1 min read

Nota a App. Napoli, Sez. III, 13 settembre 2023, n. 4635.

Come spesso accade la pronuncia in commento prende le mosse da una causa di opposizione a decreto ingiuntivo promossa nei confronti di un istituto di credito.

Nel caso di specie, dopo una parziale vittoria in primo grado, gli opponenti adivano ugualmente la Corte di Appello di Napoli, dolendosi del mancato accoglimento di alcune delle eccezioni sollevate innanzi al Giudice dell’opposizione in primo grado, fra le quali, per quanto qui di interesse, la nullità di un derivato IRS (interest rate swap) contratto dalla società debitrice.

La Corte di Appello, al netto degli altri motivi di censura, si è concentrata sulla questione della validità del derivato contestato dagli appellanti, premettendo che la vicenda alla sua attenzione poteva dirsi analoga ad altra precedentemente trattata dalla stessa Sezione, con ciò ritenendo di confermare l’orientamento già espresso dalla III Sezione[1].

L’ordito motivazionale della pronuncia annotata si rivela particolarmente utile sul piano pratico, premettendo, prima di venire al merito della vicenda, un excursus ricognitivo della complessa materia dei cd. derivati ed in particolare dei cd. derivati IRS (interest rate swap).

E’ bene sapere, infatti, che per lnterest Rate Swap (IRS) si intendono i contratti con cui le parti si scambiano, per un periodo stabilito al momento dell’accordo, i pagamenti degli interessi sui rispettivi prestiti, misurati sulla base di tassi di interesse differenti.

Il contratto IRS, in questa prospettiva, fungerebbe da mitigatore del rischio di rialzo dei tassi su un prestito bancario contratto a tasso variabile.

La più diffusa forma di IRS è denominata plain vanilla swap e si caratterizza per il fatto che uno dei due flussi di pagamenti è basato su un tasso di interesse fisso (quello del cliente), mentre l’altro è indicizzato a un tasso di interesse variabile (quello della banca).

In questa maniera il cliente, sottoscrivendo lo swap, dovrebbe garantirsi una copertura in caso di rialzo dei tassi, mediante lo scambio con la banca dei rispettivi flussi finanziari, sostituendo, giorno per giorno e per l’intera durata dello swap, il tasso variabile con un tasso fisso predeterminato dalle parti (banca e cliente), da rapportarsi ad un valore iniziale, sempre prestabilito dalle parti, noto come nozionale (che dovrebbe coincidere con l’ammontare del prestito per il quale ci si vorrebbe garantire da un atteso rialzo dei tassi).

L’esempio viene ripreso anche dalla stessa Corte di Appello che, difatti, ricorda che la parte che si accolla il pagamento del tasso fisso (acquirente) intende diminuire i rischi derivanti dal prestito a tasso variabile, poiché prevede oscillazioni al rialzo sul mercato dei tassi; la Banca (venditore), al contrario, auspica, invece, di incrementare i profitti nel breve periodo, aspettandosi rialzi minimi nei tassi.

In questo senso, quindi, le finalità del contratto IRS possono ritenersi di copertura (per il cliente) o speculative (per la banca che vende il prodotto finanziario).

In sostanza, mentre il debitore continuerà a pagare gli interessi ivi stabiliti al mutuante, la stipulazione di un contratto di swap svolgerà la funzione di neutralizzare gli effetti dell’evoluzione dei relativi tassi in base al meccanismo della regolazione fra i contraenti, ad ogni scadenza, delle differenze di segno opposto, positive o negative, sulla base dell’applicazione delle clausole contrattuali.

In tal modo, il debitore continuerà a pagare gli interessi sul mutuo, ma, se il tasso previsto dallo swap   risulterà   essere   a   suo   favore, riceverà   importi   dall’intermediario   finanziario   che contribuiranno a bilanciare quelli maggiormente versati al mutuante a titolo di interessi sul mutuo. Al contrario, se, in base al tasso previsto dallo swap, matureranno importi in favore dell’intermediario finanziario, il debitore, oltre a pagare i normali interessi sul mutuo, dovrà sostenere anche il pagamento di questi importi, con un ulteriore aggravio della sua situazione finanziaria.

