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Nota a App. Caltanissetta, 1 settembre 2023, n. 301.

Massima redazionale

Nella specie, costituendosi tempestivamente nel giudizio di primo grado, l’Istituto di credito appellante ha eccepito, ex art. 2946 c.c., tanto la prescrizione dell’azione di ripetizione quanto di quella di risarcimento del danno proposta dalla parte attrice, sicchè il punctum saliens della questione che ne occupa è quello dell’individuazione della decorrenza della prescrizione.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale tradizionale, il dies a quo della prescrizione andrebbe individuato non già nel momento della conclusione delle operazioni, ma, per converso, nel momento successivo in cui la produzione del danno (da individuarsi nella differenza tra il maggior importo addebitato al momento dell’investimento ed il minor importo accreditato al momento del disinvestimento) si è manifestata all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere.

Al succitato indirizzo se ne contrappone un altro speculare, cui la Corte territoriale intende dare continuità, secondo cui, nell’ipotesi di mancanza del contratto quadro, il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione non può che coincidere con il compimento delle operazioni di investimento contestate.

In effetti, «la data delle operazioni di investimento è l’unica in grado di offrire una certezza; se la data di decorrenza della prescrizione coincidesse con il momento in cui l’investitore ha avuto consapevolezza della minusvalenza dei prodotti finanziari acquistati o con il momento in cui tali prodotti sono stati disinvestiti cristallizzando le perdite, non vi sarebbe alcuna certezza, atteso che i prodotti finanziari subiscono periodiche oscillazioni in positivo o in negativo, ragion per cui verrebbe sostanzialmente rimessa all’arbitrio dell’investitore l’individuazione della data di decorrenza della prescrizione»[1].

Più precisamente, nelle azioni restitutorie e/o di risarcimento del danno, derivanti da operazioni di intermediazione finanziaria non è mai agevole individuare il momento in cui si è effettivamente prodotto il danno nella sfera patrimoniale dell’investitore, e ciò in quanto tali operazioni hanno ad oggetto strumenti o prodotti finanziari la cui valorizzazione, per loro stessa natura, è soggetta a costanti variazioni di valore al rialzo o al ribasso in base all’andamento del mercato.

Ne deriva che far coincidere la decorrenza della prescrizione con scelte meramente discrezionali dell’investitore contrasta fortemente con la stessa ratio dell’istituto della prescrizione finalizzato a garantire la certezza dei rapporti giuridici.

Merita, perciò, adesione il persuasivo orientamento, per il quale «l’accertata nullità del negozio giuridico, in esecuzione del quale sia stato eseguito un pagamento, dà luogo ad un’azione di ripetizione di indebito oggettivo, volta ad ottenere la condanna alla restituzione della prestazione eseguita in adempimento del negozio nullo, il cui termine di prescrizione inizia a decorrere non già dalla data del passaggio in giudicato della decisione che abbia accertato la nullità del titolo giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento stesso»[2].

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Con il ricorso incidentale, parte appellata ha chiesto accertarsi «la responsabilità precontrattuale e/o contrattuale e/o extracontrattuale dell’intermediario, per le vicende di cui è causa, con conferma della condanna di primo grado.».

Sul punto, appare utile rilevare anzitutto che, in materia di investimenti finanziari, la responsabilità dell’intermediario deve ritenersi di natura precontrattuale (e, quindi, extracontrattuale) in caso di violazione dei doveri comportamentali derivanti da principi generali (quali la buona fede e la correttezza) ovvero da norme di settore (primarie e secondarie) disciplinanti la fase delle trattative che precedono la formazione del contratto quadro; mentre la responsabilità è contrattuale allorquando vengono prospettate violazioni dei doveri comportamentali richiesti nell’esecuzione delle prestazioni, alle quali l’intermediario deve ritenersi tenuto nei confronti del cliente in forza del contratto quadro e delle nome integrative di settore.

Ebbene, ad avviso del giudice di seconde cure, la fattispecie della mancata stipula del contratto-quadro di negoziazione è sussumibile nell’ambito della responsabilità precontrattuale, ai sensi dell’art. 1338 c.c., che ha natura extracontrattuale, e in relazione alla quale l’art. 2947 c.c. stabilisce un termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio della relativa azione risarcitoria.

Nel caso di specie, le raccomandate risalenti al 2008 e al 2011 sono volte solo a ottenere il rilascio di copia della documentazione, sì come pure il procedimento di mediazione che, fondandosi sull’art. 119 TUB, è stato promosso nel corso dell’anno 2011; appare evidente come non possano costituire validi atti interruttivi della prescrizione, con la conseguenza che, alla data del 2013, l’esperita azione risarcitoria non poteva essere più esercitata, essendosi ormai irrimediabilmente perento il termine quinquennale summenzionato.

Alla luce infatti dell’art. 2935 c.c., per il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, sembra più coerente con la ratio della disposizione dell’art. 2947 c.c. ritenere che il dies a quo della prescrizione quinquennale coincida con il giorno in cui è stato conferito l’incarico di procedere all’acquisto dei titoli oggi contestati. Attesa infatti la particolarità della fattispecie de qua, si ritiene che il danno sia qui ravvisabile nella lesione della libertà negoziale dell’investitore, dal momento che le operazioni sono state eseguite senza la preventiva tutela della stipula del contratto-quadro: le perdite, invece, costituiscono una conseguenza dell’illecito consumato dalla banca, ragion cui la decorrenza della prescrizione giammai potrebbe essere ancorata al momento della loro individuazione.

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[1] Cfr. Trib. Napoli, Sez. II, n. 1511/2023.

[2] Cfr. Cass. n. 15669/2011; Cass. n. 16069/2022; Cass. n. 7749/2016.

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