Nota a ACF, 20 settembre 2023, n. 6820.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il caso: la prospettazione dei ricorrenti. – 3. La prospettazione del resistente. – 4. Le soluzioni giuridiche.
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- Premessa.
La tutela dell’investitore finanziario è da diversi anni al centro di un continuo rapporto dialettico tra le regole di condotta che l’ordinamento di settore predispone secondo una tecnica di progressiva armonizzazione a livello comunitario ed i principi generali ritraibili dal diritto comune, soprattutto dei contratti.
Un processo che tramite specificazioni o integrazioni delle clausole di diligenza, correttezza e trasparenza[1] ha fatto emergere una serie di ulteriori criteri di comportamento, che ruotano non solo attorno agli strumenti di salvaguardia già sperimentati perché previsti dalla MIFID I, di adeguatezza e appropriatezza, ma anche agli istituti più recentemente introdotti della product governance e della product intervention.
L’entrata in vigore a partire dall’anno 2018, di quello che è stato definito nel suo insieme come il fenomeno MIFID II, rappresenta l’ultima tappa di questa interazione tra disciplina speciale del diritto dei marcati mobiliari e i principi generali di comportamento codicistici ed il suo recepimento nel nostro Paese attraverso innovazioni che hanno interessato sia la normativa primaria[2] che quella secondaria[3].
Ad ogni modo, in tutti gli scenari invocati continua a riscontrarsi una centralità delle regole di informazione, quantomeno sotto un duplice profilo: per un verso, si riscontra una sempre più spiccata procedimentalizzazione delle fasi combinate del dovere gravante sugli intermediari di informare il cliente e del dovere di informarsi sul cliente, per altro verso, il consolidarsi di una tendenza a spostarsi dal piano della “trasparenza” a quello della “fiducia”[4].
Del resto, la fase assolutamente preminente di profilatura del cliente si rivela funzionale alla eventuale disapplicazione di alcune disposizioni normative: non vanno dimenticate infatti le sempre più estese verifiche sul merito dell’investimento imposte dall’attuale regolamentazione vigente.
Verifiche che in tale prospettiva variano a seconda del servizio di investimento o del prodotto offerto (consulenza e gestione di portafogli, da una parte, servizi di investimento diversi, da un’altra parte, e mera esecuzione di ordini da un’altra parte ancora), che impongono differenti livelli di valutazione della coerenza dell’operazione finanziaria, consigliata o proposta al cliente, basati sulla diversa ampiezza delle informazioni da richiedere all’investitore (conoscenza ed esperienza, situazione finanziaria ed obiettivi di investimento, al fine di effettuare la valutazione di adeguatezza[5]; solamente conoscenza ed esperienza, al fine di applicare la regola di appropriatezza[6] e nulla, quando si tratta di prestare servizi di investimento, con modalità di execution only).
A tal proposito, sempre sul versante dei criteri generali, le regole di comportamento che gli intermediari sono tenuti a rispettare nella prestazione di sevizi di investimento riguardano pure il dovere di “utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti” (art.21, co. 1, lett. a) T.u.f.) e l’obbligo di “operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati”[7], determinando così uno spostamento da uno scenario di preclusioni negative verso un contesto di obblighi positivi.
Senza scendere ad una più analitica disamina della disciplina in oggetto, richiamati in breve i principi di portata generale che esprimono le linee di fondo del sistema, ad un livello di maggior specificazione, mentre i commi 1 e 1 bis dell’art. 21 T.u.f. fissano le rules che gli intermediari devono rispettare nello svolgimento delle loro attività, basato su un flusso informativo bidirezionale, la normativa secondaria ne individua dettagliatamente le caratteristiche e l’oggetto (art. 36, co. 2, 40, co. 1 e 42, co.1 Regolamento intermediari, artt. 44-53-54-55 Regolamento 565/2017), sulla base della distinzione tra la categoria dei clienti o investitori professionali e quella residuale dei clienti o investitori al dettaglio.
In definitiva, le imprese di investimento devono quindi utilizzare al meglio i dati di cui dispongono per proporre un’offerta di prodotti o servizi che siano quanto più possibile personalizzati.
- Il caso: la prospettazione dei ricorrenti.
La controversia in commento concerne il tema del non corretto adempimento, da parte dell’intermediario, degli obblighi informativi sui (i) rischi di cambio e (ii) di concentrazione nella prestazione di un servizio di investimento.
Ebbene, i ricorrenti, quali eredi dell’investitore, contestano una serie di acquisti di Obbligazioni BEI in Lira Turca, effettuati rispettivamente nel 2014 e nel 2015, asseritamente su consulenza dell’Intermediario convenuto ed in assenza di un’adeguata informativa, oltre alla non adeguatezza delle operazioni in questione.
Nello specifico:
– in data 6 aprile 2011, il de cuius conferiva all’Intermediario “l’incarico per l’attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari, con contestuale apertura a suo nome del relativo deposito a custodia e amministrazione titoli e strumenti finanziari”;
– in data 29 ottobre 2014, “forte delle rassicurazioni ricevute in filiale, il de cuius si convinceva ad acquistare, mediante il servizio di esecuzione ordini prestato dall’intermediario (c.d. execution only)”, Obbligazioni BEI in Lira Turca per un controvalore di euro 203.259,77;
– in data 11 marzo 2015, i consulenti presso la filiale di riferimento lo avrebbero invitato a sottoscrivere la medesima tipologia di Obbligazioni, con un acquisto di obbligazioni BEI per un controvalore di euro 323.275,43, con la conseguente concentrazione di due terzi del portafoglio titoli sulla medesima tipologia di prodotto, soprattutto in termini di rischio.
– a partire dal mese di ottobre 2015 le Obbligazioni hanno subito ribassi per poi precipitare a partire dall’anno 2017; tuttavia, il personale della filiale avrebbe fornito rassicurazioni sulla ripresta dei titoli, i quali, invece non hanno invertito la tendenza ribassista, facendo registrare la perdita di oltre la metà del capitale investito.
Ciò posto, i ricorrenti lamentano la violazione degli obblighi di condotta, in particolare quelli informativi, in quanto:
– per il primo acquisto effettuato online, l’Intermediario avrebbe dovuto avvertire il cliente – quantomeno – del fatto che, trattandosi di investitore retail, nel prestare tale servizio, l’intermediario è esonerato dalla valutazione dell’appropriatezza, per cui non è tenuto a valutare se il cliente abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento di investimento comporta;
– per il secondo acquisto effettuato in filiale “su sollecitazione dei consulenti”, questi ultimi, oltre ad aver omesso di informare dei rischi connessi al tipo di investimento in questione, hanno consigliato di concentrare due terzi del portafoglio titoli su due prodotti “praticamente identici, specie sotto il profilo del rischio”; quindi l’operazione non era adeguata per dimensione, tenuto altresì conto che il de cuius era un pensionato. Peraltro, questi, all’apertura della posizione contrattuale, aveva sottoscritto un contratto di consulenza, “in forza del quale la Banca era tenuta ad offrire un servizio informativo ancora più esaustivo circa le operazioni proposte al cliente, nonché a predisporre un piano di investimento veramente adeguato alle esigenze del cliente”.
Pertanto, essi chiedono, a titolo risarcitorio, un importo pari alla differenza tra il capitale investito e quello rimborsato.
- La prospettazione del resistente.
Di contro, l’Intermediario sottolinea come:
– in occasione della sottoscrizione del contratto per la prestazione dei servizi di investimento, il de cuius abbia ricevuto in allegato, inter alia, il Documento informativo sui servizi di investimento e sui rischi degli strumenti finanziari trattati;
– abbia dato esecuzione agli ordini di che trattasi, impartiti in piena autonomia dal de cuius nell’ambito del servizio di ricezione e trasmissione ordini, senza prestazione di alcuna consulenza. Pertanto, sarebbe stato onere dei ricorrenti dimostrare il contrario;
– non essendo stata prestata alcuna consulenza, la Banca era tenuta alla valutazione di appropriatezza sulla base di conoscenza ed esperienza. A tal riguardo, le Obbligazioni de quibus non solo erano appropriate ma anche adeguate al profilo del cliente emerso dalla profilatura Mifid vigente al momento dell’operatività contestata nonché dall’operatività pregressa rendicontata negli estratti conto. Sul punto, viene altresì precisato che la piattaforma restituisce un messaggio di alert solo in caso di non appropriatezza; mentre gli acquisti effettuati nel 2014 erano stati valutati appropriati, come risulta dall’evidenze estratte dal sistema informatico interno;
– atteso che per il secondo ordine è stata fornita prova dell’adempimento di tutti gli obblighi informativi con le informazioni rese nel modulo del pre-ordine, quand’anche fosse riconosciuto un proprio inadempimento, facendo riferimento a precedenti decisioni dell’Arbitro, secondo il principio del ‘più probabile che non’, si dovrebbe desumere che il cliente avrebbe comunque acquistato le Obbligazioni, sulla base dell’operatività pregressa e del profilo di rischio attribuito (il più elevato), interrompendo quindi il nesso causale tra inadempimento e danno subito;
– oltre all’assenza del nesso di causalità, viene eccepito anche il concorso di colpa, ai sensi dell’art. 1227 c.c., in quanto il de cuius era consapevole dell’andamento di mercato delle Obbligazioni; tuttavia, non ha deciso di disinvestire subito nell’attesa di un rialzo delle quotazioni su livelli più elevati rispetto al prezzo di acquisto, incamerando al contempo importi significativamente rilevanti a titolo di cedole. In tale eventualità, la quantificazione del danno dovrebbe essere limitata al momento in cui il cliente ha avuto contezza della progressiva perdita di valore del titolo, da individuarsi nella data del 31 dicembre 2015, quando ha regolarmente ricevuto la rendicontazione del deposito titoli e, utilizzando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto verificare la riduzione di valore e chiedere la vendita delle Obbligazioni “così da limitare considerevolmente le perdite subite”; al contrario, il de cuius ha atteso la scadenza naturale dei titoli.
