Nota a ACF, 3 ottobre 2023, n. 6869.
«Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.»
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto V, versi 133-138)
In primo luogo, il Collegio ritiene irrilevante la dedotta assenza di ordini di investimento scritti, dal momento che il canale di inserimento degli ordini era di tipo telematico, cui è evidentemente connaturata l’assenza di disposizioni di investimento conferite per iscritto; peraltro, la disciplina negoziale in vigore tra le parti prevedeva espressamente che «la Banca ed il Cliente, in ogni caso, si danno atto che la forma scritta non costituisce forma convenzionale per la validità dell’ordine stesso ai sensi e per gli effetti dell’art. 1352 cod. civ. […] L’attestazione dell’ordine ricevuto è rappresentata dall’inserimento dello stesso nel monitor Ordini. Il Cliente può tenere copia dell’attestazione stampando la pagina corrispondente». Con riferimento alla presunta assenza delle note informative, si evidenzia invece che sono presenti in atti le conferme di eseguito delle singole operazioni di investimento.
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Sono meritevoli di condivisione le doglianze relative al non corretto adempimento degli obblighi di informazione preventiva sulle caratteristiche e sui rischi insiti nelle azioni negoziate. Invero, con riferimento a casi di prestazione di servizi di investimento tramite piattaforma di home banking, è stata reiteratamente ritenuta fonte di responsabilità la condotta dell’Intermediario che aveva indicato di aver reso le informazioni necessarie per permettere al ricorrente una scelta consapevole di investimento mettendo semplicemente a sua disposizione, all’interno del sito di home banking, la scheda prodotto relativa allo strumento finanziario oggetto di investimento. In proposito, allorquando il servizio d’investimento viene prestato in modalità telematica, per poter dimostrare di aver assolto pienamente gli obblighi di informazione previsti dalla normativa di settore l’Intermediario non può limitarsi, sic et simpliciter, a segnalare alla clientela la generica esistenza, all’interno della propria piattaforma, di un “link cliccabile” attraverso il quale è possibile accedere alle informazioni sul prodotto, in quanto ciò finisce per rimettere l’acquisizione delle informazioni a un comportamento attivo del cliente. L’intermediario deve, piuttosto, assolvere tali obblighi informativi con modalità che possano essere considerate come del tutto equivalenti a quelle a supporto di un servizio erogato “in presenza”, ovverosia con modalità che possano ritenersi equiparabili, sotto il profilo sostanziale, quantomeno alla consegna materiale al cliente del documento informativo[1].
Più in dettaglio, è stato chiarito che (ferma restando la possibilità di strutturare altre procedure purché possano essere considerate equipollenti) sono da considerarsi modalità equivalenti alla consegna materiale della documentazione informativa (tali, dunque, da far ritenere pienamente comprovato l’adeguato assolvimento da parte dell’intermediario dei relativi obblighi) i sistemi di trading online in cui:
a) la visualizzazione della scheda prodotto rappresenta un passaggio obbligato per poter disporre l’investimento, richiedendosi la presa visione e accettazione della stessa per poter impartire l’ordine di acquisto[2];
b) tutte le informazioni di dettaglio rilevanti sono inserite direttamente nella pagina dove si trova il comando per impartire l’ordine di acquisto[3];
c) è previsto un link che permette di scaricare il documento ma, in questo caso, con contestuale implementazione di una funzionalità bloccante, che renda cioè possibile impartire l’ordine solo previo richiamo di attenzione del cliente e presa d’atto di aver preso visione della documentazione informativa[4].
Nel caso in esame, l’Intermediario non ha fornito alcuna evidenza idonea a dimostrare che la visualizzazione della scheda che recava le informazioni sulle azioni fosse una “tappa obbligata” per finalizzare la compravendita, limitandosi, per converso, ad affermare di avere messo a disposizione tutte le informazioni relative al titolo prescelto e che nella schermata ove era situato il tasto dedicato all’inserimento degli ordini era presente una schermata, denominata “Scheda” (lasciando intendere che il cliente fosse facoltizzato, ma non obbligato, a dichiarare di aver visionato la Scheda prima di procedere con l’investimento).
Né può indurre a diverse conclusioni il documento informativo richiamato in chiave difensiva dall’Intermediario che, oltre a non risultare essere stato consegnato al Ricorrente in occasione dei singoli investimenti, forniva in ogni caso una definizione delle azioni solo in via generale e ne descriveva i rischi quale tipologia di strumento finanziario, ma non conteneva alcuna informazione sulle caratteristiche specifiche dei titoli azionari qui in lite.
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Con riferimento al tema dell’informativa successiva al compimento delle operazioni d’investimento, va evidenziato che la giurisprudenza arbitrale ha costantemente affermato che non può ritenersi in via generale sussistente in capo agli intermediari, sulla base dell’art. 21 TUF, un obbligo di monitoraggio continuo dell’andamento degli strumenti finanziari (che può derivare solo da particolari caratteristiche del prodotto o, alternativamente, discendere dalla tipologia di servizio di investimento prestato dall’intermediario, per esempio nella gestione di portafoglio e nella consulenza, laddove previsto dal contratto)[5].
Nel caso in esame, le risultanze non consentono di affermare che il ricorrente abbia operato su consiglio della Banca e tantomeno nell’ambito di una gestione di portafoglio, né risulta che le parti avessero pattuito a carico della Banca stessa un obbligo di informativa ex post. In ogni caso, deve farsi presente che sono allegati al ricorso tutti i rendiconti relativi al conto corrente e al deposito titoli (dal 2001 al 2022), regolarmente indirizzati all’odierno Ricorrente.
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Con riferimento alla presunta “inverosimiglianza” della profilatura del cliente, si premette che il costante orientamento arbitrale è volto ad affermare il c.d. principio di “autoresponsabilità”, per cui, con la sottoscrizione del questionario MiFID, l’investitore assume la paternità delle dichiarazioni ivi contenute e non può che ritenersi ad esse vincolato[6]. Va, inoltre, evidenziato che il Ricorrente risulta aver rilasciato le proprie informazioni accedendo con le proprie credenziali al sito della Banca.
Ebbene, nel questionario MiFID del 15 maggio 2008, il Ricorrente ha dichiarato: i) di non avere conseguito un diploma o una laurea attinente a discipline economico finanziarie e di non svolgere, né avere svolto nel recente passato, un’attività attinente a discipline economico finanziarie, di avere una bassa o addirittura nessuna conoscenza su molti strumenti finanziari, ma di avere una media conoscenza in fondi azionari e bilanciati e, soprattutto, sulle azioni, su cui negli ultimi cinque anni aveva compiuto talune operazioni; ii) di avere un orizzonte temporale di medio termine, un obiettivo di investimento volto all’incremento del capitale con un profilo di rischio di “rendimento massimo alto con rischio di perdita media”; iii) che tutto il suo patrimonio era presso l’Intermediario, che gli eventuali proventi dei suo investimenti sarebbero stati reinvestiti solo in parte, che non aveva altri immobili oltre alla prima casa e che riteneva che eventuali perdite del complesso dei suoi investimenti non avrebbero condizionato la sua capacità di far fronte ad eventuali impegni finanziari regolari.
Nel questionario del 6 luglio 2016 il Ricorrente ha affermato, tra l’altro, di essere laureato “in discipline economiche/giuridiche/scienze matematiche/ingegneria, senza orientamento finanza e mercati”, di essere un “libero professionista iscritto ad appositi Albi/ Elenchi o imprenditore”, di tenersi aggiornato sull’andamento dei mercati finanziari almeno una volta al mese. Le caratteristiche che emergono dai questionari si pongono in linea di continuità e non recano profili di anomalia.
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Con riferimento all’asserita inadeguatezza degli investimenti e, più in generale, al mancato svolgimento delle verifiche di adeguatezza (o, quantomeno, di appropriatezza), si osserva l’assenza di elementi (neppure di tipo indiziario) che consentano di affermare che la cospicua operatività di Parte Ricorrente sia stata effettuata su consiglio della Banca convenuta. Per contro, dalla documentazione versata in atti dall’Intermediario risulta che il Ricorrente molte volte impartiva ordini direttamente dal proprio cellulare, circostanza questa che, unitamente al fatto che plurimi ordini sono stati conferiti in tempi ravvicinati o nella stessa giornata, rende decisamente poco verosimile che Parte Ricorrente effettuasse le molteplici operazioni di investimento su suggerimento di un consulente. Dal momento che non può configurarsi, in base alle evidenze disponibili, la formulazione di alcuna raccomandazione all’acquisto, l’Intermediario era, quindi, tenuto a svolgere la sola verifica di appropriatezza degli investimenti in lite; verifica che, come noto, deve essere unicamente parametrata sul grado di conoscenza/esperienza del cliente. Ebbene, gli investimenti in lite hanno avuto ad oggetto esclusivamente titoli azionari che, già nel questionario 2008, il Ricorrente aveva affermato di conoscere quale tipologia di strumento finanziario, circostanza confermata dagli estratti conto versati in atti e dalla operatività complessiva del cliente.
Al di là dello svolgimento da parte della Banca della verifica di appropriatezza (di cui sono state prodotte le relative evidenze informatiche), le operazioni de quibus erano da ritenersi effettivamente appropriate alle caratteristiche del cliente.
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Quanto all’eccesso di concentrazione, si tratta di aspetto che incide sul corretto svolgimento della verifica di adeguatezza (e non di appropriatezza) degli investimenti che non viene in rilievo nel caso in esame.
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In conclusione, pur dovendosi ritenere che l’operato dell’Intermediario non sia esente da censure per il fatto di non aver dato prova del pieno adempimento, al tempo, degli obblighi informativi e comportamentali preventivi, il ricorso non può trovare accoglimento per insussistenza del necessario nesso di causalità. Invero, secondo la documentazione prodotta dallo stesso ricorrente, quest’ultimo: i) tra il 6 marzo 2014 e il 6 maggio 2014, ha effettuato 9 operazioni, prima in acquisto e poi in vendita, fino ad azzerare il quantitativo di azioni Miscrospore S.p.A. detenute; ii) tra il 9 gennaio 2015 e il 15 maggio 2018, ha effettuato oltre 130 operazioni in acquisto e vendita su azioni Carige S.p.A.; iii) tra il 13 giugno 2017 e il 27 maggio 2019, ha effettuato oltre 100 operazioni in acquisto e vendita su azioni Bio On. Inoltre, il Ricorrente risulta aver operato sugli stessi titoli a distanza di pochi giorni o settimana ma, in altre circostanze, anche numerose volte nella stessa giornata, secondo una strategia di investimento che fornisce inequivoca evidenza di come egli tenesse sotto costante e stretto monitoraggio l’andamento dei titoli di suo interesse. Più nel dettaglio, dal riepilogo delle operazioni prodotto dall’Intermediario risulta che il Ricorrente, man mano che acquistava azioni, successivamente azzerava il relativo quantitativo vendendo i titoli acquistati in precedenza, con un chiaro intento speculativo che ha generato anche congiunturali profitti. Né può ritenersi irrilevante la circostanza, già sopra richiamata, che egli era soggetto che investiva oramai da molti anni su titoli azionari, tipologia di strumento finanziario su cui mostrava una spiccata predilezione e su cui aveva, dunque, maturato una significativa esperienza; oltretutto, il profilo di rischio non era certamente di tipo basico e la strategia di investimento è stata messa in atto su canale telematico e in maniera sistematica, con un chiaro intento speculativo, atteso anche il cospicuo numero di operazioni (in acquisto e vendita), talvolta strumentalmente frazionate nella medesima giornata.
Si tratta di circostanze che, unitariamente considerate, militano nel senso di un consapevole e autonomo “disegno” di investimento, tale dunque da recidere inevitabilmente il nesso di causalità tra l’operato della Banca convenuto e il danno lamentato da parte attorea. In definitiva, tali circostanze sono idonee a escludere, in una prospettiva del “più probabile che non”, che l’odierno Ricorrente, in assenza dei profili di criticità sopra evidenziati con riguardo all’operato dell’Intermediario, non avrebbe posto in essere gli investimenti contestati, apparendo quantomeno altamente improbabile (se non finanche inverosimile) che egli non avesse contezza delle caratteristiche dei titoli di suo interesse, come anche delle implicazioni, in termini di rischio, dell’ampia e articolata operatività autonomamente posta in essere.
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[1] Cfr. ACF nn. 4358, 4386 e 4438.
[2] Cfr. ACF n. 3990.
[3] Cfr. ACF nn. 3735, 4074, 4271, 4358, 4486 e 4716.
[4] Cfr. ACF nn. 4327, 4358 e 4412.
[5] Cfr. ACF. nn. 165, 1068, 1463, 2735 e 3801.
[6] Cfr. ACF, ex multis, n. 3767.
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Info sull'autore
Associato dello Studio Legale "Greco Gigante & Partners" (https://studiolegalegrecogigante.it/). Cultore della materia di Diritto Privato e di Diritto del Risparmio, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento. Contatti: 0832305597 - a.zurlo@studiolegalegrecogigante.it