Ma quali sono gli elementi principali del derivato, ce li ricorda, sempre, la Corte di Appello: a) la data di stipulazione del contratto (trade date); b) il capitale di riferimento, detto nozionale (notional principal amount), che non viene scambiato tra le parti, e serve unicamente per il calcolo degli interessi; c) la data di inizio (effective date), dalla quale cominciano a maturare gli interessi (normalmente due giorni lavorativi dopo la trade date); d) la data di scadenza (maturity date o termination date) del contratto; e) le date di pagamento (payment dates), cioè quelle in cui sono scambiati i flussi di interessi; f) i diversi tassi di interesse (interest rate) da applicare al capitale.

Ma, sul piano pratico, qual’è la causa alla base del contratto di swap?

Considerata la natura aleatoria di tale tipologia contrattuale, basata sulle rispettive aspettative sul mercato dei tassi, si è provato ad individuare la causa dell’IRS nella nozione di scommessa.

Le Sezioni Unite, però, nel 2020[2], hanno chiarito che il derivato non può essere equiparato ad una semplice scommessa fra due parte (banca venditrice e cliente sottoscrittore).

Infatti, ad avviso della giurisprudenza, ciò che distingue l’IRS dalla comune scommessa è proprio la complessità della vicenda e la professionalità dei soggetti coinvolti, sicché l’impostazione più attenta rinviene la causa dell’IRS nella negoziazione e nella monetizzazione di un rischio, atteso che quello strumento contrattuale: a) si forma nel mercato finanziario, con regole sue proprie; di frequente consuetudinarie e tipiche della comunità degli investitori; riguarda un rischio finanziario che può essere delle parti, ma può pure non appartenere loro; b) concerne dei differenziali calcolati su dei flussi di denaro destinati a formarsi durante un lasso temporale più o meno lungo; c) è espressione di una logica probabilistica, non avendo ad oggetto un’entità specificamente ed esattamente determinata; d) è il risultato di una tradizione giuridica diversa dalla nostra.

A fini puramente descrittivi e semplificativi, si potrebbe dire che l’IRS consiste in una sorta di scommessa finanziaria differenziale (in quest’ultimo aggettivo essendo presente un riferimento alla determinazione solo probabilistica dei suoi effetti ed alla durata nel tempo del rapporto)[3].

In considerazione di una così peculiare causa, ci si è domandati se e quando i contratti IRS possono effettivamente ritenersi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c..

Le Sezioni Unite, pochi anni fa, hanno precisato che occorre verificare se fra le parti sia stato possibile raggiungere un accordo sulla misura dell’alea assunta con la sottoscrizione dell’IRS, perchè tale peculiare forma di scommessa è ammessa dal legislatore quando sia connotata da “razionalità”, nel senso che la misura del rischio assunto con il derivato deve essere intellegibile anche da chi acquista questo tipo di strumento finanziario.

Da questo punto di vista l’IRS rappresenta una scommessa “razionale” dell’investitore quando il contratto esplicita gli elementi che consentano di avere consapevolezza del grado di rischio della scommessa.

Ed è qui che, secondo la Corte napoletana, entra in scena il mark to market.

Il mark to market, riprendendo le S.U. del 2020, rappresenta il cd. costo di sostituzione, ossia il costo al quale una parte può anticipatamente chiudere il contratto o un terzo estraneo all’operazione è disposto, alla data della valutazione, a subentrare nel derivato: così da divenire, in pratica, il valore corrente di mercato dello swap.

Di conseguenza, tecnicamente parlando, il mark to market esprime un valore e non un prezzo. Si tratta, insomma, di una grandezza monetaria teorica calcolata per l’ipotesi di cessazione del contratto IRS prima del suo termine naturale.

Orbene, ad avviso della Corte napoletana, fra gli elementi che consentano una misurazione dell’alea che permea lo specifico IRS non può non rientrare anche il sopra definito mark to market, ma non solo.

La pronuncia annotata ricorda, infatti, che l’accordo fra investitore e banca non deve investire solo

il mark to market, per la stipula di una scommessa valida in quanto razionale e consapevole, ma deve avere ad oggetto i cd. scenari probabilistici del derivato, nonchè i costi impliciti nello stesso derivato, riconducendosi a questi lo squilibrio iniziale dell’alea, misurato in termini probabilistici.

La Corte di Appello, date queste premesse, prende in esame il motivo di appello che censurava la nullità del derivato IRS per mancata indicazione del mark to market e degli altri elementi utili alla configurazione di una scommessa “razionale” da parte dell’investitore, tale da rendere ammissibile il derivato in contestazione.

La Corte di appello, a riguardo, si sofferma dapprima sul profilo degli eventuali costi impliciti dello swap, rilevando che quello di specie non era par, ovvero equilibrato, rispetto alle condizioni iniziali.

Precisa, in merito, che uno swap non par, ossia squilibrato a favore della banca alle condizioni di partenza è di per sè lecito, a patto che vi sia un esborso iniziale da parte del venditore per riequilibrare le deteriori condizioni di partenza del derivato accettate dall’investitore.

Questo tipo di compensazione viene definita upfront.

I derivati privi di clausola upfront, come quello all’attenzione della Corte, sono altrettanto validi, dovendo intendersi come costo dell’operazione ovvero come prezzo per il servizio fornito dall’intermediario, l’iniziale valore negativo del derivato, sbilanciato a sfavore dell’investitore.

Prosegue la Corte affermando che la questione non riguarda il margine – più o meno elevato – per la banca, a sfavore del cliente, ma l’esplicitazione del costo del derivato per il cliente e la sua contrattualizzazione.

In sostanza, il focus, secondo la Corte, consiste nel verificare se il costo del derivato sia stato esplicitato nell’oggetto del contratto e se su tale costo sia stato raggiunto un accordo negoziale fra le parti.

Difatti, il differenziale iniziale a sfavore dell’investitore – non riequilibrato con la clausola upfront – integra, una componente essenziale del contratto, sia in quanto onere sul quale necessariamente deve convergere l’accordo negoziale delle parti, sia in quanto componente che, determinando di fatto uno squilibrio iniziale dello swap (con passaggio dal suo valore teorico al valore di mercato), influisce sulla misura dell’alea che le contrapposte parti si assumono.

Lo swap non par deve, pertanto, evidenziare anche il costo del derivato, esplicitandolo in contratto, di modo che anche su tale elemento sia raggiunto l’accordo delle parti.

La pronuncia, poi, prosegue discorrendo del cd. mark to market.

Premette la Corte che un’operazione in derivati può divenire non par (ossia disequilibrata) non solo in partenza ma anche durante l’evolversi del rapporto.

In ipotesi di squilibri sopravvenuti nel corso della durata del derivato, lo squilibrio potrebbe indurre le parti a sciogliersi dal contratto.

Ed è qui che torna in gioco il mark to market che, come ricordato poc’anzi, rappresenta il costo per la chiusura anticipata del derivato.

Il mark to market – la cui locuzione significa “marcare il mercato” – esprime un metodo valutativo di un derivato e nasce come strumento di monitoraggio e criterio di calcolo della marginazione.

Il metodo de quo consiste, in particolare, in una simulazione giornaliera di chiusura della posizione contrattuale e di stima del conseguente debito/credito delle parti.

Ebbene, secondo la Corte d’Appello, la mancata pattuizione del mark to market implica, al pari della mancata esternazione dei costi impliciti, la nullità del derivato.

Il mark to market, come i costi impliciti e gli scenari probabilistici del derivato, inciderebbero, infatti, sulla causa e/o sull’oggetto del contratto IRS.

La circostanza – ossia la mancata pattuizione del mark to market ovvero degli altri elementi utili a misurare l’alea del contratto – incidono particolarmente sulla determinabilità dell’oggetto del contratto.

In questo senso, la Corte d’Appello riprende e rilegge le Sezioni Unite del 2020, che farebbero rientrare la misurazione del rischio del derivato nell’oggetto del contratto.

Ed in quest’ottica, peraltro, la misurabilità/determinabilità dell’oggetto non dovrebbe essere limitata al mark to market (che pure può determinarsi in modalità differenti) ma dovrebbe comprendere anche gli scenari probabilistici dello strumento finanziario e i suoi eventuali costi impliciti, su cui deve formarsi l’accordo delle parti, a pena di nullità del derivato stesso.