- Le soluzioni giuridiche.
Ebbene, con la decisione in esame, l’Arbitro ha parzialmente accolto il ricorso per le ragioni di seguito rappresentate:
- preliminarmente, si è reso necessario distinguere in ordine al tipo di servizio di investimento prestato in occasione delle due operazioni effettuate dal de cuius.
Il primo acquisto, effettuato tramite piattaforma di trading online, è da ritenersi compiuto n piena autonomia dal cliente nell’ambito del servizio di ricezione e trasmissione ordini. Difatti, dall’estratto dei sistemi informatici interni risulta che i vari ordini che hanno consentito di eseguire l’operazione complessiva sono stati sottoposti con esito positivo alla valutazione di appropriatezza, dovuta in caso di prestazione di servizi esecutivi. Pertanto, non vi sono elementi che permettono di ricondurre l’operazione tra quelle di execution only.
Il secondo acquisto è stato invece effettuato dal de cuius presso la filiale di riferimento e dal modulo di preordine versato in atti risulta che l’operazione è stata “trattata in regime di adeguatezza”. Pertanto, tenuto altresì conto della familiarità del de cuius con l’operatività tramite home banking, si ritiene che questi due elementi diano adito quantomeno a dubbi sulla natura del servizio prestato, a favore dell’invocata consulenza da parte dei ricorrenti.
In ogni caso, pur prescindendo dal tipo di servizio prestato, sulla base dell’operatività pregressa e delle informazioni fornite in fase di profilatura con il questionario del 2012, vi sono elementi per ritenere l’investimento nelle Obbligazioni appropriato per conoscenza ed esperienza del cliente.
Tuttavia, nonostante la familiarità del cliente con investimenti ad elevato rischio, permangono perplessità cica l’esito positivo della valutazione di adeguatezza della seconda operazione, in quanto esso ha pur sempre determinato una concentrazione di rischio del portafoglio, con circa il 66% del patrimonio investito nelle Obbligazioni BEI in Lira Turca; un aspetto tanto più rilevante se si tiene conto che non risultano documentate né una specifica esperienza del de cuius in operazioni in valuta né un’adeguata informativa sul rischio di cambio;
- in secondo luogo, il Collegio ha evidenziato le carenze dell’Intermediario sul piano dell’adempimento degli obblighi informativi. Ed invero, per quanto concerne l’informativa precontrattuale, la mera consegna del Documento informativo sui rischi generali derivanti dagli investimenti in strumenti finanziari, non è idonea a provare l’adempimento degli obblighi informativi che devono essere assolti in concreto con informazioni specifiche all’operazione che il cliente si accinge ad effettuare. Ora, nel caso specifico, né in occasione della prima operazione, né della seconda, risulta che il de cuius sia stato informato del rischio di cambio, potendosi, quindi, ritenersi accertata la mancata informativa su un rischio fondamentale dell’investimento in Obbligazioni in Lira Turca;
- a questo riguardo, si è passato a valutare allora l’eccezione dell’assenza del nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno subito, basata sull’argomentazione che, per il profilo di rischio attribuito e l’operatività pregressa, secondo il principio del ‘più probabile che non’, il de cuius avrebbe comunque effettuato le due operazioni, anche se correttamente informato dei rischi. Ad ogni modo, ad avviso del Collegio, il nesso di causalità è da ritenersi sussistente in quanto non è stato provato che il cliente avesse (anche) esperienza e conoscenza dello specifico rischio di cambio, effettiva causa della drastica perdita di valore delle Obbligazioni, di talché non si può di certo escludere che l’investitore, pur esperto e propenso ad assumere rischi elevati, se adeguatamente informato sullo specifico rischio di cambio avrebbe optato per la non effettuazione delle operazioni contestate.
- da ultimo, è corso l’obbligo di osservare come il de cuius abbia mantenuto in portafoglio le Obbligazioni acquistate nonostante la rilevantissima diminuzione di valore risultante dal rendiconto, soprattutto del 2016. Prendendo a riferimento proprio quest’ultimo, può affermarsi che il de cuius sia a quella data divenuto certamente consapevole non solo delle caratteristiche complessive dello strumento finanziario ma anche e soprattutto del pregiudizievole andamento di mercato. In casi della specie, la forte diminuzione di prezzo di uno strumento assume per il cliente una valenza segnaletica di una crescente criticità̀ legata al titolo, con le conseguenti scelte di disinvestimento dello strumento, piuttosto che di incremento o conservazione dell’esposizione in essere[8]. E ciò, più che in un’ottica meramente finanziaria, che potrebbe forse giustificare anche il mantenimento in portafoglio del titolo, risulta vero soprattutto in una prospettiva in cui ex post si lamenta e si chiede un risarcimento del danno. La condotta tenuta dal de cuius non può non assumere, pertanto, rilievo in punto di causazione del danno o di aggravamento dello stesso, con l’effetto di doversi ravvisare nel caso di specie il concorso di colpa di quest’ultimo, del che non può non tenersi debitamente conto in sede di quantificazione del danno occorso.
Sulla base di tali principi, la violazione degli obblighi informativi è fonte di inadempimento contrattuale, con conseguente possibilità per l’investitore di domandare la risoluzione del contratto, sia in relazione alla singola operazione, sia con riferimento alla mancata informazione prima della stipula dell’accordo negoziale, quest’ultima a titolo di responsabilità precontrattuale[9]. Nella prestazione del servizio di negoziazione titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, come nel caso de quo, il danno risarcibile può essere liquidato in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell’acquisto e quello degli stessi al momento della domanda risarcitoria, solo se non risulti che, dopo l’acquisto ma già prima della proposizione di detta domanda, il cliente, avendo avuto la possibilità con l’uso dell’ordinaria diligenza di rendersi autonomamente conto della rischiosità dei titoli acquistati, né sussistendo impedimenti giuridici o di fatto al disinvestimento, li abbia conservati nel proprio patrimonio, nel qual caso, il risarcimento deve essere commisurato alla diminuzione del valore dei titoli tra il momento dell’acquisto e quello in cui l’investitore si è reso conto, o avrebbe potuto rendersi conto, del loro livello di rischiosità[10].
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[1] Che integra ed amplia gli obblighi informativi tradizionali con flussi bidirezionali dall’investitore all’intermediario e viceversa.
[2] I criteri generali di cui all’art. 21 T.u.f. sono stati oggetto di una significativa rivisitazione da ultimo per effetto del d. lgs. n. 129 del 03.08.2017. Tale norma, come noto, prevede che li intermediari debbano “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza”, riecheggiando così principi ricavati dalla disciplina generale delle obbligazioni dei contratti.
[3] Si veda, ad esempio, la modifica del Regolamento intermediari approvato dalla Consob con delibera n. 20307 del 15.02.2018
[4] Così PERRONE, Servizi di investimento e regole di comportamento. Dalla trasparenza alla fiducia, in Banca e Borsa, 2015, e BERTI De MARINIS, La nuova trasparenza pre e post negoziale alla luce della direttiva MIFID e del Regolamento MiFIR, in TROIANO e MOTRONI (a cura di), 2016.
[5] Ove per poter ritenere un servizio adeguato è indispensabile svolgere una profilatura del cliente – da aggiornare con maggior frequenza, più alto è il profilo di rischio prescelto e più avanzata l’età dell’investitore – concernente anche l’ambito della cd. risk tollerance.
[6] Non potendosi sottacere che qualora il servizio o l’operazione in esame venissero ritenuti non appropriati da parte dell’impresa di investimento, tale riscontro non comporterebbe mai alcun divieto assoluto di poter procedere all’esecuzione di quanto domandato dall’investitore. Più semplicemente, l’intermediario deve avvertire la propria controparte negoziale del giudizio di non appropriatezza da esso espresso, ma può comunque procedere con l’esecuzione, senza che neppure l’investitore debba obbligatoriamente rinnovare il proprio consenso in tale direzione.
[7] L’art. 36 del Regolamento intermediari Consob ha altresì imposto che le informazioni debbano essere fornite “in tempo utile” e “in forma comprensibile”, affinché i clienti o potenziali tali “possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento o del tipo specifico di strumenti finanziari che sono loro proposti, nonché i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti con cognizione di causa”.
[8] Cfr., da ultimo, Decisione ACF n. 6726 del 22 agosto 2023.
[9] Cfr., Cass. SS.UU. n. 26725/2007 e n. 26724/2007.
[10] Cfr., Cass. n. 28810/2013.
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Info sull'autore
Managing Partner dello Studio Legale Roda, di cui presiede e coordina il Dipartimento Banking&Finance, in oltre dieci anni di esperienza professionale, ha collaborato con primari studi legali nazionali ed internazionali, ove ha prestato assistenza giudiziale e stragiudiziale per i maggiori enti istituzionali. È autore di numerose pubblicazioni e relatore in convegni e seminari di formazione. Iscritto all’Albo dell’Ordine degli Avvocati di Ascoli Piceno, ha conseguito il Master di II° livello in "Diritto Penale d’Impresa" presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma.