Nota a Cass. Civ., Sez. III, 20 settembre 2023, n. 26957.
Con l’ordinanza in commento, la Terza Sezione Civile della Cassazione, nel rigettare il ricorso promosso da garanti attinti da una fideiussione riproduttiva delle clausole illecite di cui allo schema ABI, afferma: “la presenza di clausole in violazione delle norme sulla concorrenza nel singolo contratto di fideiussione non potrebbe mai comportare la nullità dell’intero contratto ma, al più, la nullità delle singole clausole, accompagnata, ove tale domanda sia stata proposta e il danno provato, dal risarcimento del danno”.
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Introduzione.
La pronuncia della sezione semplice, resa a distanza di quasi due anni dalla nota sentenza n. 41994/2021 delle Sezioni Unite, impone di “riscrivere” in ordine alle questioni già affrontate dal Supremo Consesso nomofilattico, i cui principi, tuttavia, sembrano essere stati ignorati dall’ordinanza all’esame, che neppure li richiama nel corpo del provvedimento.
Le questioni involgono:
– la natura del rimedio approntato dall’ordinamento a fronte della violazione della normativa antitrust in relazione ad intese anticoncorrenziali “a monte” attuate da intese “a valle” (nella specie una fideiussione riproduttiva dello schema ABI), se rimedio di tipo reale o risarcitorio, ovvero entrambi i rimedi;
– (una volta stabilito il rimedio) l’individuazione della relativa portata, segnatamente in relazione al rimedio reale, se si tratti di una nullità solo parziale ovvero estensibile all’intero negozio, e quindi di una nullità totale.
Le questioni muovono, nella tematica qui affrontata, dagli accertamenti compiuti dalla Banca d’Italia, nella funzione, all’epoca dei fatti, di Autorità Antitrust, in ordine alla compatibilità ai fini della normativa a tutela della concorrenza delle condizioni standardizzate refluite nello schema di fideiussione concordato dalle imprese bancarie in seno all’ABI, e che, come altrettanto noto, è compatibilità che è stata esclusa dal Provvedimento n.55/2005 dell’Authority, in particolare per le clausole di c.d. reviviscenza (art.2), di deroga al disposto dell’art. 1957 c.c. (art.6) e di c.d. sopravvivenza (art.8).
Fattispecie processuale.
Questi i fatti ripercorsi nell’ordinanza in commento.
Ricorrono per cassazione tre garanti attinti da un decreto ingiuntivo ottenuto da una banca, decreto per cui era stata promossa opposizione.
L’opposizione veniva affidata a una pluralità di motivi, sollevando, per quanto qui rileva, i garanti eccezione di nullità della fideiussione fondante la domanda di pagamento della banca, in quanto conforme allo schema negoziale predisposto dall’ABI, contenente: la clausola c.d. di reviviscenza (clausola n. 2); la clausola di deroga all’art. 1957 c.c. (clausola n. 6) e la clausola c.d. di sopravvivenza (clausola n. 8). Trattasi delle tre clausole sanzionate dal Provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia (all’epoca Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel settore bancario, ex art. 20 L. n. 287/1990) perché violative dell’art. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 /1990. I garanti chiedevano l’accertamento in via incidentale (34 c.p.c.) della nullità totale della fideiussione per violazione dell’art. 2, comma 3 L. 287/1990, sostenendo che dalla nullità delle singole clausole anticoncorrenziali discendesse la nullità dell’intero contratto.
La tesi sostenuta dai garanti non veniva condivisa né dal Tribunale né dalla Corte di Appello, la quale ultima, difatti, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale richiamato, afferma che l’inserimento nella fideiussione delle clausole anticoncorrenziali, frutto di un’intesa dichiarata nulla dall’Autorità Antitrust, non comporta la nullità dell’intero contratto, al più potendo, da un lato, implicare la nullità delle singole clausole e, dall’altro lato, rilevare sotto il profilo della configurabilità di un obbligo in capo all’istituto di credito di risarcire il danno, sussistendone prova ad opera del correntista.
Più in particolare, la Corte di Appello osservava come nella specie non avessero rilievo le clausole anticoncorrenziali, posto che l’applicazione delle clausole c.d. di reviviscenza e di c.d. sopravvivenza non era stata invocata da alcuna delle due parti, mentre, quanto alla clausola di rinuncia alla facoltà prevista dall’art. 1957 c.c., la banca aveva provveduto all’avvio dell’azione giudiziaria entro il termine di sei mesi dal recesso dal rapporto di conto corrente, quindi senza essersi avvalsa della predetta clausola.
La Corte di Appello riteneva, in sostanza, il tema della invalidità delle tre clausole riproduttive dello schema ABI, contenute nella fideiussione in contestazione, non dirimente.
I garanti censuravano in sede di legittimità il decisum della Corte di Appello, evidenziando come tale interpretazione non contribuisse all’eliminazione dei comportamenti lesivi della concorrenza posti in essere dalle banche per una malintesa esigenza di salvaguardare a tutti i costi la validità del contratto. Aggiungevano, poi, come l’esistenza dell’intesa anticoncorrenziale avesse di fatto conculcato la facoltà di scelta di essi fideiussori, come di tutti gli altri clienti, i quali non avevano potuto far altro che scegliere contratti di fideiussione identici predisposti in aderenza al cosiddetto schema ABI poi definito dall’Antitrust in violazione della concorrenza.
Le sentenze di merito, da cui promana l’ordinanza in commento, sono anteriori alle statuizioni delle Sezioni Unite della Cassazione di cui alla sentenza n. 41994/2021 e, seppur il ricorso per cassazione sia stato depositato nel 2020, la pronuncia in commento (confermativa delle statuizioni di merito) interviene dopo il decisum del Supremo Consesso.
Le questioni.
- La genesi del dibattito.
1.1. La vexata quaestio dell’interferenza tra diritto e sanzioni antitrust e disciplina del contratto ha assunto negli ultimi anni portata rilevante, segnatamente, in ordine all’individuazione delle conseguenze giuridiche che un’intesa restrittiva della concorrenza raggiunta tra imprese, e quindi nulla ai sensi degli artt. 2, commi 2 e 3, L. n. 287/1990, nonché art. 101 TFUE, può produrre sui contratti attuativi dell’accordo vietato, conclusi dalle imprese partecipanti all’intesa con soggetti privati, utenti del mercato, ad essa estranei.
Invero, in dottrina e giurisprudenza si è discusso delle modalità con le quali l’eventuale accertamento della nullità dell’intesa restrittiva si riflette sugli atti negoziali compiuti “a valle”.
Restringendo il campo alla specifica tematica qui affrontata, è noto che sin dal 7.03.2003, ma per il vero sin dal 1964 e così a seguire (1987, 1995)[1], l’ABI aveva “immesso” nel sistema creditizio uno schema standard di contratto di fideiussione per operazioni bancarie, volto a rafforzare la posizione dell’intermediario creditore nei confronti del fideiussore mediante l’inserimento, nel testo del contratto, di talune clausole fortemente derogatorie della disciplina prevista dal Codice Civile e idonee, in ogni caso, a garantire all’intermediario il soddisfacimento della propria pretesa restitutoria.
Questo schema di fideiussione licenziato dall’ABI, e già da tempo distribuito alle proprie associate, si era diffuso al punto da venire adoperato sistematicamente da tutti gli intermediari associati, assurgendo a “schema standard” di contratto di fideiussione bancaria, ai sensi dell’art. 1341 c.c.
Si trattava di modello riproposto tel quel dal ceto bancario a tutti coloro i quali rilasciavano la garanzia a copertura delle obbligazioni assunte dal debitore principale nei confronti dell’intermediario che, a sua volta, “in cambio”, avrebbe assicurato l’accesso al credito al debitore principale.
1.2. Sennonché, a seguito dell’istruttoria compiuta sui modelli di garanzia già da tempo in uso presso gli intermediari associati all’ABI, come poi formalizzati anche nello schema di contratto licenziato nell’ottobre del 2002[2], l’Autorità Antitrust con il Provvedimento n. 55 del 2.05.2005, reso su parere conforme dell’AGCM del 20.04.2005, statuiva che le condizioni generali di contratto di garanzia configurate dagli artt. 2, 6 e 8 dello schema– id est le clausole di c.d. reviviscenza, di deroga all’art. 1957 c.c. e di sopravvivenza – si ponevano in contrasto con l’art. 2, comma 2, lettera a) della Legge 287/1990.
Dall’accertamento compiuto dalla Banca d’Italia nel 2005 era emerso, difatti, come le condizioni onerose in parola -di deroga all’archetipo codicistico- comportassero un ingiustificato significativo squilibrio e aggravamento della posizione contrattuale del garante delle banche, addossando al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca, ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa (cfr. par. 96, Provv. n.55/2005).
In particolare, rileva l’Autorità Garante, nello specifico di ogni condizione generale di contratto, che:
– quanto all’art. 2 (v. parr. 84 e 85 Provv. n.55/2005) «84. La clausola che dispone la “reviviscenza” della garanzia dopo l’estinzione del debito principale (art. 2 dello schema) impegna il fideiussore a tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento, anche quando egli abbia confidato nell’estinzione della garanzia a seguito del pagamento del debitore e abbia conseguentemente trascurato di tutelare le proprie ragioni di regresso nei confronti di quest’ultimo (cfr. art. 1953 cod. civ.). Da ciò derivano conseguenze particolarmente pregiudizievoli per il garante quando l’obbligo di restituzione della banca sia determinato dalla declaratoria di inefficacia o dalla revoca dei pagamenti eseguiti dal debitore a seguito di fallimento dello stesso. 85. Inoltre, la clausola in questione può comportare la deroga all’art. 1945 cod. civ. in tutti i casi in cui il debitore agisca nei confronti della banca per la restituzione di quanto ritenga di aver pagato in eccedenza rispetto al dovuto. In tal caso il fideiussore sarebbe comunque impegnato a rimborsare alla banca le somme che la stessa fosse tenuta a restituire all’originario debitore, senza poter far valere le eccezioni di pertinenza del debitore»;
– quanto all’art. 6 (v. par. 83, Provv. n.55/2005): «83. Con riferimento alla deroga all’art. 1957 cod. civ. configurata dall’art. 6 dello schema ABI, occorre rilevare che essa ha la funzione di esonerare la banca dal proporre e proseguire diligentemente le proprie istanze, nei confronti del debitore e del fideiussore, entro i termini previsti da detta norma. Tale clausola, pertanto, appare suscettibile di arrecare un significativo vantaggio non tanto al debitore in difficoltà – come ritiene l’ABI – quanto piuttosto alla banca creditrice, che in questo modo disporrebbe di un termine molto lungo (coincidente con quello della prescrizione dei suoi diritti verso il garantito) per far valere la garanzia fideiussoria. Ne potrebbe risultare disincentivata la diligenza della banca nel proporre le proprie istanze e conseguentemente sbilanciata la posizione della banca stessa a svantaggio del garante»;
– quanto all’art. 8 (v. par. 86 Provv. n.55/2005): «86. L’art. 8 dello schema estende la garanzia anche agli obblighi di restituzione del debitore, derivanti dall’invalidità del rapporto principale. Tali obblighi sono ulteriori e diversi rispetto a quelli di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni assunte dal debitore in forza dei rapporti creditizi cui accede la fideiussione. Pertanto, una siffatta previsione non appare connaturata all’essenza del rapporto di garanzia e potrebbe, per converso, indurre la banca, in sede di concessione del credito, a dedicare una minore attenzione alla validità o all’efficacia del rapporto instaurato con il debitore principale; essa, infatti, potrebbe comunque contare sulla permanenza dell’obbligazione di garanzia in capo al fideiussore omnibus al fine di ottenere il rimborso delle somme a qualsivoglia titolo erogate».
In sostanza, secondo l’Autorità Antitrust, le condizioni standardizzate configurate dagli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale all’esame non risultavano giustificate da alcuna esigenza di tutela del sistema del credito, come costituzionalmente inteso (47 Cost. e 41 Cost.), esonerando vieppiù ex ante le banche dall’osservanza dei propri obblighi istituzionali concernenti l’attivazione per la pronta tutela del credito.
Ciò che, inoltre, rendeva le dette condizioni onerose in contrasto con quanto imposto dall’ordinamento agli intermediari bancari: oltre che dalla Costituzione, anche dal Testo Unico Bancario (cfr. par. 96 Provv. n.55/2005[3]).
Beninteso che le argomentazioni portate da Banca d’Italia in detto provvedimento non muovevano da un rigetto tout court del concetto di standardizzazione contrattuale come di un quid di per sé lesivo della concorrenza, dovendo piuttosto rilevare in questo senso, secondo quanto si legge nel provvedimento, solo «gli schemi contrattuali atti a: – fissare condizioni aventi, direttamente o indirettamente, incidenza economica, in particolare quando potenzialmente funzionali a un assetto significativamente non equilibrato degli interessi delle parti contraenti; – precludere o limitare in modo significativo la possibilità per le aziende associate di differenziare, anche sull’insieme degli elementi contrattuali, il prodotto offerto. Ciò che rileva, quindi, è la capacità dello schema di determinare – attraverso la standardizzazione contrattuale – una situazione di uniformità idonea a incidere su aspetti rilevanti per i profili di tutela della concorrenza».
In definitiva, per la Banca d’Italia, le intese vietate sono quelle aventi per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza e la standardizzazione contrattuale è anticoncorrenziale nell’ipotesi in cui gli schemi contrattuali prevedano clausole, incidenti su aspetti significativi del negozio, che impediscano «un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti» (cfr. par. 94 Provv. n. 55/2005).
E tali sono in finale le clausole oggetto di censura con il Provvedimento antitrust n. 55/2005.
1.3. Successivamente all’intervento sanzionatorio/demolitore della Banca d’Italia, malgrado anche l’elisione da parte di ABI nel relativo schema di fideiussione delle clausole giudicate illecite, la gran parte degli intermediari ha, tuttavia, continuato ininterrottamente a sottoporre alla clientela modulistica contenente sempre gli artt. 2, 6 e 8 dell’originario modello, perpetrando così l’intesa anticoncorrenziale.
1.4. La capillare diffusione del modello di fideiussione schema ABI (rectius attuazione dell’intesa anticoncorrenziale) ha comportato negli anni il formarsi di un consistente contenzioso relativo alla (in)validità delle garanzie per operazioni bancarie sottoscritte dai singoli fideiussori e riproduttive delle clausole del citato modello ABI, ritenute illecite dall’Autorità Antitrust.
Ebbene, in tale disputa, peculiare centralità, da subito, è stata assunta dai rimedi esperibili da parte del fideiussore-sottoscrittore di contratto di garanzia riproduttivo delle clausole menzionate.
La questione, risolta negli anni con soluzioni talvolta difformi da parte sia della dottrina sia della giurisprudenza, nel 2021 è, finalmente, approdata alle Sezioni Unite della Cassazione per l’enunciazione del relativo principio di diritto nomofilattico.
- La soluzione delle Sezioni Unite: la sentenza n. 41994/2021.
2.1. Con pronuncia n. 41994 del 30.12.2021 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sollecitate con ordinanza interlocutoria n. 11486 del 30.04.2021 in relazione alla duplice questione a lungo dibattuta, hanno statuito:
– in primo luogo, che deve escludersi la idoneità della sola tutela risarcitoria, disgiunta da quella reale, in quanto è solo dalla combinazione delle due tutele che si realizzano le finalità perseguite dalla normativa antitrust;
– in secondo luogo, che «i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità̀ Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, comma 3 della Legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà̀ delle parti».
2.1.1. Quanto alla prima questione, il ragionamento delle Sezioni Unite muove da una considerazione: se è vero che, in forza dell’art. 1322 c.c., le parti sono libere di derogare alla disciplina tipica dettata in materia di fideiussione, è parimenti vero che l’autonomia privata incontra e deve rispettare i limiti imposti dalla legge, ivi compresi quelli dettati dalle norme antitrust che sono finalizzati non solo ad assicurare il corretto funzionamento del mercato, sintesi oggettiva e non mero cumulo degli interessi individuali degli imprenditori che vi operano, bensì anche la salvaguardia delle prerogative degli utenti del mercato portatori di un interesse superindividuale, avente rango costituzionale (art. 41 Cost.) e unionale (v. anche art. 3 TUE[4]), quale è la concorrenza.
In altri termini, la Corte ritiene che l’inserimento nei contratti operativi dell’attività di impresa di clausole anticoncorrenziali violi norme di ordine pubblico dell’ordinamento.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, inoltre, affermano come il solo rimedio risarcitorio non possa essere sufficiente per dirsi effettivamente attuata la tutela del singolo utente rimasto inciso dall’intesa anticoncorrenziale. La tutela risarcitoria, infatti, non disincentiva le banche, contraenti forti, dall’inserire, nelle fideiussioni unilateralmente predisposte, le clausole di reviviscenza, sopravvivenza e di rinuncia al disposto di cui all’art. 1957 c.c.
Per le Sezioni Unite non può, difatti, «revocarsi in dubbio» che la forma di tutela risarcitoria sia «certamente ammissibile», «ma non via esclusiva, sebbene in uno all’azione di nullità», un tanto essendo imposto da «ragioni inerenti alle specifiche finalità della normativa antitrust» (cfr. par.2.13. Cass., SS.UU. n. 41994/2021).
Le Sezioni Unite, quindi, affiancano alla tutela risarcitoria la sanzione della nullità (tutela reale); e tutto questo partendo da presupposto per cui l’intesa “a monte” e la fideiussione “a valle”, seppur contratti strutturalmente distinti, partecipano «della stessa natura anticoncorrenziale», sicché la patologia dell’accordo tra imprese bancarie lesivo della concorrenza si trasmette alle clausole della garanzia personale riproducenti il contenuto del primo, e ciò in quanto essi vanno guardati alla stregua di un’operazione economica unitaria, ovvero come una serie concatenata di atti funzionalmente collegati e globalmente produttivi del risultato, vietato, della distorsione della concorrenza (cfr. par.2.5.4.1.Cass.,SS.UU.n. 41994/2021).
Chiosano le Sezioni Unite della Suprema Corte che la nullità antitrust è una “nullità speciale” e ulteriore rispetto a quelle già conosciute dall’ordinamento, essendo posta a presidio di un interesse pubblico e, di riflesso, degli interessi individuali dei soggetti che operano sul mercato. In quanto tale la detta nullità non può che colpire indistintamente tutti gli atti che si pongono in contrasto con detto interesse economico.
In conclusione, pertanto, la pronuncia della Sezioni Unite sancisce che il vero deterrente dell’illecito è la nullità (rimedio reale), quale sanzione disposta testualmente dalla legge, potendo alla stessa accompagnarsi il risarcimento del danno, il quale però, come detto, non può essere l’unico rimedio, tale non essendo la voluntas legis.
2.1.2. Quanto alla seconda questione (portata della nullità dell’intesa a monte-intesa a valle), ferma l’indubbia struttura rimediale dell’illecito antitrust di tipo, prima di tutto, reale, il Supremo Consesso la risolve ponendosi in una prospettiva di contemperamento degli interessi in gioco, rappresentati, da un lato, dalla tutela della concorrenza e, dall’altro lato, dalla tutela dei fideiussori, con accoglimento della tesi della nullità parziale, ossia circoscritta alle sole clausole delle fideiussioni riproduttive degli artt. 2, 6 e 8 dello schema ABI del 2003; e tutto questa senza però escludere tout court l’ipotesi della nullità totale.
Affermano le Sezioni Unite che, seppur si è al cospetto di una sanzione di nullità speciale, la stessa non esclude l’applicazione del principio di conservazione degli atti negoziali (1419 c.c.), sicché, ove la fideiussione riproduca le tre clausole “incriminate”, non v’è ragione di ritenere che la nullità si estenda all’intera garanzia fideiussoria, a meno che non risulti specificamente comprovata una diversa volontà dei contraenti, nel senso dell’essenzialità della parte del contratto colpita da nullità (cfr. par. 2.18,Cass., SS.UU. n. 41994/2021).
Pertanto le Sezioni Unite, in “prima battuta”, sposano, per le considerazioni svolte nella sentenza, la tesi della nullità parziale, non escludendo, tuttavia, a priori un giudizio di eventuale propagazione della nullità delle singole clausole all’intero contratto, laddove ben argomentato.
Il discorso, quindi, si sposta alle argomentazioni che possano suffragare una pronuncia di nullità totale della fideiussione schema ABI in ragione della essenzialità delle clausole nel contesto del negozio all’esame, ipotesi, ripetesi, non esclusa dalle Sezioni Unite della Cassazione, quanto piuttosto espressamente ammessa.
- Le argomentazioni a sostegno della nullità totale.
Le considerazioni che seguono esulano dalle difese operate in seno al giudizio da cui promana l’ordinanza in commento e di cui non si dispone, se non per la sintesi contenuta nel provvedimento stesso.
3.1. Le clausole di reviviscenza (clausola n. 2), la clausola di deroga all’art. 1957 c.c. (clausola n. 6) e la clausola c.d. di sopravvivenza (clausola n. 8), di cui al modello contrattuale elaborato dall’ABI, non hanno in comune solo la mera circostanza di peggiorare la posizione del garante rispetto a quella che gli assegna il modello fideiussorio delineato dal codice. In realtà, queste clausole si connotano prima di tutto nel senso di offrire protezione e rimedio ad azioni non corrette della banca garantita, secondo quanto traspare dalle stesse statuizioni del provvedimento di Banca d’Italia (cfr. parr. 83 e 86 Provv. n.55/2005).
Nella conformazione che le dà il testo del modello, la clausola di sopravvivenza intende emancipare la banca dai rischi di regolarità dal punto di vista dello svolgimento dell’attività bancaria, dell’erogazione del credito. La clausola di deroga al disposto di cui all’art. 1957 c.c. tende ad assolvere il creditore da negligenze e leggerezze nell’attività di recupero del credito; si discosta di poco la clausola di reviviscenza che, difatti, tende a sollevare il creditore dal rischio di revocatoria di pagamenti.
È di tutta evidenza, allora, come la lettura combinata delle dette clausole appalesi l’interesse dell’intermediario garantito alla maggiore protezione possibile, a prescindere dalla correttezza e regolarità del comportamento che la medesima ha tenuto in concreto.
E del resto se così non fosse, l’Autorità pubblica non avrebbe aperto, non avendone i poteri stante l’assenza di interesse pubblicistico alla relativa verifica, alcun procedimento istruttorio per sindacare la violazione della normativa antitrust a fronte di clausole (per ipotesi) non essenziali nella configurazione del prodotto contrattuale concordato tra le imprese associate all’ABI e offerto in modo standardizzato sul mercato.
3.2. Le osservazioni che precedono, trasposte in discorso effettuale di diritto processuale, conducono alla fondata convinzione della sussistenza di una solida prova per presunzioni ex art. 2729 c.c. di essenzialità (rectius significatività par. 94 Provv. n.55/2005), di dette clausole in relazione al giudizio richiesto ex art. 1419, comma 1, c.c.
La prova della significatività/essenzialità delle clausole nulle, tale da estendersi all’intero contratto ai sensi della norma citata, può essere fornita, oltre che per testimoni, per presunzioni ex artt. 2727 e 2729 c.c., spettando, in presenza di elementi addotti tali da condurre a rilevare la significatività in parola, alla parte che vi si oppone la prova dell’assenza di significatività delle clausole nel contesto del rapporto negoziale di garanzia all’esame, con inversione quindi, in questi termini, dell’onere probatorio.
Nella specie, la prova “contraria” -che non grava di certo sul garante ma sulla banca- è nel senso di dimostrare che, in assenza di quelle clausole nulle, regolanti aspetti significativi del rapporto negoziale, la banca predisponente il modello di garanzia all’esame avrebbe comunque concluso l’intera operazione, attestando per questa via la rinunciabilità delle stesse per la costruzione di una garanzia fideiussoria utilizzabile nel contesto del servizio imprenditoriale del credito.
In altri termini, si tratta di un giudizio concernente il rapporto (di essenzialità o di accessorietà o indifferenza) tra una parte del contratto e il suo tutto.
Il che sgombra il campo da ogni questione in ordine all’esistenza o meno di presupposti di propagazione della nullità dal lato del fideiussore, che pure le Sezioni Unite -esponendosi in parte qua a non poche censure- trattano.
In tutto ciò, difatti, c’è un aspetto affatto primario: la norma dell’art. 1419, comma 1, c.c. «costringe a impostare il ragionamento partendo dal mercato che esisteva al momento della conclusione del contratto de quo. Quello che però succede nei casi di cui ci stiamo occupando è che il mercato esistente al momento della conclusione del contratto è un mercato falsato dalla illecita limitazione della concorrenza[5]».
In effetti, come sopra detto, il mercato in un contesto simile si connota proprio per il fatto di non offrire una gamma differenziata di opzioni alternative. In un quadro deprivato dalla libertà di scelta, evidentemente un’indagine d’ipotetica volontà del fideiussore non avrebbe pertanto senso, posto che si tratterebbe pur sempre di indagare una volontà per definizione finta, posta l’assenza di situazione alternativa concretamente possibile.
NOTE CONCLUSIVE
Pur dovendo tenere in debito conto che, come detto, non si conoscono le specifiche difese operate dai contraddittori nei tre gradi di giudizio, resta che l’ordinanza in commento, alla luce delle considerazioni svolte, lascia non poche perplessità, stante la conferma da parte della Sezione Terza della Corte di Cassazione delle statuizioni del giudice di merito, sulla base di assunti ripresi solo da precedenti giurisprudenziali intervenuti prima delle Sezioni Unite che, però, nel 2021 hanno messo alcuni punti fermi sul tema (si pensi, in questo senso, all’avverbio “al più” p. 7 ordinanza in commento, laddove passa a prospettare l’ipotesi di una eventuale nullità parziale, nullità invece certamente affermate dalle Sezioni Unite).
La pronuncia presuppone, inoltre, un’esclusione tout court della nullità totale (si pensi all’avverbio “mai” p. 7 ordinanza in commento, riferito all’ipotesi della nullità totale) che non trova neppure questa appiglio nella sentenza 41994/2021 delle Sezioni Unite della Cassazione, nullità invece, che, come sopra visto, è da detta sentenza ammessa.
Posta in questi termini la questione, si pongono allora alcune finali considerazioni, da cui poter trarre ulteriori validi argomenti, in aggiunta a quelli sopra analizzati, a sostegno della tesi della nullità totale della fideiussione schema ABI, avuto riguardo, in particolare, a natura e oggetto del negozio all’esame.
Il percorso muove dalle difese che le banche sono solite operare a fronte della fideiussione riproduttiva delle condizioni illecite, come del resto tale difesa è stata svolta anche dalla banca contraddittore del giudizio da cui prende spunto questo scritto.
Segnatamente, nel contenzioso si assiste alla ricorrente affermazione della banca predisponente la fideiussione schema ABI per cui tale garanzia sarebbe, invero, un contratto atipico ovvero anche autonomo, diverso e altro dalla fideiussione tipica.
La prospettata qualificazione della fideiussione schema ABI come contratto atipico di tipo autonomo poggia proprio sulle tre clausole all’esame che ne connotano funzione e oggetto,
Ebbene, se questo è, risulta evidente che, fungendo le tre clausole come base addirittura per qualificare il negozio che le contiene, le stesse per ciò solo non possano che assumere carattere essenziale/significativo, tale dunque da condurre ad un giudizio di nullità totale del contratto di cui si tratta; e ciò, peraltro, a prescindere dal fatto che le clausole in questione siano valide o come, atteso che, come ritenuto da orientamento consolidato della Cassazione, nella qualificazione del contratto va considerata anche la clausola nulla.
E allora: se è vero, come è vero, che il diritto è “matematica”, basterebbe trarre le debite conclusioni dalle debite premesse, come del resto ci insegna il ragionamento improntato al necessario sillogismo giuridico, per risolvere secondo logica il tema della nullità totale delle fideiussioni schema ABI.
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[1] Il riferimento è alla Circolare ABI 1964, Serie Tecnica C, n. 24 dell’11.06.1964 e alla Circolare ABI 1966, Serie Tecnica o, n. 5 del 24.01.1966; nonché alla Circolare ABI 1987, Serie Tecnica O, n. 20 del 17.06.1987 nonché N.B.U. 1995, del 3.02.1995.
[2] Cfr. Schema ABI ottobre 2002.
[3] Per cui: «96. […] per la clausola relativa alla rinuncia del fideiussore ai termini di cui all’art. 1957 cod. civ. e per le c.d. clausole di “sopravvivenza” della fideiussione non sono emersi elementi che dimostrino l’esistenza di un legame di funzionalità altrettanto stretto [con l’esigenza di garanzia e tutela del sistema del credito]. Tali clausole, infatti, hanno lo scopo precipuo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa».
[4] In ordine ai principi già da tempo enucleati dalla Corte di Giustizia circa l’inefficacia assoluta dei contratti che costituiscono attuazione di intese illecite a monte che ogni singolo può opporre (oltre al risarcimento del danno) si veda: v. CGUE C-22/71, sentenza del 25.11.1971, punto 29, CGUE, cause riunite da C-295/04 a C-298/04), dovendo esserne i relativi effetti -presenti, passati e futuri- tutti integralmente rimossi (v. CGUE C-48-72, sentenza del 6.02.1973, punto 26 e punto 22; CGUE, cause riunite da C-295/04 a C-298/04.
[5] Cfr. F. Denozza, Incongruenze, paradossi e molti vizi della tesi del “solo risarcimento” per le vittime di intese e abusi, in Nuova giur. Civ. comm., 2020, pg. 414.
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