Conclude, pertanto, la Corte d’Appello, aderendo a quell’orientamento di merito per il quale

sarebbe evidente che le Sezioni Unite avrebbero indicato il mark to market, gli scenari probabilistici e i costi impliciti del derivato quali elementi essenziali del contratto, che devono sempre sussistere a pena di nullità, per indeterminabilità dell’oggetto.

In altri termini, l’indicazione del mark to market, che individua il valore del contratto ad una certa data, nonché l’esplicitazione dei costi impliciti e dei cc.dd. “scenari probabilistici”, finisce con il rappresentare il contenuto di un’obbligazione che sorge con la stipula del contratto concorrendo ad integrarne la determinabilità del suo oggetto.

Non si tratterebbe, allora, di semplice violazione di obblighi informativi (come tale idonea a determinare solo eventuali responsabilità risarcitorie, sulle quali, peraltro, aveva fatto leva il Tribunale di Napoli in primo grado), ma di una carenza che – tenuto conto delle descritte peculiarità caratterizzanti la causa e l’oggetto dello strumento in esame, nonché delle innegabili interazioni tra essi configurabili – investe proprio l’essenza (di una parte) dell’accordo, vale a dire del contratto medesimo (quest’ultimo consistendo, appunto, in un “accordo”, ai sensi degli artt. 1321 e 1325, n. 1, e.e.), così da cagionarne la nullità (il dovere di informazione, invece, è fuori dal contratto ed è oggetto di mera obbligazione di una delle parti, sanzionata, come si è già detto, con la responsabilità per i danni, e non con la nullità).

 

Quanto al mark to market, nel caso di specie, la Corte precisa, altresì, che la mera deduzione, nelle pattuizioni contrattuali, di un indice numerico di riferimento non è suscettibile di consentire il superamento del sindacato di determinabilità dell’oggetto.

Il mark to market deve, pertanto, essere determinabile e per tanto non è sufficiente una mera indicazione numerica o la sua precisazione successiva nella fase esecutiva del rapporto.

Ed al pari di questo, per la sicura determinabilità dell’oggetto del contratto di swap, devono essere esplicitati anche gli scenari probabilistici dell’operazione e i suoi eventuali costi impliciti, sì da consentire una consapevole gestione del rischio finanziario insito nel derivato.

Ciò allo scopo di responsabilizzare l’intermediario/banca a fornire tutte le indicazioni che possono incidere sull’alea di un derivato OTC (over the counter).

Nella fattispecie decisa dalla Corte di Appello, mancava ogni riferimento al mark to market nel contratto di derivato, mentre nel contratto quadro lo stesso era indicato in termini del tutto generici ed insufficienti, non rilevando la comunicazione del valore di tale indice in corso di rapporto, dovendo essere individuabile sin dall’origine ossia sin dalla sottoscrizione del contratto. Il mark to market, secondo i Giudici napoletani, deve essere ben esplicitato in contratto, anche mediante l’indicazione della formula matematica per la determinazione del suo calcolo, che è elemento indefettibile dell’IRS.

Per tutto quanto sopra, veniva, quindi, dichiarata la nullità del derivato e accolto il gravame degli appellanti.

La pronuncia in commento è certamente pregevole per la chiarezza del proprio excursus esplicativo in tema di derivati, ma rappresenta anche un ulteriore passo a favore del consolidamento dell’orientamento che ha dato una chiave di lettura delle Sezioni Unite favorevole agli investitori, ritenendo che i Supremi Giudici, nella loro più autorevole composizione, abbiano ritenuto che il mark to market sia elemento essenziale del derivato, la cui mancanza, tra gli altri, incide sulla determinabilità dell’oggetto del contratto, provocandone, per l’effetto, la nullità[4].

 

 

_____________________________________________

[1] Cfr. App. Napoli, Sez. III, sentenza 1541/2021.

[2] Cfr. Cass. Civ., S.U., n. 8770/2020.

[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 29 luglio 2021, n. 21830, con nota adesiva di A. Zurlo in questo portale “La scommessa razionale e gli swap: la centralità del mark to market”.

[4] In senso opposto alla decisione della Corte di Appello di Napoli si vedano, ex multis, di recente: Tribunale sez. II – Reggio Emilia, 23/02/2023, n. 227 e Tribunale di Milano, 06 marzo 2023, n. 1717.

Seguici sui social: