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Nota a Cass., Civ., Sez. I, 27 ottobre 2023, n. 29840.

Con la sentenza del 27 ottobre 2023 n. 29840 gli Ermellini si sono soffermati, ancora una volta, sull’importante ed assai critico tema dell’abusiva concessione del credito alle imprese [1] e sulla vexata quaestio della legittimazione attiva del curatore fallimentare ad agire nei confronti delle banche per i danni derivanti da tale condotta abusiva [2], ribadendo i principi già espressi dalla Cassazione nel 2021, e dalla stessa Corte riaffermati anche a gennaio di quest’anno [3].

Nello specifico, la vicenda sottoposta all’esame dei giudici di legittimità prende le mosse dal diniego del Giudice delegato del Tribunale di Rimini all’ammissione al passivo del fallimento di un credito vantato da un Istituto bancario nei confronti di una s.r.l., credito derivante dall’erogazione di un finanziamento, a rogito notarile, avvenuta a mezzo di un’apertura di credito, regolata su distinti conti correnti ed assistita da ipoteca volontaria.

Il Giudice delegato rilevava che l’Istituto bancario «aveva fatto luogo all’erogazione del credito (…)  allorché era patente lo stato di insolvenza della s.r.l.; che dunque la banca era stata concorrente, con gli organi di gestione e di controllo della società poi fallita, nell’aggravamento del dissesto patrimoniale e finanziario». Inoltre, veniva messo in evidenza che l’ingente finanziamento era stato erogato nonostante «l’esiguo ammontare (…) e la modesta consistenza (…) del complesso immobiliare sul quale era stata iscritta ipoteca a garanzia dell’obbligazione restitutoria». Il Giudice sottolineava, infine, che «il curatore fallimentare si era riservato il diritto di agire in responsabilità» nei confronti della Banca, «in concorso con gli amministratori ed i sindaci, onde far valere la propria pretesa risarcitoria, di ammontare superiore all’importo del credito per il quale era stata invocata l’ammissione al passivo».

Al che, l’Istituto di Credito proponeva opposizione allo stato passivo, opposizione che veniva, però, rigettata dal Tribunale.

Avverso tale decreto, l’Ente Creditizio proponeva ricorso in Cassazione, chiedendone, sulla scorta di quattro motivi, la cassazione, con ogni susseguente statuizione.

In particolare, per quel che qui interessa, con il primo motivo la ricorrente aveva denunciato il vizio di motivazione per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e per omesso esame di tutte le circostanze del caso.

Ebbene, la Suprema Corte ha accolto, in parte, il primo motivo di ricorso e ha cassato, «in relazione e nei limiti dell’accoglimento del primo motivo di ricorso» il decreto del Tribunale di Rimini «con rinvio allo stesso Tribunale in diversa composizione», dichiarando assorbiti «nell’accoglimento (…) gli altri motivi del ricorso».

 

Sulla legittimazione del curatore del fallimento.

Col primo motivo, innanzitutto, l’Istituto di Credito aveva dedotto l’erronea valutazione del Tribunale in merito alla «legittimazione del curatore ad invocare, in via di eccezione di compensazione, il ristoro del danno da asserita abusiva concessione di credito». 

La Cassazione ha ritenuto infondata tale censura. Secondo i Giudici di legittimità, invero, il «curatore fallimentare è innegabilmente legittimato ad azionare la responsabilità che si correla al danno patrimoniale sofferto dall’imprenditore finanziato, in quanto (il curatore) gestore ex art. 31 l.fall. del patrimonio del fallito e dunque abilitato ad azionare ex artt. 42 e 43 l.fall. un diritto soggettivo già radicato nel patrimonio dell’imprenditore finanziato poi fallito».

Infatti, secondo la Suprema Corte, nel caso specifico, «il Tribunale ha circoscritto e commisurato la (concorrente) responsabilità» dell’Istituto bancario, «al danno cagionato al patrimonio sociale».

Gli Ermellini hanno specificato che, sebbene «il giudice a quo ha riferito il fenomeno della concessione abusiva del credito anche ai creditori della società, i quali possono – anch’essi – subire i danni da siffatta illecita condotta eventualmente atti a scaturire (…), tuttavia (…), in sede di delibazione della concreta fattispecie – che involge propriamente non già l’ipotesi dell’indebito mantenimento della linea di credito dapprima concessa bensì l’ipotesi dell’abusiva concessione ab origine del finanziamento – il giudice a quo ha, appunto, circoscritto il pregiudizio in tal guisa rilevante alla menomazione cagionata al patrimonio della società».

D’altronde, proseguono i giudici di legittimità, «il Tribunale ha significativamente fatto luogo ad un duplice rilievo. Per un verso, ha affermato chenel caso di specie (…) ciò che viene lamentato è il danno cagionato al patrimonio sociale dalla condotta di concessione abusiva di credito”. Per altro verso, ha puntualizzato che “va (…) tendenzialmente esclusa la legittimazione del Curatore alla proposizione delle azioni a tutela dei creditori lesi dalla condotta dell’istituto di credito”».

Ergo, condividendo «il rilievo di cui alle conclusioni del Pubblico Ministero, a tenor del quale “nel caso di specie il danno fatto valere è quello cagionato al patrimonio della società poi fallita», la Suprema Corte ha ritenuto il curatore pienamente legittimato all’azione de qua.

 

Sull’abusiva erogazione del credito.

Viceversa, l’altra «censura» mossa col primo motivo del ricorso, ovvero la doglienza relativa all’ “omesso esame di fatti decisivi per il giudizio”, è stata ritenuta «fondata e meritevole di accoglimento (…), in dipendenza del vizio di ‘motivazione apparente’ che, in parte qua, inficia l’impianto motivazionale dell’impugnato decreto» [4]. A tal proposito, gli Ermellini ricordano che «l’anomalia della “motivazione apparente” costituisce dell’“omesso esame” figura senza dubbio sintomatica», specificando, che, ormai da tempo, secondo la Cassazione «l’anomalia della “motivazione apparente” si configura allorquando il giudice di merito, pur individuando gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico/giuridica» [5].

Col primo motivo, infatti, era stata denunciata la mancata prova che l’Istituto di Credito avesse «concesso il finanziamento allorché» la s.r.l. «versava in stato di dissesto». A questo proposito, la ricorrente non solo aveva escluso «che all’atto della concessione del finanziamento» la società fosse «sottocapitalizzata» ma adduceva anche «che dai bilanci depositati» non risultava in alcun modo che Società «versasse in stato di insolvenza sia all’atto della concessione dell’apertura di credito sia successivamente»; così come, «in considerazione del valore dei terreni edificabili e delle opere che vi venivano via via costruite», disconosceva che l’ipoteca fosse inadeguata.

Di conseguenza, l’attenzione degli Ermellini pima si è concentrata sul concetto generale di “abusiva erogazione del credito”, per poi focalizzarsi sulla valutazione del carattere abusivo (o meno) del finanziamento in contestazione, in rapporto alle condizioni economico-patrimoniali della società, svolta dal Tribunale.

Sotto il primo profilo, i Giudici di Piazza Cavour, richiamando quanto già espresso sul tema dalla stessa Cassazione con l’ordinanza n. 18610 del 2021, hanno ribadito che «l’erogazione del credito è qualificabile come “abusiva”, qualora effettuata, con dolo o colpa, ad un’impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in assenza di concrete prospettive di superamento della crisi; in tale evenienza l’erogazione del credito integra un illecito del soggetto finanziatore, per esser questi venuto meno ai suoi doveri primari di prudente gestione, ed obbliga il medesimo soggetto al risarcimento del danno, ove ne discenda un aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività di impresa» [6].

E, sempre richiamando l’iter motivazionale della citata sentenza, hanno riaffermato che la concessione abusiva di credito «propriamente (…) designa l’agire del finanziatore che conceda, o continui a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore che versi in istato d’insolvenza o comunque di crisi conclamata [7] Beninteso, quel che rileva è unicamente l’insussistenza di fondate prospettive, in base a ragionevolezza e ad una valutazione ex ante, di superamento [della] crisi» [8].

