Nota a ACF, 22 novembre 2023, n. 7005.
Va accertata la responsabilità dell’intermediario e il conseguente obbligo risarcitorio in favore dell’investitore in caso di riscontrata violazione degli obblighi informativi, sia nella fase genetica dell’investimento sia in corso di esecuzione del rapporto, nonché delle regole di profilatura e adeguatezza.
Così afferma l’Arbitro per le Controversie Finanziarie, nella recente decisione in oggetto.
La vicenda di merito.
- Il ricorso dell’investitrice all’Arbitro.
La ricorrente, previo esperimento di reclamo con esito non soddisfacente da parte dell’intermediario, conveniva quest’ultimo dinnanzi all’Arbitro per le Controversie Finanziarie, assumendo per quanto qui rileva:
– di aver concluso in data 9.11.2021 l’acquisto on line di azioni della Sicav DB Advisory Multibrands (Comparto Pictet Multi Asset Flexible Allocation LD) per l’importo di euro 600.000,00;
– di aver dato corso a tale operazione perché rassicurata dall’intermediario resistente circa l’assenza di rischio di perdita del denaro investito servente all’acquisto di un immobile;
– di aver appreso solo nel febbraio 2022, al momento dell’accesso all’home banking, che il proprio investimento di euro 600.000,00 aveva subito una decurtazione di euro 39.000,00;
– di aver contattato nell’immediato il consulente, che la rassicurava sul certo recupero delle somme;
– di aver appreso poi, sempre dal consulente, che la stessa aveva inconsapevolmente avvalorato digitalmente, inserendo il proprio codice pin, i campi relativi al “promemoria prime sottoscrizioni per Fondi e Sicav” e alla “proposta di investimento”;
– di aver ricevuto dalla banca, previa richiesta, la documentazione inerente all’investimento di cui è causa, la cui disamina -secondo la banca- faceva escludere criticità nell’operato del consulente;
– di aver dismesso in data 28.02.2021 l’investimento così maturando una perdita di euro 47.858,69;
– di aver proceduto, successivamente, alla denuncia-querela nei confronti del consulente per il reato di truffa aggravata, e di aver richiesto alla banca la restituzione del capitale perduto in ragione dell’investimento concluso.
Tali allegazioni secondo la ricorrente fondavano una responsabilità in capo all’intermediario, di tipo precontrattuale e contrattuale foriera di un danno ingiusto, stante la conclusione di un’operazione di investimento inadeguata rispetto alle caratteristiche di investitrice della ricorrente e senza preventiva informativa.
La ricorrente rilevava una profilatura non veritiera e non rispondente all’investimento, tanto più a fronte del questionario da lei reso e delle esigenze manifestate al consulente. Il tutto in assenza di alcuna scheda informativa sull’investimento, comunque di difficile comprensione.
La ricorrente chiedeva, pertanto, di accertare la responsabilità precontrattuale e contrattuale dell’intermediario con condanna a tale titolo o comunque a titolo risarcitorio di quest’ultimo alla restituzione della perdita subita quantificata nella misura di euro 47.858,69 ovvero alla diversa minore somma ritenuta dal Collegio.
- Le difese dell’intermediario resistente.
Resisteva l’intermediario con deduzioni evidenziando, per quanto qui interessa:
– che tra il 2019 e il 2021 la famiglia della ricorrente, previa adesione ad una campagna di investimento, aveva concluso taluni investimenti dietro valutazioni del consulente, tra cui la sottoscrizione di 3 Sicav;
– che, tuttavia, l’investimento per cui aveva optato la ricorrente si discostava dagli altri di cui sopra, in quanto assicurava una cedola periodica;
– che, invero, a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina, la ricorrente si era determinata a dismettere anticipatamente il proprio investimento, con conseguente cristallizzazione della perdita;
– che non sussisteva alcuna violazione di informativa in quanto era pacifica la ricezione da parte della ricorrente del c.d. KIID (Key Investor Information Document), ferma in ogni caso la possibilità di consultazione dell’informativa da parte della cliente tramite accesso al proprio home banking;
– che la profilatura della cliente era stata effettuata tenendo conto del livello culturale del soggetto (laurea/conoscenza ed esperienza in ambito finanziario), di talché anche in nome del principio di autoresponsabilità, la cliente, quale parte attiva dell’investimento, doveva ritenersi vincolato alle proprie dichiarazioni;
– che da una serie di fattori concordanti si inferiva l’adeguatezza dell’investimento, oltre che la sua appropriatezza rispetto alle informazioni raccolte dalla cliente;
– che, infine, difettava la prova del nesso causale tra i presunti inadempimenti dell’intermediario e il danno lamentato ex adverso, di talché in assenza di impedimenti al disinvestimento, il danno doveva al più parametrarsi alla diminuzione del valore del titolo tra il momento dell’acquisto e quello in cui la cliente si era accorta dell’andamento negativo e quindi della perdita, essendo frutto di sue scelte consapevoli.
