Nota a ACF, 31 ottobre 2023, n. 6947.
La controversia concerne il tema della responsabilità dell’intermediario per avere consentito di operare tramite piattaforma di trading online al cliente, che si dichiara affetto da dipendenza tecnologica.
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Il ricorrente espone di avere ripetutamente comunicato all’intermediario la propria «situazione di grave disagio fisico, ma soprattutto psichico, con il conseguente disturbo mentale sfociato nel cosiddetto “TRADING COMPULSIVO”», e ciò allo scopo di favorire una «risoluzione bonaria» del contratto di trading e di limitare i danni economici derivanti dalla patologia; l’intermediario avrebbe ignorato i «chiari e inequivocabili segnali di aiuto, provenienti oltretutto da una persona affetta da una gravissima disabilità» e anche il cambiamento avvenuto nell’ordinaria operatività, stante che, dopo avere effettuato nel decennio precedente ai fatti contestati solo un centinaio di operazioni, nell’ultimo anno fossero state eseguite «migliaia di operazioni di compravendita titoli». L’intermediario avrebbe unicamente chiuso il rapporto di conto corrente, senza attivarsi secondo gli obblighi di condotta che la legge dispone a tutela del cliente debole.
Costituendosi, l’intermediario ha chiesto il rigetto del ricorso, precisando di avere ottemperato agli obblighi normativi in materia di documentazione contrattuale e di condotta nei confronti del ricorrente; in particolare, precisa di aver provveduto a predisporre la profilatura MiFID e di averla aggiornata periodicamente, verificando (si badi, in mancanza di un servizio di consulenza), l’appropriatezza degli investimenti (con segnalazione dell’eventuale esito negativo della relativa valutazione).
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La decisione de qua richiede la definizione della portata degli obblighi dell’intermediario, nel caso in cui venga a conoscenza di circostanze che riguardano il cliente e che, nella sostanza, possono compromettere la sua capacità di agire e di adottare consapevoli decisioni di investimento. Difatti, il ricorrente, sul presupposto di una condizione di debolezza in cui si sarebbe trovato a causa di una patologica compulsione all’attività di trading finanziario online, sostiene che l’intermediario avrebbe violato i doveri di comportamento, dal momento che la previsione di cui all’art. 21 TUF, circa l’obbligo dell’intermediario di servire al meglio l’interesse del cliente, includerebbe anche quello di rifiutarsi, in casi della specie, di eseguire il contratto.
Siffatta prospettazione attorea non è meritevole di condivisione.
Invero, nella disposizione in questione, gli obblighi di correttezza e buona fede assumono una duplice anima, in quanto sono funzionali alla tutela sia dell’interesse del cliente che del mercato, rappresentando un ideale punto di confluenza di un sistema di protezione che, talvolta con i medesimi strumenti, è diretto alla tutela di interessi individuali e generali. Costituisce principio ormai acquisito quello della connessione esistente tra i due ambiti di tutela, tale per cui le regole che prevedono i requisiti per le attività degli emittenti e degli intermediari e che disciplinano i prodotti e strumenti finanziari concorrono ad assicurare le condizioni di un mercato finanziario efficiente, nel quale è essenziale preservare la libertà, oltre che la consapevolezza, delle scelte di investimento. In tale contesto, è anche vero che il punto di equilibrio si è andato progressivamente a spostare sulla centralità della figura del cliente/investitore, in linea con l’accresciuta rilevanza della persona e dei suoi diritti fondamentali anche nell’esercizio di poteri e facoltà a contenuto patrimoniale.
Pur tuttavia, poiché tra i fattori di rischio per la salvaguardia di tali valori un posto preminente spetta allo svantaggio informativo di una parte a favore dell’altro contraente, tuttora le regole di comportamento, inderogabilmente imposte dagli obblighi generali di correttezza si traducono essenzialmente in doveri di informazione.
Ne consegue che l’evoluzione della disciplina in questa materia ha rafforzato l’esigenza che i comportamenti cui sono tenuti gli intermediari nella fase precontrattuale e, dove previsto, anche esecutiva del rapporto, siano modulati sull’attenzione al dato reale, sicché l’intermediario, in ogni caso, è tenuto a verificare la rispondenza del prodotto offerto alle reali esigenze di investimento del cliente, oltre che all’interesse concreto che questi persegue. La realizzazione di tale obiettivo è affidata a una griglia predeterminata di vincoli formali che, tuttavia, richiedono un’applicazione in chiave funzionale; tra questi, ha un ruolo fondamentale l’attività di profilatura, che deve essere compiuta anche verificando l’attendibilità delle risposte ai questionari e la coerenza del quadro informativo con gli elementi obiettivi riguardanti il cliente, noti all’intermediario o che comunque quest’ultimo avrebbe potuto e dovuto conoscere; se correttamente eseguita, la profilatura consente dunque all’intermediario di svolgere con la necessaria attendibilità la valutazione dell’adeguatezza (se il contratto di investimento include il servizio di consulenza) e di appropriatezza dell’investimento, consentendo al cliente di orientare consapevolmente le proprie scelte di investimento, senza subire alcun deficit informativo sulle caratteristiche dello strumento finanziario. L’investitore conserva l’autonomia di scegliere un prodotto ancorché non adeguato o non appropriato, senza responsabilità alcuna dell’intermediario, se questi abbia provveduto a dargliene previo avviso, con modalità oggettive e verificabili.
Tale premessa è prodromica per la compiuta perimetrazione della prestazione a cui è tenuto l’intermediario, a fronte di situazioni che, pure possono verificarsi sfuggendo agli stringenti vincoli di condotta previsti, come quando le esigenze di protezione hanno origine direttamente nella situazione soggettiva del cliente.
Su questo tema, la giurisprudenza arbitrale ha ripetutamente richiamato l’attenzione degli intermediari nel considerare eventuali situazioni di vulnerabilità del cliente, ritenendo, per esempio, non legittimamente elaborato un profilo di rischio che, a fronte di un livello di istruzione modesto, contenga l’affermazione della conoscenza di prodotti finanziari complessi, ovvero, in ipotesi di età avanzata del cliente, prospetti l’interesse a un investimento di lungo periodo. Si tratta, tuttavia, di situazioni direttamente rilevanti nella prestazione cui è tenuto l’intermediario, giacché concretizzano il dovere di diligenza dell’obbligato, sia definendone l’estensione, sia costituendo il criterio di valutazione dell’esattezza della prestazione.
La situazione prospettata dall’odierno ricorrente non rientra in alcuna di queste ipotesi. L’anomalia comportamentale dedotta, quand’anche causa di una patologia clinica, non è fonte di alcun obbligo ulteriore di comportamento in capo all’intermediario; non lo è per le ragioni sopra esposte, che definiscono, come visto, il perimetro della rilevanza della situazione personale del cliente, non lo è anche per l’assenza di strumenti di monitoraggio e verifica che (a prescindere dall’insostenibilità dei relativi oneri) consentirebbero all’intermediario di accertare con un ragionevole grado di certezza che il cliente versa in uno stato soggettivo peculiare e che tale condizione ha inficiato la sua capacità di valutazione e giudizio. Nel caso di specie, peraltro, il ricorrente non risulta aver messo nella disponibilità dell’intermediario alcuna documentazione (medica o di altro genere) a dimostrazione dell’asserita patologia, e nemmeno ha provato la sua affermazione in questo procedimento, a fronte del che non può che ritenersi inverosimile l’assunto dell’istante secondo cui la resistente avrebbe dovuto avvedersene sulla base del solo incremento, pur significativo, delle transazioni eseguite dal cliente.
Per converso, accertata l’appropriatezza delle operazioni ovvero informato il cliente della relativa valutazione negativa, parte resistente ha adempiuto correttamente alle proprie obbligazioni. L’odierno ricorrente, alla luce anche della consapevolezza della (asserita ma non provata) condizione patologica (che avrebbe compromesso la sua capacità di agire), avrebbe potuto attivare le misure di protezione previste dalla disciplina generale civilistica (chiedendo, per esempio, la nomina di un amministratore di sostegno, che, come noto, rappresenta un istituto di notevole efficienza e flessibilità).
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Info sull'autore
Associato dello Studio Legale "Greco Gigante & Partners" (https://studiolegalegrecogigante.it/). Cultore della materia di Diritto Privato e di Diritto del Risparmio, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento. Contatti: 0832305597 - a.zurlo@studiolegalegrecogigante.it