Alla luce di queste «coordinate qualificatorie», i Giudici di legittimità hanno analizzato l’iter motivazionale del provvedimento impugnato, rilevando che la pronuncia impugnata sotto il «profilo “oggettivo” della condotta asseritamente “abusiva”, manifesta una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico-giuridico che ha condotto il Tribunale alla formazione del proprio convincimento» [9].

Infatti, rispetto alla valutazione delle condizioni economico-patrimoniali della società finanziata ed, in particolare, rispetto all’asserzione che «già al momento della stipula del contratto di apertura di credito le condizioni patrimoniali della società [lasciavano] prevedere l’esito infausto dell’operazione», la Suprema Corte ha reputato che, «giacché l’apertura di credito controversa risale al 15.3.2000», l’analitico, puntuale vaglio della situazione economico-patrimoniale del Tribunale, «avrebbe dovuto senz’altro attendere, a decorrere quanto meno dall’esercizio chiuso al 31.12.1999, ossia dall’esercizio antecedente all’operazione di finanziamento de qua agitur, e sino all’ultimo esercizio precedente la data della dichiarazione di fallimento (…). Evidentemente, in tal guisa si sarebbe acquisito riscontro dell’“impatto” dell’erogazione creditizia de qua agitur, recte del carattere se del caso “abusivo” dell’apertura di credito sia in dipendenza dell’eventuale stato di crisi in cui già versava» la società alla data del rogito di concessione dell’apertura creditizia [10] «sia in dipendenza dell’eventuale palesarsi sulla scorta di una prudente valutazione ex ante già alla data del rogito dell’insussistenza di concrete prospettive di superamento della crisi». Infatti, «unicamente su un simile substrato è destinata poi ad innestarsi, ai fini dell’affermazione di responsabilità» della Banca, qualsivoglia ulteriore valutazione sia in ordine alla colpevolezza dell’istituto di credito sia in ordine alle conseguenze economiche pregiudizievoli in connessione eziologica con la condotta abusiva.

Del resto, proseguono i giudici di legittimità, «per un verso, non hanno valenza decisiva, siccome di significato del tutto neutro ovvero del tutto generico rispetto alla consistenza del patrimonio netto ed alla sua prospettiva evolutiva correlata, in vista del superamento dell’eventuale stato di crisi, all’erogazione creditizia de qua agitur, la modesta consistenza del capitale sociale, la “<debolezza> dell’assetto economico della società”, l’applicazione di interessi passivi atti a generare un indebitamento rilevante, l’ “aspecifico” rilievo delle perdite di cui ai bilanci degli esercizi 2001 e successivi, l’assunta inadeguatezza della garanzia ipotecaria accordata in relazione “alle caratteristiche concrete dell’operazione immobiliare finanziata». 

Per altro verso, «riveste una certa qual plausibilità il rilievo della ricorrente (…) secondo cui la specifica veste giuridica, sub specie di apertura di credito, dell’erogazione finanziaria comportava che “più l’apertura di credito veniva utilizzata, più la società finanziata aumentava il proprio patrimonio immobiliare. Ossia che all’incremento della voce “debiti verso banche”, di cui al passivo dello stato patrimoniale, era inevitabilmente destinato a correlarsi l’incremento della corrispondente voce delle “immobilizzazioni materiali” di cui all’attivo dello stato patrimoniale».

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Alcune considerazioni a margine della sentenza.

La sentenza in commento affronta – seppur in modo non approfondito ma, semplicemente, ribadendo principi già espressi in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, due temi da sempre molto dibattuti, sia in dottrina che in giurisprudenza.

Per quanto concerne la concessione abusiva del credito, leggendo la sentenza, è palese che, nonostante i numerosi arresti giurisprudenziali, si sia ancora di fronte ad una fattispecie molto “delicata” e dai confini piuttosto labili.

Infatti, se da un lato, la figura in discorso, di elaborazione giurisprudenziale, ad oggi, è ancora priva di una specifica regolamentazione legislativa, dall’altro, la realtà offre spesso ipotesi in cui il confine tra sostegno regolare all’im­presa in crisi, fondato su reali prospettive di risanamento, e concessione di credito abusiva può risultare davvero molto sottile.

Secondo la nozione tradizionale, invero, tale fattispecie si configura quando una banca concede credito pur sapendo, o potendo sapere, che l’impresa finanziata versa in uno stato di dissesto irreversibile [11].

In giurisprudenza, invece, di grande rilievo è stata la ricostruzione compiuta dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nelle sentenze cosiddette “gemelle” del 2006 [12], secondo cui la concessione abusiva del credito consiste nel comportamento del soggetto finanziatore che mantiene artificiosamente in vita un soggetto/impresa insolvente, suscitando negli altri operatori del mercato un’errata percezione della realtà finanziaria ed economica del sovvenuto [13].

Ma, è nel corso del 2021, con due pronunzie ravvicinate, che «la Suprema Corte ha raggiunto un traguardo significativo nell’elaborazione e ricostruzione sistematica del tema della responsabilità della Banca per abusiva concessione di credito» [14].

In particolare, con l’ordinanza del 30 giugno 2021, n. 18610 – richiamata anche nella sentenza in commento -la Suprema Corte, nel definire «illecita la condotta di «concessione abusiva di credito», che individua «l’agire del finanziatore che conceda, o continui a concedere incautamente, credito in favore dell’imprenditore che versi in stato di insolvenza o comunque di crisi conclamata», ha osservato come, «sebbene nel nostro ordinamento non esista un generale dovere, a carico di ciascun consociato, di attivarsi al fine di impedire eventi di danno, tuttavia, con specifico riferimento alla normativa che regola il sistema bancario, il soggetto finanziatore, sulla base di questa, è invero tenuto all’obbligo di rispettare i principi di c.d. sana e corretta gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate [15].

La Suprema Corte ha anche sottolineato che sebbene «tale obbligo è posto, dal diritto positivo, ai fini della protezione dell’intero sistema economico dai rischi che una concessione imprudente o indiscriminata del credito bancario comporta (…), nondimeno, l’erogazione del credito, che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata a chi si palesi come non in grado di adempiere le proprie obbligazioni ed in stato di crisi, ad esempio in presenza della perdita del capitale sociale e in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi stessa, può integrare anche l’illecito del finanziatore per il danno cagionato al patrimonio del soggetto finanziato, per essere venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione aziendale, previsti a tutela del mercato e dei terzi in genere, ma idonei a proteggere anche ciascun soggetto impropriamente finanziato ed a comportare la responsabilità del finanziatore, ove al patrimonio di quello sia derivato un danno, ai sensi dell’art. 1173 c.c. Onde le prescrizioni di vigilanza divengono rilevanti nella valutazione relativa alla violazione di obblighi primari, ai fini dell’individuazione di una responsabilità alla stregua della diligenza professionale dovuta ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2082 c.c.» [16].

Questa pronuncia, rileva, inoltre, perché la Corte «tratteggia con diffuse indicazioni anche prospettiche l’oggettiva diversità tra finanziamento pregiudizievole perché oneroso per l’impresa e dannoso per i creditori e terzi e il finanziamento che costituisce risorsa anche necessaria per l’attuazione della ristrutturazione del debito, secondo piani in grado di governare l’impresa nei suoi rapporti con i creditori ed il mercato per il superamento della crisi o, in mancanza, per l’ordinata risoluzione nel miglior interesse dei creditori» [17].

Anche l’altro tema affrontato dagli Ermellini nella sentenza del 27 ottobre 2023 n. 29840, ovvero, la legittimazione attiva del curatore a esercitare l’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito, è stato più volte portato al­l’attenzione della Suprema Corte.

Sebbene nella sentenza in commento, invero, per stessa ammissione dei giudici di legittimità, la questione non è risultata problematica, in generale, però, «la questione si rivela complessa per diversi fattori» [18].

Da un lato, infatti, «la concessione abusiva di credito è “plurioffensiva” in quanto può determinare: a) un danno al patrimonio dell’impresa finanziata per le perdite maturate nel periodo in cui la dichiarazione d’insolvenza è stata dilazionata; b) un danno ai creditori sociali per il minor incasso conseguito [10] ; c) una sanzione penale per gli amministratori della società fallita e gli eventuali concorrenti (artt. 217 n. 3-4 e 224 L. fall., ora artt. 323 e 330 CCII») [19].

Dall’altro, si è di fronte ad una «legislazione in materia concorsuale (…) non sempre chiara e/o esaustiva nel disciplinare la sostituzione pro­cessuale dell’organo della procedura (il quale, come noto, assume una duplice veste, potendo sostituirsi, a seconda dei casi, sia al fallito sia ai creditori); ciò a fronte di una normativa processualcivilistica rigorosa nel circoscrivere i casi di sostituzione processuale a quelli «espressamente previsti dalla legge» (art. 81 c.p.c.)» [20].

Tutto ciò ha fatto sì che, nel corso degli anni, l’intera questione della legittimazione del curatore ad esercitare l’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito venisse «indagata dai giudici sotto diversi profili» sia con riferimento al pregiudizio risentito dai creditori del fallito sia con riferimento al pregiudizio patito dal fallito medesimo» e, con riguardo al primo profilo, distinguendo, ulteriormente, «a seconda che il danno lamentato afferisca al patrimonio del singolo creditore in quanto tale oppure al­la massa dei creditori fallimentari complessivamente intesa» [21].

Le soluzioni prospettate nel corso degli anni sono state però altalenanti.

Inizialmente, la Suprema Corte ha affermato «che il curatore fallimentare non è legittimato a proporre l’azione aquiliana per il risarcimento dei danni causati ai creditori dall’abusiva concessione di credito», affermando, «che l’azione non rientra tra quelle c.d. di massa, per le quali il curatore può agire in rappresentanza dei creditori, trattandosi invece di strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore» [22].

Successivamente, «ha progressivamente cambiato prospettiva, ipotizzando che la curatela possa essere legittimata ad agire contro la banca responsabile di aver danneggiato il patrimonio della società fallita, in concorso con i suoi amministratori, avendo erogato credito in condizioni di accertata perdita del capitale sociale e in carenza di adeguata valutazione del merito creditizio» [23].

Infine, i Giudici di Piazza Cavour «ricollegandosi ai precedenti [24] che hanno operato opportuni distinguo quanto alle domande proposte nel processo ed alle vicende esaminate, rispetto alle pronunce delle Sezioni unite del 2006 [25], reputando proponibile l’azione risarcitoria del curatore nei confronti delle banche per l’imprudente concessione del finanziamento, quando la posizione a questa ascritta sia di terzo responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita per effetto dell’abusivo ricorso al credito da parte dell’amministratore della società, che abbia perduto interamente il capitale, dinanzi all’avventata richiesta di credito e ad una parimenti avventata concessione di credito da parte della banca» hanno precisato «che la curatela, in caso di fallimento, è legittimata ad agire nei confronti delle banche per i danni cagionati alla società fallita allorquando venga dedotta la responsabilità del finanziatore verso il soggetto finanziato per il pregiudizio diretto causato al patrimonio di quest’ultimo dall’attività di finanziamento, dovendosi, invece, escludere la legittimazione del curatore all’azione di risarcimento del danno diretto patito dal singolo creditore per l’abusiva concessione del credito quale strumento di reintegrazione del patrimonio di quest’ultimo» [26].

Per concludere, come è stato osservato in dottrina, nonostante il cambio di prospettiva attuato in queste recenti sentenze, la Suprema Corte, comunque, «mostra grande equilibrio nel comprendere che la legittimazione autonoma del curatore ad agire nei confronti della Banca può aprire un ampio e articolato fronte di iniziative giudiziarie e, pertanto, “individua una preziosa contromisura idonea a paralizzare l’eventuale promozione “a tappeto” di cause civili. La Banca può evitare, con buona approssimazione, di incorrere in responsabilità laddove sia in grado di provare ex post di avere valutato ex ante l’adeguatezza del piano industriale predisposto dall’impresa finanziata, anche quando sia evidente e palese lo stato di insolvenza ed anche al di fuori di una specifica procedura di risanamento. Diviene strategico per il ceto bancario dotarsi di documentati processi valutativi riguardanti la fattibilità delle assumption contenute nei piani industriali predisposti dal cliente; in assenza di ciò il rischio concreto è che le procedure concorsuali cerchino legittimamente di pescare nelle deep pocket degli istituti bancari» [27].

 

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[1] Per chi volesse approfondire l’argomento, si vedano, sempre su questa rivista: FOSCA LAMBERTI, La concessione abusiva del credito nell’attuale contesto emergenziale alla luce degli interventi legislativi per contrastare la crisi economica legata al Covid-19, su questa Rivista, Fasc. 2/2021, https://www.dirittodelrisparmio.it/wp-content/uploads/2021/06/. Si vedano, inoltre, tra i tanti: G. FAUCEGLIA, Riflessioni sulla responsabilità delle banche nel Codice della crisi con particolare riguardo all’abusiva concessione del credito, saggio edito su dirittodellacrisi.it; D. ROSELLI, Concessione abusiva del credito ed analisi del merito creditizio Linee evolutive pubbl. il 2 Febbraio 2023 su dirittobancario.it; R. DEL PORTO, Brevi note in tema di concessione abusiva di credito, in Ilcaso.it.; E. DEPETRIS, Concessione abusiva di credito e aggravamento del dissesto: la quantificazione del danno al patrimonio sociale, su www.dirittofallimentaresocieta.it; L. BALESTRA, Crisi dell’impresa e abusiva concessione del credito, in Giur. Comm., 40.1, 2013, 111; F. DI MARZIO, L’abuso nella concessione del credito, in Contr. e impr., 2015, 1159; M. IRRERA, L’abusiva concessione di credito ovvero del dilemma del buon banchiere, pubbl. il 20 Maggio 2022 su www.dirittobancario.it; B. INZITARI, L’abusiva concessione del credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito, in www.ilcaso.it.; GOBIO CASALI e M. BINELLI, Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi, pubb. Il 18 Aprile 2023 su www.dirittodellacrisi.it; V. DI STASIO, La concessione abusiva di credito, in La disciplina dei rapporti bancari, a cura di F. FIORUCCI, Padova, 2012; F. BONELLI, “Concessione abusiva” di credito e “interruzione abusiva” di credito, in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, 2011.

[2] Sull’argomento, si vedano, tra gli altri: L. BALESTRA, Concessione abusiva del credito e legittimazione del curatore: sulla non facile delimitazione perimetrale, in il Fallimento, 11/2017; B. INZITARI, L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, in www.dirittodellacrisi.it; B. INZITARI ed E. DEPRETIS, Abusiva concessione di credito, legittimazione del curatore, danno alla massa ed al soggetto finanziato, edito su dirittofallimentaresocieta.it.

In giurisprudenza, si vedano, ex multis: Cass., del 30 giugno 2021, n. 18610, reperibile su questa rivista con nota di D. GIOVENZANA; Cass., del 14 settembre 2021, n. 24725; Cass., ord. del 3 giugno 2022, n. 31389, dep. il 24 ottobre 2022; Cass., del 18 gennaio 2023, n. 1387; meno recenti: Cass. civ, sez. I, 10/06/2010, n. 13413; Cass., sez. I, 20/04/2017, n. 9983; Cass., Sez. Unite, 28/03/2006, nn. 7029, 7030 e 7031.

[3] Si veda: Cass. Civ., Sez. III, 18 gennaio 2023, n. 1387.

[4] Cfr. Cass., Sez. Un., sent. del 07.04.2014, n. 8053.

[5] Cfr.: Cass. Civ., del 21.07.2006 n. 16762; Cass. Civ. del 24.02.1995, n. 2114. Cfr., più di recente, Cass., Sez. Un., del 03.11.2016, n. 22232.

[6] Cfr. Cass. Civ, ord. n. 18610/2021, cit.

[7] Così in motivazione Cass. Civ., ord. n. 18610/2021, cit.

[8] Così, ulteriormente, in motivazione, Cass. Civ., ord. n. 18610/2021, cit.

[9] Cfr. Cass. Civ., Sez. lav., ord. del 14.2.2020, n. 3819.

[10] «Ai sensi dell’art. 2, 1° co., lett. a), del Codice della Crisi, “crisi” è “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”)», cfr.: sentenza in commento.

[11] Si veda, F. DIMUNDO, Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali, Milano, 2019, p. 51 ss. e Cfr.: P. GOBIO CASALI e M. BINELLI, Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi, cit.

[12] Cfr.: Cass., sent. del 28 marzo nn. 7029, 7030, 7031.

[13] D. ROSELLI, Concessione abusiva del credito ed analisi del merito creditizio. Linee evolutive cit.

[14] M. IRRERA, L’abusiva concessione di credito ovvero del dilemma del buon banchiere, cit.

[15] Cfr., Cass. Civ., n. 1387/2023, che richiama, in modo chiaro e sintetico, i principi espressi dalla Cass., n. 18610/2021. La Corte nel 2021 aveva spiegato anche che: «dato che l’attività di concessione del credito da parte degli istituti bancari non costituisce mero “affare privato” tra le stesse parti del contratto di finanziamento, l’ordinamento ha predisposto una serie di principi, controlli e regole, nell’intento di gestire i rischi specifici del settore, attese le possibili conseguenze negative dell’inadempimento non solo nella sfera della banca contraente, ma ben oltre di questa; potendo, peraltro, queste coinvolgere in primis il soggetto finanziato, nonché, in una visuale macroeconomica, un numero indefinito di soggetti che siano entrati in affari col finanziato stesso».

[16] Si veda, Cass. civ., n. 1387/2023, che richiama, Cass., n. 18610/2021, cit.

[17] Cfr.: B. INZITARI, L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, cit.

[18] B. INZITARI E E. DEPRETIS, Abusiva concessione di credito, legittimazione del curatore, danno alla massa ed al soggetto finanziato, cit.

[19] Si veda: P. GOBIO CASALI e M. BINELLI, Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi, cit.

[20] Cfr., ancora, P. GOBIO CASALI e M. BINELLI, Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi, cit

[21] Cfr.: B. INZITARI ed E. DEPRETIS, Abusiva concessione di credito, legittimazione del curatore, danno alla massa ed al soggetto finanziato, cit.

[22] Cfr. Cass., sez..un., n. 7029 del 28 marzo 2006.

[23] Si vedano: Cass., 1 Giugno 2010, n. 13413; Cass., 20 aprile 2017, n. 9983; Cass., 12 maggio 2017, n. 11798; Cass., 14 maggio 2018, n. 11695. Per la sintesi dell’evoluzione giurisprudenziale, si veda: P. GOBIO CASALI e M. BINELLI, Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi, cit.

[24] Cfr.: Cass., sez. 1, 10/06/2010, n. 13413; Cass., sez. 1, 20/04/2017, n. 9983.

[25] Cfr.: Cass., sez. un., 28/03/2006, nn. 7029, 7030 e 7031.

[26] Cfr., Cass. Ord. del 18/01/2023 n. 1387. All’uopo, si segna però, di segno in parte opposto, Cass., ord. del 3 giugno 2022, n. 31389, dep. il 24 ottobre 2022, che, in tema di concessione abusiva del credito, ha evidenziato dubbi circa la legittimazione ad agire del curatore per far valere la responsabilità del finanziatore. La Corte di Cassazione ha ritenuto che l’art. 146 l.f. abbia natura eccezionale, prevedendo una deroga alla regola generale secondo cui nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui (art. 81 c.p.c.), con conseguente non applicazione al di fuori dei casi previsti e, pertanto, anche nel caso di azione nei confronti del finanziatore per concessione abusiva del credito).

[27] Cfr.: M. IRRERA, L’abusiva concessione di credito ovvero del dilemma del buon banchiere, cit.

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