Il tutto, dunque, con richiesta di rigetto dell’avversa domanda in quanto reputata infondata in fatto e diritto.
Seguiva deposito di memoria integrativa della ricorrente, cui parte resistente replicava con memoria.
- La decisione del Collegio Arbitrale.
Il Collegio Arbitrale conclude per la fondatezza del ricorso dell’investitrice e condanna l’intermediario al risarcimento del danno quantificato nella misura richiesta dalla ricorrente rivalutata per complessivi euro 53.984,60, oltre interessi legali, oltre spese del procedimento, giusta delibera n. 19602 del 4.05.2016.
Ciò è quanto deriva dalla valutazione delle allegazioni e attestazioni delle parti.
Secondo il Collegio, difatti, in disparte il fatto che il c.d. KIID ha valenza solo riepilogativa dell’operazione, non è stata fornita la prova dalla banca, a tanto onerata, dell’uso presso di sé della procedura informatica, per la sottoscrizione di fondi e Sicav, strutturata in modo tale da impedire alla ricorrente di impartire l’ordine di investimento nel caso in cui non avesse prima visualizzato, per ciascuno dei prodotti consigliati, la relativa documentazione informativa, tra cui appunto il KIID.
Afferma il Collegio, con rilievo assorbente rispetto ad ogni altro profilo, che: «Con riguardo alla suddetta modalità operativa, può ribadirsi che “la presenza […] di una funzionalità̀ bloccante, che impedisce che l’ordine sia impartito senza previa visione dell’informativa, costituisce una modalità senz’altro idonea rispetto ad un servizio prestato in ambiente telematico, per considerare assolto l’obbligo di informazione, dovendo ritenersi del tutto equivalente alla consegna a mani del KIID che viene utilizzata al di fuori dell’ambiente telematico” (cfr. Decisione n. 4505). Nel caso de quo, non risulta provato (e invero neppure meramente allegato) che la piattaforma di trading online dell’Intermediario fosse dotata di funzionalità bloccanti – o modalità equipollenti – che garantissero che la clientela, prima di operare, prendesse visione della documentazione affermativa con la conseguenza che può ritenersi sussistente l’inadempimento dell’Intermediario rispetto agli obblighi informativi sullo stesso gravanti nella fase genetica dell’investimento».
In punto di rispetto della regola di adeguatezza, il Collegio afferma:
«[…] dagli atti – in particolare, dalla relazione alla proposta di investimento – risulta che quest’ultimo [l’investimento] è stato posto in essere su consiglio del Consulente e a seguito di una valutazione positiva di adeguatezza. In merito all’effettiva adeguatezza dell’operazione, è rappresentato un livello di rischio pari a 4 (in una scala da 1 a 7), atteso che il prezzo delle azioni oscilla e, pertanto, sia la probabilità di perdita che di guadagno possono essere relativamente elevate. Dalla ricostruzione fattuale di Parte Ricorrente, così come supportata dalla documentazione versata in atti, si ha contezza di un solo precedente investimento in una polizza assicurativa. Ad ogni modo, a questo Collegio non può sfuggire che il Consulente, secondo quanto riportato nelle stesse difese dell’Intermediario, era al corrente della intenzione della odierna Ricorrente di acquistare, nel breve termine, un immobile; esigenza che non può dirsi di certo coerente con quanto riportato nel KIID del prodotto, in cui si dava atto che “Obiettivo della politica d’investimento è il conseguimento di una performance d’investimento positiva sul medio-lungo periodo […]».
Ciò che, in finale, fa propendere il Collegio per la sussistenza della violazione degli obblighi informativi nella fase genetica dell’investimento, in ragione delle plurime criticità comportamentali imputabili all’intermediario.
Osservazioni.
Nel 2004 la Direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (c.d. MiFID1) (2004/39/CE) ha stabilito norme uniformi per la negoziazione di valori mobiliari al fine di migliorare la concorrenza e la tutela degli investitori.
Nel 2014 il quadro giuridico è stato aggiornato in maniera significativa con l’adozione di una revisione della Direttiva c.d. MiFID2 (2014/65/UE) e di un Regolamento (c.d. MiFIR) ((UE) n. 600/2014).
Questo quadro introduce una serie di disposizioni volte a rafforzare la tutela dei consumatori e la trasparenza del mercato, entrambe declinate in una pluralità di obblighi informativi facenti capo all’intermediario quali: l’obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, l’obbligo di informazione, inadeguatezza dell’operazione.
Trattasi di obblighi tutti convergenti nel segnalare all’investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, l’adeguatezza o meno dell’operazione di investimento che si accinge a compiere.
A quanto sembra, però, nonostante le riforme avvenute in sede di attuazione delle Direttive susseguitesi sul tema, la pronuncia in commento è indice del fatto che non possono considerarsi “superate” le problematiche concernenti l’adeguatezza e l’appropriatezza dei servizi di investimento, con cui dottrina e giurisprudenza si sono confrontate a lungo almeno sino al 2007, ossia sino al recepimento nel nostro ordinamento della Direttiva MiFID1 (Direttiva 2004/39/CE).
È il caso, però, di rilevare che oggi le probabilità che vengano compiuti investimenti inadeguati sono scarse o comunque meno comuni rispetto al passato, in quanto i sistemi informatici degli intermediari rifiutano gli ordini se prima non sono posti in essere alcuni adempimenti, fra cui quello di raccolta delle informazioni.
Ma se così è, il tema vero dell’adeguatezza e dell’appropriatezza legate al risparmio gestito si sposta allora su altro profilo, dovendosi verificare il livello di reale gestione degli investimenti del cliente, con approccio “personalizzato”, a fronte di un sistema di standardizzazione dei prodotti finanziari e di quantificazione parimenti standardizzata del rischio di investimento, spesso avulsa dal caso concreto.
E tutto questo dovendo, altresì, confrontarsi, sempre in un’ottica di valutazione della reale adeguatezza dell’investimento, con l’eliminazione o meno del conflitto di interesse in cui spesso si trova il consulente o l’intermediario, il quale, difatti, si trova a prestare la propria attività professionale a vantaggio del cliente, ricevendo, però, al contempo la controprestazione da altro soggetto quale la società per cui il consulente ha collocato il prodotto sul mercato.
Ecco allora che il concetto di indipendenza nell’offerta dei servizi di investimento diventa dirimente per verificare se, nel caso concreto, vi sia stata da parte del consulente o l’intermediario una reale gestione del rischio di investimento del cliente in rapporto alla suo profilo personale, senza commistioni di sorta.
C’è da dire che allo stato, comunque, nell’ottica di una tutela effettiva dei clienti mirante anche al completamento del mercato unico nell’ambito della libera circolazione di servizi e capitali, le Direttive unionali (2014/65/UE; 2021/338/UE) hanno previsto l’obbligo di informazione su costi e oneri per i servizi di consulenza in materia di investimenti e di gestione del portafoglio; ciò, in quanto i clienti che stipulano rapporti di consulenza in materia di investimenti o di gestione del portafoglio non dispongono necessariamente di competenze o conoscenze sufficienti per consentire che tali servizi siano esonerati da detti obblighi.
Ma tutto questo finisce, di fatto, per rimettere al cliente, sovente privo di necessarie competenze, il compito di verificare in proprio la rispondenza tra l’attività di consulenza prestata dall’intermediario in punto di concreta attuazione o meno della reale gestione della posizione (rectius personalizzazione del prodotto) e i costi o oneri sopportati dall’investitore stesso.
Insomma, l’eliminazione della non adeguata e appropriata tutela del cliente investitore è, a ben vedere, tutt’altro che arginata.
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