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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 20 settembre 2023, n. 26934.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

La Corte territoriale, dopo aver reputato documentalmente comprovato che la SPV avesse acquistato dalla Banca il credito attenzionato, ha correttamente ritenuto che la fattispecie fosse regolata dalla legge n. 130/1999, il cui art. 4 stabilisce espressamente l’applicabilità, alle cessioni onerose di crediti pecuniari realizzate nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione, delle disposizioni contenute nell’art. 58, commi 2, 3 e 4 TUB.

Ciò posto, avuto riguardo al terzo comma, che prevede che i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o, comunque, esistenti a favore del cedente, conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione, e che restano, altresì, applicabili le discipline speciali (anche processuali) stabiliti per i crediti ceduti, la Corte d’Appello ha ritenuto che la fideiussione omnibus prestata, in favore della Banca cedente, avesse conservato la propria validità ed efficacia anche in favore della subentrata cessionaria, che sarebbe, quindi, divenuta titolare del diritto controverso, assumendo processualmente la veste di successore, ai sensi dell’art. 111 c.p.c.

Il ricorrente evidenzia come le parti contraenti avessero deciso, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, di escludere il credito dall’operazione di cartolarizzazione: circostanza che, nella specie, si sostanzia in un motivo inammissibile, per violazione della c.d. “doppia conforme”.

In ogni caso, il Collegio rileva come la conservazione della validità e del grado a favore del cessionario, da parte delle garanzie e dei privilegi di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti, a favore del cedente, costituisce un effetto naturale delle cessioni di crediti poste in essere ai sensi della legge n. 130/1999, che si determina (in virtù del prefato richiamo alle disposizioni contenute nell’art. 58, commi 2, 3 e 4 TUB) senza bisogno di alcuna formalità o annotazione.

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Con ulteriore motivo, il ricorrente deduce che le cessioni in blocco di crediti pecuniari, finalizzate alla realizzazione di operazioni di cartolarizzazione, ex lege n. 130/1999, non implicherebbero il trasferimento del rapporto contrattuale sottostante, in quanto i crediti che ne formano oggetto costituirebbero un patrimonio separato da quello della società di cartolarizzazione, destinato in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti e al pagamento dei costi dell’operazione, sicché non sarebbe consentito al debitore-ceduto proporre nei confronti del cessionario eccezioni di compensazione o domande giudiziali fondate sui crediti vantati verso il cedente, nascenti dal rapporto con quest’ultimo. La circostanza dell’esclusione, nell’ambito di una cessione di credito cartolarizzato, del trasferimento della titolarità del rapporto contrattuale, dalla società cedente alla cessionaria, avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a escludere la legittimazione processuale della seconda, dal momento che, nella specie, la domanda proposta in giudizio aveva a oggetto l’accertamento della nullità/inefficacia del cliente con la banca cedente, nella cui titolarità la SPV non era succeduta, permanendo la legittimazione processuale in capo all’originaria convenuta.

Il rilievo dell’omesso trasferimento del rapporto contrattuale in esito all’operazione di cartolarizzazione del credito oggetto di cessione, non assume dunque alcuna importanza ai fini della invocata cassazione delle statuizioni contenute nella sentenza impugnata, atteso, per un verso, che quella principale di rigetto della domanda di nullità ed inefficacia della fideiussione è stata emessa nei confronti della Banca-parte originaria, e considerato, per altro verso, che, la legittimazione ad intervenire della SPV, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso[1]   e non a quella di successore nel rapporto contrattuale della società cedente.

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Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto documentalmente provata la cessione in blocco dei crediti, dal momento che tale prova sarebbe stata desunta dalla Corte territoriale dall’avviso di cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale a iniziativa della cessionaria, ovverosia da un documento privo di efficacia probatoria al riguardo. La Corte territoriale aveva ritenuto documentalmente provato, per tabulas, che la SPV fosse divenuta cessionaria del credito vantato, con annesse garanzie (ivi compresa la fideiussione), per averlo acquistato pro soluto nell’ambito di una più ampia operazione di cessione in blocco di crediti.

Il ricorrente contesta tale giudizio sul rilievo che il deposito dell’avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale, da cui il giudice d’appello avrebbe tratto la prova documentale della cessione, «pur essendo astrattamente idoneo a fondare di per sé la legittimazione», nel caso di specie non avrebbe permesso «l’individuazione senza incertezze dei rapporti oggetto della cessione», limitandosi ad operare «un rinvio a un elemento estrinseco, ossia l’elencazione pubblicata sul sito […] dei “dati indicativi dei Crediti”»

La Terza Sezione Civile ritiene la doglianza manifestamente inammissibile, in quanto si risolve nella surrettizia richiesta di riesaminare circostanze riservate al giudice del merito. In ogni caso, lo stesso Collegio ricorda che, secondo l’univoco orientamento di questa Corte, in caso di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ex art. 58 TUB, la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che rechi l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno dei rapporti oggetto della cessione, allorché gli elementi che accomunano le singole categorie consentano di individuarli senza incertezze[2].

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Parte ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda avente a oggetto la declaratoria di nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust, essendo stata redatta su un formulario ABI, dichiarato frutto di un’intesa anticoncorrenziale e, quindi, lesivo della disciplina anticoncorrenziale, con provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005. La Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile questa domanda per genericità, in quanto proposta: a) senza indicare quali clausole specifiche risultassero affette da nullità tra tutte quelle contenute nello schema negoziale astratto predisposto dall’ABI; b) senza chiarire se esse fossero state effettivamente riprodotte nel negozio di fideiussione stipulato e se avessero trovato concreta applicazione nella fattispecie; c) senza spiegare perché la nullità di dette clausole avrebbe travolto l’intera fideiussione, stante la regola dell’art. 1419 c.c., secondo cui la nullità parziale o di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto solo se risulta che esso non sarebbe stato concluso senza la parte che risulta affetta da nullità.

