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Nota a App. Firenze, Sez. I, 3 ottobre 2023.

di Chiara Brilli

Studio Legale Ficola

Afferma la Corte di Appello di Firenze nell’ordinanza pubblicata lo scorso 3 ottobre che gli effetti interruttivi del giudizio conseguenti all’apertura del fallimento sono immediati e automatici ai sensi dell’art. 43, comma 3 c.p.c., ma che il termine per la riassunzione o prosecuzione del giudizio -onde evitare l’estinzione ex art. 305 c.p.c.- decorre, in conformità a quanto statuito dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. SS.UU. n.12154/2021), dal “momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione che, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c. va notificata alle parti e al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dell’ufficio giudiziario”.

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1.1 Così il giudice di gravame, investito di decidere sull’impugnativa di un lodo arbitrale interposta da una Banca, per il tramite della propria mandataria, nei confronti di una società, ha dichiarato l’interruzione del processo, escludendo l’ipotesi di sua estinzione ex art. 305 c.p.c.; e questo sul presupposto della mancanza di una dichiarazione formale di interruzione, a nulla rilevando la data in cui l’appellante fosse venuta effettivamente a conoscenza del fallimento dell’appellata intervenuto, per l’appunto, nelle more del giudizio ex art. 829 c.p.c.

In sostanza, secondo la Corte territoriale, seppure all’apertura del fallimento -avvenuta nella specie nell’anno 2020- il fenomeno interruttivo si era immediatamente verificato, ai fini del decorso del termine per la riassunzione del processo di appello (iniziato nel 2019), si deve guardare alla sussistenza di una espressa declaratoria di interruzione del giudizio, non essendo sufficiente la mera dichiarazione giudiziale di fallimento a far decorrere il termine trimestrale indicato dall’art. 305 c.p.c., dovendo piuttosto essere garantita la conoscenza legale del provvedimento in capo alle parti.

La Corte territoriale, quindi, nel caso all’esame esclude l’ipotesi dell’estinzione del giudizio per mancata riassunzione nel termine perentorio di tre mesi decorrenti dalla conoscenza della causa di interruzione automatica del giudizio ex art. 43 L. Fall. e conseguente definitività del lodo ivi impugnato ex art. 829 c.p.c.

Un tanto si ricava, continua la Corte di Appello, dall’interpretazione letterale della norma sull’interruzione di diritto del processo riguardante il soggetto dichiarato fallito, nonché dalla ratio ad essa sottesa, come esplicata nella relazione governativa di accompagnamento, ove emerge l’esigenza di accelerare le procedure applicabili alle controversie in materia fallimentare e l’intento di evitare che il processo possa essere interrotto a distanza di tempo qualora le parti informino formalmente il giudice ai sensi dell’art. 300 c.p.c.

 

1.2 La conclusione della Corte di Appello fiorentina, peraltro in linea con la recente pronuncia della Cassazione n. 27468 del 27.09.2023, è espressione del correttivo introdotto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 12154/2021 cit. resa alla luce della novella legislativa di cui al D.lgs. n. 5/2006 che, modificando il comma 3 dell’art. 43 L. Fall., aveva reso il fallimento causa di interruzione automatica della lite.

Le Sezioni Unite, nel radicare la decorrenza del termine per la riassunzione del giudizio al momento della certa conoscenza legale della dichiarazione giudiziale di interruzione, hanno posto fine all’affannosa ricerca da parte della giurisprudenza di un punto di equilibrio tra l’esigenza, da un lato, di non tenere per lungo tempo quiescente, dopo la dichiarazione di fallimento di una delle parti, il giudizio in corso e, l’esigenza, dall’altro lato, di garantire il diritto di difesa della parte che avesse interesse a riassumere il giudizio dopo l’interruzione, così evitandone l’estinzione[1].

Come sottolineato in dottrina, la sentenza delle Sezioni Unite apre la strada alla stagione della c.d. “conoscenza legale al quadrato”[2] dell’interruzione automatica, poiché ad attestare l’esistenza di quel processo pendente, di cui sia parte il fallito, non basterebbe la dichiarazione giudiziale di interruzione del processo, ma sarebbe necessaria anche la comunicazione di quel provvedimento, nelle forme previste dalla legge.

In breve, secondo la pronuncia delle Sezioni Unite, come recepita dalla Corte di Appello di Firenze, il termine per la riassunzione/prosecuzione del processo presuppone la concorrenza di due adempimenti.

Il primo è rappresentato dalla dichiarazione di interruzione che il giudice del processo è tenuto a rendere in udienza o fuori udienza, allorquando lo stesso sia venuto a conoscenza del fallimento di una delle parti in causa. Il secondo adempimento è costituito dalla conoscenza legale della dichiarazione del giudice, che si perfeziona all’udienza ex art. 176, comma 2, c.p.c., se ivi essa è stata resa e se le parti erano o dovevano considerarsi presenti, perché costituite; altrimenti, il provvedimento va notificato alle parti stesse (verosimilmente si attiverà la parte che avrà interesse alla declaratoria di interruzione), ovvero comunicato dalla cancelleria.

È solo, pertanto, a partire da quel momento, che decorre il termine trimestrale ex art. 305 c.p.c. per riassumere ovvero proseguire il giudizio.

Le Sezioni Unite della Cassazione pervengono a tale soluzione, componendo il contrasto giurisprudenziale, mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata, ispirata alle esigenze di difesa e di certezza del nesso tra l’evento interruttivo e i suoi effetti, che solo una dichiarazione del giudice può assicurare. E tutto questo avvalendosi, altresì, in tale percorso interpretativo, e in un’ottica di continuità di esegesi tra il diritto vivente e quello futuro del canone positivo contenuto nel nuovo art.143 c.c.i.i., assunto esso stesso quale “elemento di valutazione ermeneutica” dell’assetto normativo.

 

 

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[1] Esemplificative dei contrasti interpretativi emersi in sede di legittimità, precedenti alla pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 12154/2021, sono le pronunce: Cass., n. 33157/2019; Cass., sez. trib., n. 15996/2019; Cass., n. 31010/2018.

[2] V. Baccaglini in “Le Società, n. 10, 1 ottobre 2021, p. 1123”.

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