto al risarcimento del danno.

Censurabile è risultata la condotta dell’intermediario anche in relazione alla somministrazione dei questionari MiFID, due compilati prima della sottoscrizione delle operazioni di investimento e due somministrati successivamente; la sottoscrizione del documento sui rischi generali degli investimenti non è sufficiente a liberare l’intermediario dall’obbligo di fornire un’informazione specifica e completa sulla natura dei prodotti finanziari, sulla loro rischiosità e sulla loro adeguatezza, rispetto al profilo degli investitori.

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Fondata è la domanda di risoluzione dei singoli ordini di acquisto per inadempimento della Banca, ai sensi dell’art. 1453 c.c. Invero, l’omissione di informazioni sufficienti è da considerarsi come inadempimento grave, in considerazione dell’assoluta simmetria informativa in cui agiscono le parti contrattuali e in ragione del fatto che l’investitore non professionale ripone affidamento nella professionalità degli intermediari e nell’affidabilità delle informazioni da questi fornite (dal momento che agiscono sulla base di informazioni e di una esperienza cui il cliente non ha accesso). Dalla non scarsa importanza dell’inadempimento consegue il diritto alla risoluzione del contratto o, anche, delle singole operazioni di investimento.

Sussiste, altresì, il nesso di causalità tra inadempimento e danno: dall’obbligo informativo preordinato a una riequilibratura dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti, scaturisce una presunzione legale di sussistenza dell’eziologia tra inadempimento informativo e nocumento; presunzione suscettibile di prova contraria, che, non può, pur tuttavia, consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore. Non avendo, nella specie, parte convenuta offerto prove idonee per potersi ritenere superata la presunzione che le perdite subite dagli attori siano riconducibili al proprio inadempimento nell’assolvimento dei propri obblighi informativi, il nesso causale deve essere confermato.

 

 

 

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[1] Cfr. Cass. n. 9382/2018; Cass. n. 18122/2020; Cass. n. 12937/2017.

[2] Cfr. Cass. n. 21255/2013; Cass. n. 11119/2013.

[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 15 marzo 2016, n. 5089.

[4] Cfr. Cass. n. 15709/2019.

[5] Cfr. Cass. n. 3773/2009; Cass. n. 810/2016; Cass. 4727/2018; Cass. n. 10111/2018; Cass. n. 13265/2019; Cass. n. 14335/2019.

[6] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 19 gennaio 2016, n. 810.

[7] Cfr. Cass. n. 18039/2012.

[8] Cfr. Cass. n. 7905/2020.

[9] Cfr. Cass. n. 5250/2016.

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