7 min read

Nota a Cass. Civ., Sez. III, 28 settembre 2023, n. 27545.

di Valentino Vecchi

Valentino Vecchi & Partners

Con la recente ordinanza in oggetto, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha affermato – in parte ribadito – alcuni importanti princìpi da porre a fondamento della risoluzione di controversie tra istituti di credito e clienti bancari.

La questione giunta sugli scanni degli ermellini concerne un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da soggetti (una società e due persone fisiche) costituitisi fideiussori per i debiti contratti da una società – debitrice principale – estranea al giudizio.

In particolare, per quanto di interesse in questa sede, sono tre le questioni da approfondire, tutte oggetto di ricorso per cassazione da parte dei debitori.

La prima concerne l’eventuale configurabilità di extrapetizione laddove il debitore opponente (in questo caso fideiussori) sia condannato al pagamento di un importo minore – accertato all’esito dell’istruttoria – rispetto a quello azionato dalla banca in via monitoria, nonostante l’assenza di una domanda subordinata formulata in tal senso dall’istituto opposto.

Sul punto gli ermellini, già nell’argomentare il rigetto del motivo di opposizione da parte della Corte territoriale, hanno osservato che “secondo consolidato orientamento di questa Corte (peraltro puntualmente richiamato: Cass. n. 1954 del 2009 e n. 28660 del 2013), nella originaria domanda di pagamento di un credito, contenuta nel ricorso per ingiunzione e nella domanda di rigetto dell’opposizione, è senz’altro ricompresa quella subordinata di accoglimento della pretesa per un importo inferiore, con la conseguenza che non incorre in vizio di ultra petizione il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo che revochi il decreto ingiuntivo ed emetta sentenza di condanna per un importo inferiore rispetto a quello ingiunto”.

La Suprema Corte poi, nel motivare il rigetto sul punto del ricorso per cassazione, ha fatto espresso richiamo alla recente pronuncia di legittimità n.27479/2022 ove  è stato affermato che “nella domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro deve ritenersi sempre implicita la richiesta della condanna al pagamento di una somma minore, con la conseguenza che la pronuncia del giudice del merito di condanna ad una somma minore di quella richiesta non è viziata da extrapetizione”.

Detto principio, già sancito dalla Cassazione ed oggi riaffermato, appare ragionevole, non ravvisandosi fondate ragioni per ritenere che il creditore, resistente nel giudizio di opposizione, debba fare un’autonoma domanda per vedersi riconosciuto il minor credito che eventualmente fosse accertato all’esito del giudizio.

Altra questione, dal carattere preminentemente giuridico-processuale, attiene alle eccezioni proponibili dai fideiussori.

Nello specifico, la Corte d’Appello aveva rigettato il (secondo) motivo d’impugnazione con il quale gli appellanti avevano censurato la pronuncia di primo grado nella parte in cui il Tribunale aveva dichiarato il loro difetto di legittimazione ad agire con riferimento alle contestazioni formulate in via riconvenzionale. Secondo la Corte territoriale, difatti, gli opponenti (poi appellanti) non avevano proposto una mera eccezione riconvenzionale – ammissibile in quanto finalizzata a paralizzare la pretesa creditoria della controparte – bensì una domanda riconvenzionale volta all’accertamento della nullità del contratto di interest rate swap stipulato dal debitore principale, con conseguente richiesta di compensazione degli importi illegittimamente addebitati dalla banca in esecuzione del contratto asseritamente nullo.

Secondo la Corte d’Appello, “il giudice di primo grado aveva correttamente dichiarato il difetto di legittimazione degli attori a domandare o ad eccepire in compensazione il credito, derivante da una eventuale nullità dei suddetti contratti, in quanto per l’appunto tali azioni competono esclusivamente al debitore principale”.

Sul punto gli ermellini, dopo aver premesso che “l‘eccezione riconvenzionale consiste in una prospettazione difensiva che, pur ampliando il tema della controversia, è finalizzata, a differenza della domanda riconvenzionale, esclusivamente alla reiezione della domanda attrice, attraverso l’opposizione al diritto fatto valere dall’attore di un altro diritto idoneo a paralizzarlo”, hanno chiarito che quella proposta dai fideiussori era una vera e propria domanda riconvenzionale, tanto è vero che è stata chiesta la compensazione”. Anche il Supremo Consesso, dunque, ha ritenuto non potersi accogliere l’eccezione dei fideiussori (e quindi il relativo motivo di ricorso).

