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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 11 ottobre 2023, n. 28425.

Con la sentenza in commento la III Sezione della Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema dell’onere della prova che incombe in capo al contumace involontario ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione tardiva. La pronuncia, pur ponendosi nel solco della giurisprudenza della Corte, offre un principio di diritto “aggiornato” alla corretta qualificazione dei vizi delle notificazioni offerta dalla Sezioni Unite, affermando che “ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione tardiva del cd. contumace involontario, ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., grava su quest’ultimo l’onere di allegare e dimostrare non solo la causa della eventuale nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, ma anche di non aver avuto conoscenza del processo in conseguenza di quel vizio; peraltro, nell’ipotesi in cui la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio sia stata invalidamente eseguita in luogo o con consegna a persona che non hanno alcun collegamento col destinatario della notifica, la relativa allegazione deve considerarsi implicita nella specifica allegazione dello stesso vizio della notificazione e, in tal caso, non può affermarsi alcuna presunzione “iuris tantum” di conoscenza del processo da parte dell’impugnante, onde grava sulla controparte l’onere di dimostrare che tale conoscenza vi sia eventualmente stata ugualmente”.

 

1. Introduzione.

La pronuncia in commento si segnala per l’opera di coordinamento di due consolidati orientamenti giurisprudenziali.

Il primo riguarda la corretta qualificazione dei vizi della notificazione, che ha circoscritto le ipotesi di inesistenza della notifica ai soli casi in cui difettino gli elementi costitutivi essenziali idonei a riconoscere un attività quale notificazione.

Il secondo, ha invece ad oggetto l’onere della prova che incombe in capo al contumace involontario per l’ammissibilità della propria impugnazione tardiva e che distingueva fra ipotesi di notificazione inesistente, rispetto  alle quali l’unico onere in capo al contumace è quello di provare, per l’appunto, l’inesistenza della notificazione, dall’ipotesi di notificazione nulla, ipotesi nella quale il contumace è onerato di provare non soltanto la nullità della notificazione, ma anche di non aver avuto effettiva conoscenza del processo.

Il terreno di confronto è quello della corretta applicazione dell’art. 327, II comma c.p.c., in forza del quale la decadenza dall’impugnazione non si applica quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292.

 

2. Il caso concreto.

Il ricorrente propone appello, nel 2018, avverso una sentenza pronunciata e notificata nel corso del 2014, in forza della quale l’attore aveva inoltre, nel 2015, effettuato un pignoramento immobiliare.

Con l’appello, il convenuto deduce di non aver avuto conoscenza alcuna dell’avvio del processo e del suo esito, né tantomeno del procedimento esecutivo avviato in forza della sentenza pronunciata in sua contumacia.

Allega di aver avuto conoscenza dei fatti solo nel corso del 2018, attraverso una istanza di accesso agli atti nel procedimento esecutivo, a seguito della quale ha proposto appello nel termine di sei mesi dalla effettiva conoscenza.

Eccepisce la nullità delle notifiche effettuate, tutte a mezzo deposito nella casa comunale ex art. 143 c.p.c. in asserita assenza delle doverose ricerche anagrafiche.

La Corte d’Appello dichiara inammissibile il gravame, ritenendolo tardivo. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il convenuto contumace.

 

3. Le questioni affrontate.

3.1.- La rilevabilità d’ufficio del vizio di notifica della sentenza ai fini dell’applicazione del c.c. termine breve ex art. 327 c.p.c.

Il primo dei temi affrontati dalla pronuncia in commento, marginale rispetto al cuore delle questioni affrontate, riguarda la rilevabilità d’ufficio della nullità della notifica ai fini dell’applicazione del c.d. termine breve.

La Corte d’appello aveva infatti dichiarato tardivo l’appello proposto, applicando il c.d. termine breve di cui all’art. 327 c.p.c., rilevando come nell’atto di appello non si rinvenisse una precisa eccezione di nullità della notificazione della sentenza appellata, ma solo una contestazione della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Tanto perché la valida notificazione della sentenza al contumace involontario è idonea a far decorrere il termine breve per proporre impugnazione[1].

La Suprema Corte al punto n. 2 di parte motiva, pur rilevando come, nei fatti, nell’appello fosse contestata anche la notificazione della sentenza, richiamando un proprio precedente[2] afferma che, prima di dichiarare la tardività dell’impugnazione per il decorso del termine breve, il giudice dell’appello deve verificare, anche d’ufficio, la regolarità della notificazione della sentenza, precisando che la verifica d’ufficio non può naturalmente riguardare la legittimazione della persona che ha ritirato l’atto, circostanza che deve necessariamente essere dedotta dalla parte.

 

3.2 L’onere della prova in capo al contumace involontario.

La sentenza passa poi ad affrontare il tema centrale della questione, analizzando il decisum del giudice dell’appello nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l’impugnazione proposta dal contumace perché non sarebbe stata fornita la prova della non conoscenza del processo da parte del contumace.

Con il proprio ricorso per cassazione, infatti, il contumace ha dedotto di non essere onerato di dimostrare la mancata conoscenza del processo in conseguenza del vizio di notificazione dell’atto introduttivo, tanto perché il vizio dedotto importava la inesistenza giuridica della notificazione e non la mera nullità.

Richiama in tal senso un precedente di legittimità[3] che ha affermato che, nel caso di inesistenza giuridica della notificazione, la mancata conoscenza del processo si produce iuris tantum, mentre al contrario, nel caso di nullità della notificazione, incombe in capo al contumace l’onere di provare che il vizio della notifica ha impedito la materiale conoscenza  dell’atto.

 

3.2.1. La corretta qualificazione dei vizi di notificazione

La sentenza in commento principia il proprio iter argomentativo tracciando, nel solco di quanto affermato dal massimo consesso nel 2016[4], il netto confine fra l’ipotesi, oramai residuale, di inesistenza giuridica della notificazione e nullità della stessa.

La pronuncia riconosce infatti come,  a seguito del richiamato intervento nomofilattico, costituisca ormai principio pacifico in subiecta materia quello in forza del quale l’inesistenza della notificazione è configurabile, oltre che nel caso di mancanza materiale dell’atto, esclusivamente in ipotesi nelle quali difettino gli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione.

Tali elementi costitutivi consistono: i) nell’attività di trasmissione svolta da un soggetto qualificato; ii) nella fase di consegna, da intendersi in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione, ricorrendo in ogni caso in cui la notificazione possa dirsi per legge eseguita.

Ogni altra ipotesi di difformità dal modello notificatorio deve invece essere correttamente qualificata come nullità.

Richiamata la pronuncia delle Sezioni Unite, la sentenza in commento può agevolmente affermare che, nonostante la qualificazione del vizio della notificazione effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in mancanza dei relativi presupposti sia stata in giurisprudenza oscillante[5] fra nullità ed inesistenza, dopo la pronuncia delle Sezioni Unite non può più dubitarsi della mera nullità della stessa, dovendo escludersi che ricorra nel caso di specie una delle ipotesi di inesistenza.

 

3.2.2. Orientamenti giurisprudenziali e semplificazioni lessicali.

Acclarata la natura del vizio che affligge la notificazione effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in assenza dei presupposti di legge, la Corte passa poi ad interrogarsi su quale sia l’onere della prova che incombe sul contumace involontario, identificando due differenti orientamenti giurisprudenziali.

Il primo[6], più risalente e maggiormente garantista nei confronti del contumace, affermava che la nullità della notificazione dell’atto introduttivo comporta la presunzione della mancata conoscenza del processo da parte del contumace,  con la conseguenza che grava in capo alla controparte che eccepisca la tardività dell’impugnazione del contumace l’onere di provare l’effettiva conoscenza del processo da parte di quest’ultimo.

Tale primo orientamento è stato poi superato da un indirizzo più rigoroso[7], secondo il quale la presunzione di non conoscenza del processo opererebbe nei soli casi di inesistenza della notificazione, restando invece il contumace onerato dell’onere della prova della effettiva non conoscenza del processo in tutte le ipotesi di mera nullità.

Analizzando tale secondo indirizzo la pronuncia in commento rileva però come, al di là della qualificazione lessicale dei vizi di notificazione, il secondo orientamento distingua due diverse fattispecie concrete: i) le ipotesi in cui la notificazione è eseguita sì con modalità difformi dal modello legale, ma in luogo o con consegna a persona che lascino presumere che, in ragione del collegamento con il destinatario, questi possa aver in concreto conosciuto l’atto; ii) i casi in cui la notificazione è eseguita in luogo o a persona che no ha alcun collegamento con il destinatario e che, pertanto, non può lasciar presumere la concreta conoscenza da parte di questo.

In questo secondo orientamento giurisprudenziale la Corte riconosce una semplificazione lessicale nel descrivere, in sintesi, la seconda delle ipotesi come “inesistenza giuridica” della notificazione.    

La sentenza in commento prosegue quindi nell’affermare che questa semplificazione, pur comprensibile sino all’intervento delle Sezioni Unite sulla qualificazione dei vizi della notificazione, è oggi evidentemente superata.

 

4. Il principio di diritto affermato.

Una volta epurato l’orientamento giurisprudenziale descritto dalle disarmonie qualificatorie, la Corte rileva quindi come non vi sia un effettivo contrasto nell’individuazione delle ipotesi nelle quali l’allegazione delle caratteristiche del vizio di notificazione dell’atto introduttivo del processo è sufficiente a comportare la presunzione di mancata conoscenza del processo medesimo.

L’effettivo principio di diritto affermato circa il riparto dell’onere probatorio ai fini dell’applicabilità dell’art. 327, comma II c.p.c. può essere semplicemente “aggiornato” distinguendo non più fra nullità ed inesistenza della notificazione, bensì  fra la notificazione dell’atto introduttivo eseguita il luogo o a persona con un collegamento con il destinatario, circostanza che fa presumere quanto meno la possibilità di conoscenza del processo, e la notificazione in luogo o a persona priva di un collegamento con il destinatario, circostanza che fa invece presumere la non conoscenza del processo da parte del destinatario.

 

5. Conclusioni.

La pronuncia ha il merito di “aggiornare” l’orientamento in materia di corretta applicazione dell’art. 327, II comma c.p.c., epurandolo dalle distonie lessicali e ricercandone l’effettivo principio di diritto affermato, offrendo una interpretazione coerente e idonea a bilanciare adeguatamente i diversi interessi delle parti, superando arresti anche recenti che invece non avevano avuto la medesima attenzione.

Appena pochi mesi prima della  sentenza in commento, infatti, si era registrata una pronuncia[8] che aveva semplicisticamente affermato che nei soli casi di inesistenza della notificazione, così come definita dalle Sezioni Unite, la mancata conoscenza del processo possa presumersi dal vizio di notifica dell’atto introduttivo mentre, in tutte le ipotesi di nullità della notificazione, il contumace involontario è onerato di provare la condizione soggettiva della mancata conoscenza del processo a causa di tale nullità, eventualmente anche ricorrendo a presunzioni, ma senza poterla presumere meramente dalla stessa nullità della notificazione.

In quel precedente è mancata, al contrario della sentenza in commento, una puntuale disamina di quella che solo superficialmente veniva qualificata come inesistenza della notificazione, ma che più correttamente viene qui definita come notificazione a soggetto o in luogo privo di collegamento con il destinatario, ipotesi che non può correttamente qualificarsi come inesistenza della notifica ma che, pur restando nel campo della mera nullità, lascia legittimamente presumere che il destinatario non abbia avuto conoscenza del processo instaurato.

 

 

 

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[1] Cass. civ., VI Sez., ord. 06 aprile 2018, n. 8593.

[2] Cass. Civ., Sez. Lav., sent. 19 maggio 1982, n. 3091.

[3] Cass. Civ., III Sez., sent. 3 luglio 2008, n. 18243.

[4] Cass. Civ. SS.UU., sent. 20 luglio 2016, n. 14916 in Foro it., 2017, parte I, col. 690, con nota di M. Adorno.

[5] Cass. Civ., I Sez., sent. 5 agosto 2016, n. 16527; Cass. Civ., III Sez., sent. 31 agosto 2015 n. 17307; Cass. Civ. III Sez., sent. 7 febbraio 2008, n. 2909.

[6] Cass. Civ., Sez. Lav, sent. 16 aprile 2008, n. 9989, Cass. Civ., I Sez., sent. 26 agosto 2004, n. 17014.

[7] Cass. Civ., V Sez., sent. 19 gennaio 2018, n. 1308; Cass. Civ., VI Sez., sent. 30 settembre 2015, n. 19574; Cass. Civ. III Sez., sent. 3 luglio 2008, n. 18243.

[8] Cass. Civ., V Sez., sent. 21 febbraio 2023, n. 5366.

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