Sulla questione, come noto, si è registrato l’intervento risolutore (o quasi) delle Sezioni Unite[3], che hanno affermato che i contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a), della legge n. 287/1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3, della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

Nel caso di specie, lo stesso ricorrente afferma che con l’atto di citazione aveva (infondatamente) invocato la declaratoria della nullità totale del negozio di fideiussione, solo perché stipulato “a valle” di intesa anticoncorrenziale, mentre solo nei successivi atti difensivi (segnatamente, in comparsa conclusionale) aveva dedotto che tale nullità poteva essersi determinata per propagazione di quella di singole clausole, specificamente individuate ed analizzate, che erano state poste a confronto con quelle contenute nel modulo predisposto dall’ABI. La mera allegazione secondo cui quelle specifiche clausole avrebbero costituito elementi essenziali nell’economia del negozio fideiussorio, è rimasta sfornita, nel giudizio di merito della Corte territoriale, del supporto di elementi concreti in base ai quali potesse essere ricostruita una volontà delle parti intesa a ritenerle irrinunciabili[4].

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Da ultimo (ai fini che qui interessano) il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, dopo avere affermato la piena applicabilità alla fattispecie della disposizione contenuta nell’art. 1956 c.c., previo rilievo della nullità della clausola derogatoria contenuta nel negozio fideiussorio che dispensava la banca dal chiedere al fideiussore la preventiva speciale autorizzazione da essa prevista, in funzione dell’erogazione del credito al terzo debitore, ha rigettato la domanda avente a oggetto la declaratoria di nullità o di estinzione della fideiussione basata sulla dedotta violazione di tale disposizione e dei criteri di correttezza e buona fede che ne costituiscono il fondamento.

La Corte territoriale ha fondato tale statuizione sul rilievo che l’attore-appellante non avesse fornito la prova della sussistenza dei presupposti ai quali l’art.1956 c.c. subordina la liberazione del fideiussore, ovverosia quello oggettivo della concessione di un ulteriore finanziamento successivo al deterioramento delle condizioni economiche del debitore e sopravvenuto alla prestazione della garanzia, nonché quello soggettivo della consapevolezza di tale deterioramento da parte del creditore.

Ebbene, nel caso di specie, il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il fideiussore, che chieda la liberazione della garanzia prestata invocando l’applicazione dell’art. 1956 c.c., abbia l’onere di provare, ex art. 2697 c.c., l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, ovverosia che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche[5].

Inoltre, deve escludersi che tale consolidato principio sia stato in qualche misura contraddetto nel pronunciamento n. 32774/2019, laddove, dopo avere individuato la sussistenza, in capo al creditore garantito, di un’obbligazione di protezione dell’interesse del fideiussore per un’obbligazione futura a vedere conservata la garanzia patrimoniale del debitore, si è coerentemente statuito che incomba sul

creditore medesimo, debitore dell’obbligazione di protezione (laddove abbia concesso credito al terzo nella consapevolezza di un mutamento delle sue condizioni patrimoniali, tale da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito da parte del fideiussore) l’onere di provarne l’esatto adempimento, dimostrando di avere debitamente informato dell’aggravamento delle condizioni del debitore il garante inconsapevole e di avergli debitamente richiesto l’autorizzazione prima di erogare ulteriore credito, al fine di consentirgli di sottrarsi, negando l’autorizzazione medesima, all’adempimento di un’obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa.

Non si può, pur tuttavia, addivenire a una sovrapposizione inesatta tra l’onere del creditore di provare l’esatto adempimento della sua obbligazione di protezione, nei confronti del fideiussore e quello contiguo, ma distinto, del fideiussore medesimo, che invoca la liberazione dalla sua obbligazione di garanzia per la mancata richiesta della predetta autorizzazione, di dimostrare l’avvenuta consapevole concessione di un ulteriore finanziamento dopo la stipulazione del contratto di garanzia nella consapevolezza del sopravvenuto peggioramento delle condizioni economiche del debitore.

 

 

 

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[1] Legittimazione che portava con sé quella ad essere destinataria di una pronuncia, favorevole o sfavorevole, sulle spese, sia pure limitata al grado in cui l’intervento era stato dispiegato: Cass. 10/11/2015, n. 22955; Cass. 25/06/2020, n. 12663; Cass. 06/0472021, n. 9264) è stata riconosciuta dal giudice del merito, avuto riguardo alla sua qualità di cessionaria del credito (in tema, da ultimo, Cass. 19/04/2023, n.10442.

[2] Cfr. Cass. 29.12.2017, n. 31188; Cass. 01.02.2023, n. 4277.

[3] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un., 30.12.2021, n. 41994, con nota di F. Greco-A. Zurlo, Nullità parziale delle fideiussioni: la sentenza in chiaroscuro delle Sezioni Unite, in Responsabilità Civile Previdenza, fasc. 3, 2022, 822 ss. V. anche F. Greco – A. Zurlo, Analisi della garanzia fideiussoria, tra validità anticoncorrenziale e revisionismo consumeristico, in Responsabilità Civile Previdenza, fasc. 5, 1 maggio 2020, 1414 ss.

[4] Nella specie, il giudice d’appello ha reputato inammissibile la domanda sull’insuperabile rilievo, tra gli altri, che l’appellante non avesse spiegato perché la nullità di esse clausole avrebbe travolto l’intera fideiussione.

[5] Cfr. Cass. 22.05.2003, n. 8040; Cass. 07.02.2006, n. 2524; Cass.17.11.2016, n. 23422; Cass. 24.11.2022, n. 34685.

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