Ultima questione posta all’attenzione dei giudici di legittimità concerne la dedotta applicazione – nell’ambito del rapporto di conto corrente intercorso tra la banca e la debitrice principale – di tassi eccedenti le soglie di usura.

In particolare, i ricorrenti, sin dall’introduzione del giudizio di merito, avevano allegato l’applicazione di tassi superiori alle soglie di usura, producendo all’uopo articolata perizia tecnica.

In sede di costituzione l’istituto di credito, pur contestando genericamente la perizia di parte, nulla aveva dedotto in ordine alla eccepita applicazione di saggi usurari, né aveva indicato quale saggio di interesse sarebbe stato effettivamente applicato.

I ricorrenti, dunque, si sono lamentati per non avere – i giudici del merito – tenuto conto del principio della non contestazione ex art.115 c.p.c..

Al riguardo gli ermellini hanno affermato che in caso di azione giudiziaria con la quale si contesta mediante dettagliata relazione peritale l’applicazione di saggi di interesse illegittimi nel corso di rapporti bancari, per l’istituto bancario convenuto, che intenda contestare il computo dei saggi, non è sufficiente una contestazione generica, che faccia riferimento all’art.115 c.p.c., ma è necessaria l’indicazione dei saggi che, in tesi difensiva, sarebbero stati effettivamente applicati”.

Superata la questione processuale, la Corte ha affermato che “i saggi di interesse usurari che non siano stati pattuiti originariamente, ma siano sopraggiunti in corso di causa costituiscono in ogni caso importi indebiti. Il creditore che voglia interessi divenuti nel corso del rapporto in misura ultra legale pretenderebbe per ciò stesso l’esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata: il suo comportamento sarebbe contrario al generale principio di buona fede contrattuale, che impone alle parti comportamenti collaborativi, anche in sede di esecuzione del contratto”.

Secondo la Cassazione, dunque, è illegittima la pretesa della banca in relazione all’importo (individuato dal ctu) eccedente la soglia di usura, anche se i saggi di interesse usurario sono sopraggiunti in corso di rapporto”.

La posizione oggi assunta dalla Corte di Cassazione di fatto ridefinisce i confini della nota pronuncia n. 24675/2017 – espressamente richiamata nell’ordinanza in commento dove però si fa erroneamente riferimento al n.7294 – resa dal Supremo Consesso a SS.UU..

Mediante la cennata sentenza del 2017, le Sezioni Unite censurarono la giurisprudenza di merito per aver di fatto introdotto nel nostro ordinamento la categoria – assente nella normativa di settore – dell’“usura sopravvenuta”,  stabilendo  il seguente principio di diritto: Nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

Con l’ordinanza in commento, la Cassazione – che, va detto per esigenze di chiarezza, ha delibato in ordine ad un rapporto di conto corrente e non di mutuo quale era invece il rapporto bancario oggetto delle SS.UU. del 2017 – ha voluto chiarire  che la pretesa di interessi oltre la soglia di usura è sempre illegittima, ancorché si tratti di saggi in origine legittimi.

Va da sé che laddove il superamento della soglia di usura in corso di rapporto si determinasse invece per l’esercizio da parte dell’istituto di credito dello ius variandi, ricorrerebbe per costante e consolidata giurisprudenza una diversa fattispecie: nel primo caso – oggetto della pronuncia in commento – la pretesa di interessi eccedenti la soglia di usura da parte della banca è illegittima per contrarietà a buona fede, nel secondo caso, non oggetto della pronuncia in commento, gli interessi esuberanti il limite di legge per variazione unilaterale dell’istituto di credito – variazione costituente  nuovo patto contrattuale formatosi con tacito consenso del correntista – sarebbero invece affetti da usura originaria con conseguente applicazione del precetto sanzionatorio ex art.1815, secondo comma, c.c..

Seguici sui social: