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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 7 settembre 2023, n. 26135.

Con l’ordinanza n. 26135 del 07/09/2023, la Suprema Corte ha deciso una particolare controversia in materia di responsabilità per il prodotto “difettoso” del fornitore diverso dal produttore.

Più nello specifico, la fattispecie sottoposta all’esame dei giudici di legittimità ha riguardato l’ipotesi di una domanda di responsabilità per il danno cagionato all’attore dall’iniziale cattivo funzionamento, poi sfociato nella successiva rottura, del c.d. cambio automatico montato sul veicolo da lui acquistato, domanda proposta nei confronti della società fornitrice, qualificata, però, come produttrice.

La questione controversa, previa ricostruzione del quadro normativo in cui collocare le diverse censure articolate nel ricorso, è stata risolta dalla Corte sulla base di una puntuale applicazione della disciplina di cui all’Art.116 del d.lgs. 206/05, che disciplina laResponsabilità del fornitore”.

Per un corretto inquadramento normativo della responsabilità del fornitore per prodotto difettoso, infatti, occorre partire dal d.P.R. n° 224 del 1988, con cui, nell’ordinamento italiano, è stata data attuazione alla Direttiva CEE 85/374[1], disciplinante la responsabilità in parola.

A distanza di alcuni anni, detta disciplina è stata assorbita nel d.lgs. n° 206 del 2005, c.d. “Codice del consumo”, Testo Unico che raccoglie gli atti legislativi e regolamentari, quasi tutti attuativi di Direttive comunitarie, aventi per oggetto la tutela dei consumatori[2].

Ebbene, nell’ambito del Codice del Consumo è l’Art. 116[3] che disciplina la “Responsabilità del fornitore”.

Nello specifico, secondo l’Art.116 del Codice del Consumo, si ha responsabilità del fornitore nei confronti del soggetto danneggiato allorché il produttore non sia individuato ed il fornitore ometta di comunicare il nome di quest’ultimo nei modi e nei tempi stabiliti dalla presente norma.

Si parla in questo caso di “responsabilità a cascata” ed ha lo scopo di imporre a ciascuno dei soggetti coinvolti nella catena produttiva il rispetto delle regole di trasparenza.

L’Art. 116, Cod. Cons., infatti, dispone, testualmente:

«1.Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, se ha omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto.

2. La richiesta deve essere fatta per iscritto e deve indicare il prodotto che ha cagionato il danno, il luogo e, con ragionevole approssimazione, la data dell’acquisto; deve inoltre contenere l’offerta in visione del prodotto, se ancora esistente.

3. Se la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio non è stata preceduta dalla richiesta prevista dal comma 2, il convenuto può effettuare la comunicazione entro i tre mesi successivi.

4. In ogni caso, su istanza del fornitore presentata alla prima udienza del giudizio di primo grado, il giudice, se le circostanze lo giustificano, può fissare un ulteriore termine non superiore a tre mesi per la comunicazione prevista dal comma 1.

5. Il terzo indicato come produttore o precedente fornitore può essere chiamato nel processo a norma dell’articolo 106 del codice di procedura civile e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata comparisce e non contesta l’indicazione.

Nell’ipotesi prevista dal comma 3, il convenuto può chiedere la condanna dell’attore al rimborso delle spese cagionategli dalla chiamata in giudizio.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano al prodotto importato nella Unione europea, quando non sia individuato l’importatore, anche se sia noto il produttore. B) Il suddetto articolo prevede, nel primo comma, la sottoposizione del fornitore (cioè colui il quale distribuisce il prodotto nell’esercizio di una attività commerciale) a responsabilità quando il produttore non sia individuato, oppure quando il fornitore, trascorso un periodo di tre mesi dalla richiesta del danneggiato, non abbia comunicato all’interessato l’identità ed il domicilio del produttore.

La responsabilità alla quale è sottoposto il fornitore sorge quando abbia omesso di ottemperare ad un preciso dovere, cioè comunicare al danneggiato, entro un ristretto lasso di tempo (tre mesi) dalla richiesta, l’identità ed il domicilio di chi abbia prodotto il bene difettoso».

Ebbene, gli Ermellini, partendo proprio dal dettato letterale dell’art. 116 del codice del consumo, sottolineano come esso sia, appunto, una «norma che, al ricorrere di certi presupposti, equipara, ai fini della responsabilità, la posizione del fornitore a quella del produttore, allo scopo di consentire al danneggiato di individuare più facilmente il soggetto contro il quale proporre l’azione risarcitoria».

In particolare, i giudici di legittimità, ribadiscano quanto già affermato in passato, ovvero che «la responsabilità del fornitore è la stessa alla quale è sottoposto il produttore, ma non è con essa solidale: essa, infatti, si configura come responsabilità indiretta, in quanto, al ricorrere di determinati presupposti, è chiamato a rispondere un soggetto diverso dal produttore, cioè da colui che è il responsabile del danno). Invero, la responsabilità del fornitore viene affermata (non sulla base di una ipotetica partecipazione del fornitore al processo produttivo ed a quello causale che ha determinato l’evento dannoso, bensì) allo scopo di indurre il fornitore a rivelare l’identità del produttore, in modo che questi risponda dei danni subiti dall’utilizzatore del bene.

Il danneggiato, al fine di ottenere il risarcimento, viene così liberato dall’onere di compiere indagini (che potrebbero essere anche complesse) sull’identità del produttore».

Infatti, «essendo il fornitore il soggetto che ha posto il danneggiato nella disponibilità del prodotto, quest’ultimo potrà rivolgersi direttamente al fornitore, che potrà sottrarsi ad ogni responsabilità permettendo l’individuazione del fabbricante o dell’importatore».

Ne consegue che, «trattandosi di responsabilità indiretta, il fornitore sarà chiamato a rispondere del danno nella misura in cui sarebbe stato chiamato a rispondere il produttore rimasto ignoto».

Al contrario, continuano i Giudici di Piazza Cavour, «il fornitore non può essere chiamato a rispondere del danno in caso di insolvenza da parte del produttore (conosciuto); infatti, si ribadisce, la ratio della previsione della responsabilità del fornitore non è quella di rafforzare le probabilità di risarcimento del danneggiato, ma è soltanto quella di fare pressione nei confronti del fornitore per risalire rapidamente al fabbricante del bene».

Per quanto riguarda la richiesta, osserva ancora la Suprema Corte, «essa deve essere presentata per iscritto e deve contenere l’indicazione del prodotto che ha cagionato il danno, il luogo ed il tempo dell’acquisto. Potendo il danneggiato proporre l’azione risarcitoria direttamente contro il fornitore, la richiesta circa l’identità del produttore non può essere considerata un presupposto processuale».

La Suprema Corte si sofferma poi anche ad analizzare le ulteriori problematiche possono insorgere nell’ipotesi «in cui il fornitore sia solo l’ultimo anello di una catena distributiva».

Ebbene, «per far fronte a simili situazioni, il decreto attuativo prevede che, entro i tre mesi stabiliti, il (sub)fornitore debba indicare il soggetto che a sua volta gli abbia fornito il prodotto, il quale godrà dello stesso periodo di tempo per indicare il proprio fornitore e così via fino a giungere al produttore. D’altronde, a fronte della previsione del decorso di tre mesi per conoscere ogni elemento della catena distributiva, è previsto che il termine di prescrizione, quantificato in tre anni dall’art. 125 del Dlgs 206/2005, inizia a decorrere dal momento in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno, del difetto e dell’identità del responsabile (cioè del produttore, fabbricante del prodotto)».

Inoltre, «in caso di azione di risarcimento diretta nei confronti del fornitore, con l’ammissione della richiesta di identificazione del produttore, quando il fornitore abbia provveduto all’indicazione richiesta nel corso del giudizio, l’attore, ai sensi dell’art. 106 c.p.c., potrà provvedere a chiamare in giudizio il soggetto indicato come produttore».

Dal canto suo «il fornitore-convenuto potrà considerarsi estromesso dal processo se il terzo indicato compaia e non contesti l’indicazione» e, «in caso di contestazione, nel corso del giudizio si assisterà al contemporaneo svolgersi di una fase diretta all’accertamento dell’identità del terzo identificato come produttore, con la conseguenza che il fornitore resterà nella condizione di convenuto, in caso di accoglimento della contestazione».

Ne consegue che non risulta necessaria «l’effettiva chiamata in causa del produttore, sia perché si tratta di una facoltà e non di un obbligo (secondo l’art. 116 comma 5, il terzo produttore “può” essere chiamato in giudizio), sia perché l’esercizio di tale facoltà comporta quale conseguenza solo l’eventuale estromissione del fornitore: nessuna disposizione della disciplina vigente prevede che, se non vi sia la chiamata in causa, sussista la responsabilità del fornitore».

In definitiva, secondo i Giudici di legittimità «a fronte al danno subito per difetto del prodotto, il danneggiato, nei confronti del fornitore, ha facoltà di:

a) richiedere l’identità del produttore;

b) agire con l’azione contrattuale;

c) agire con l’azione aquiliana».

Nel caso specifico sottoposto all’esame del giudizio di legittimità, la Corte d’appello di Napoli, confermando la sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda originariamente proposta dall’attore volta, appunto, ad ottenere il risarcimento del danno da lui subito a seguito del difetto relativo al cambio automatico di un’autovettura con il seguente iter argomentativo:

«a) dalle emergenze processuali risultava che la società convenuta in giudizio, fosse la distributrice/ importatrice in Italia della vettura acquistata dall’attore consumatore, ma non risultava che essa fosse stata la produttrice di tale vettura;

b) la qualifica di “produttrice” di detta società era l’unica dedotta dall’attore a fondamento della domanda risarcitoria proposta, con inammissibilità ex art. 345 c.p.c. di nuove causae petendi dedotte in secondo grado.

Osserva il collegio, dando attuazione ai principi sopra indicati, che il rigetto della domanda attorea, pur conforme a diritto, avrebbe dovuto essere diversamente motivato, e a tanto procede ora questa Corte esercitando la facoltà ad essa concessa dall’art. 384 c.p.c.».

Invero, osservano i Giudici di legittimità, «l’attore aveva proposto nei confronti della fornitrice domanda di responsabilità qualificando la società come produttrice. La sua domanda, diversamente da quanto opinato dalla Corte territoriale, era ammissibile, in quanto ammissibile è la domanda rivolta contro il mero fornitore qualificato come produttore: infatti, non vi è un mutamento di domanda se il soggetto convenuto quale produttore risponda, ai sensi dell’art. 116 cod. consumo, in guisa di produttore, in quanto fornitore non collaborante nell’identificazione del produttore.».

Tuttavia, per i giudici di Piazza Cavour, la domanda dell’attore è infondata in quanto, «come risulta dal contenuto del controricorso della società fornitrice quest’ultima, depositando il certificato cronologico, ha collaborato all’identificazione del produttore, che è rimasto individuato.

Per questa ragione, la società fornitrice, non produttore, non avrebbe potuto essere ritenuta responsabile del danno denunciato al posto del produttore ai sensi dell’art. 116 cod. consumo. 2.3.

Può essere utile aggiungere che, ai sensi dell’art. 3 lettera d) del Codice del Consumo, “ove non diversamente previsto”, si intende per produttore: il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario, nonché l’importatore del bene o del servizio nel territorio dell’Unione europea o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo».

Nella fattispecie in esame, infatti, è stato accertato in fatto che società X distribuiva un prodotto fabbricato da Y, marca facente parte del più ampio gruppo W.

In particolare, secondo la Suprema Corte, «la diversità di marchio e di nome rende irrilevante la questione della responsabilità del soggetto che, pur non essendo produttore, si presenti come tale apponendo sul prodotto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo»[4].

Occorre evidenziare che, la Suprema Corte, nel suo inter argomentativo dà comunque atto del fatto che, di recente, la stessa III Sezione che ha emesso l’ordinanza qui in commento, con ordinanza interlocutoria n. 6568/2023 in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea formulando il seguente quesito: «visto l’articolo 267 TFUE se sia conforme all’art. 3, comma 1, dir. 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore»[5].

Trattasi di una questione pregiudiziale assai rilevante non solo ai fini di una corretta distinzione tra responsabilità del fornitore e del produttore ma anche ai fini della tutela del consumatore.

Tuttavia, in attesa della pronuncia sul punto della Corte di Giustizia Europea, come ribadito dalla Cassazione anche nell’ordinanza qui in commento, sarà sempre bene ricordare che «a fronte al danno subito per difetto del prodotto, il danneggiato, nei confronti del fornitore, ha facoltà di:

a) richiedere l’identità del produttore;

b) agire con l’azione contrattuale;

c) agire con l’azione aquiliana»[6].

 

 

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[1] Cfr. Direttiva 85/374/CEE del Consiglio del 25 luglio 1985 relativa al “ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi”, consultabile su eur-lex.europa.eu.

[2] La normativa del Codice del Consumo in tema di responsabilità per prodotto difettoso a cui far riferimento sono gli Artt. 114 – 127 Codice del Consumo. In particolare l’Art. 114 Cod. Cons. stabilisce che “il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto”. Tuttavia, per di comprendere il contenuto di tale disposizione e, quindi, la natura della responsabilità del produttore, è necessario leggere il predetto articolo in combinato disposto con le altre disposizioni in materia e, in particolare, con l’Art. 120 Cod. Cons. (rubricato: “Prova”). Bisogna altresì tenere in considerazione, oltre all’Art.116 espressamente richiamato nell’ordinanza in commento, anche all’Art. 115 Cod. Cons. che offre anche una definizione di produttore (“è il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente, il produttore della materia prima, nonché, per i prodotti agricoli del suolo e per quelli del dell’allevamento, della pesca e della caccia, rispettivamente l’agricoltore, l’allevatore, il pescatore ed il cacciatore”) che abbraccia, non solo i soggetti che hanno partecipato al processo produttivo, ma anche coloro che si sono occupati della messa in commercio del prodotto, quale, ad esempio l’importatore. L’art. 115 Cod. Cons., oltre alla definizione di produttore fornisce anche la definizione di prodotto: “ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile”, compresa l’elettricità. Restano, pertanto, fuori dall’ambito di applicazione della normativa i beni immobili, i beni immateriali e le prestazioni di servizi.

[3] Cfr.: 116 Codice del consumo (D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) – Parte IV – Sicurezza e Qualità -Titolo II- Responsabilità per danno da prodotti difettosi – “Responsabilità del fornitore”.

[4] A tal proposito appare opportuno evidenziare che anche la Corte di Giustizia EU, chiamata più volte ad interpretare dir. 85/374/CEE, si è spesso soffermata sulla definizione di “produttore”, definendolo come «il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte di componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso» (Cfr. Corte Giustizia UE, sentenza C-264/21). Secondo la giurisprudenza europea, quindi, è “produttore” chiunque appone il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, o autorizzi tale apposizione. Come, peraltro, chiarito dalla sentenza sopra citata, infatti, la definizione di “produttore” ai sensi dell’articolo 3 Paragrafo 1, della direttiva 85/374 «non richiede che la persona che ha apposto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, o che ha autorizzato tale apposizione, si presenti anche come il produttore dello stesso in qualsiasi altro modo”.  Quando non può essere individuato il produttore del prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi il nome dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato il nome del produttore».

[5] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 6 marzo 2023, n. 6568. Il quesito della Corte è volto in sostanza ad acquisire una decisione dalla Corte di Giustizia che dica – una volta e per tutte – se il venditore di un prodotto possa essere ritenuto responsabile in caso di danni da prodotto ai sensi della Dir. 85/374/CEE per il sol fatto che utilizzi una denominazione/ragione sociale/marchio in tutto o in parte coincidente con quella del produttore. Nel caso di specie, infatti, ALFA Italia si era limitata a vendere il veicolo ma non era il produttore la cui qualifica invece restava in capo alla casa madre tedesca ALFA né tantomeno aveva apposto (o autorizzato) il proprio marchio (il prodotto, ovviamente, recava solo ALFA della casa madre).

[6] Sul tema di responsabilità per prodotto difettoso del fornitore diverso dal produttore, per quanto concerne la giurisprudenza di legittimità, si vedano anche ex plurimis:

Cass. 20 gennaio 2020, n. 1082: laddove si osserva che “la direttiva comunitaria 44/1999/Ce ha inteso rafforzare la tutela del soggetto debole e non certo diminuirla. Pertanto, il consumatore, oltre i rimedi previsti nel codice del consumo all’art. 130, conserva il diritto di agire per il ristoro del pregiudizio subito, consistente nella somma necessaria per l’eliminazione dei vizi”;

Cass. 29 ottobre 2019, n. 27596: laddove gli Ermellini affermano che “l’importatore o il distributore in Italia di un autoveicolo prodotto da un soggetto residente all’interno dell’Unione europea non rispondono dei danni causati dal difetto di fabbricazione del veicolo stesso, poiché l’art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 224 del 1988 consente al consumatore di promuovere il giudizio risarcitorio direttamente nei confronti del produttore”. Sulla base di questo presupposto, la Suprema Corte ha rigettato la domanda risarcitoria proposta per i danni conseguiti al mancato funzionamento degli airbag di un’autovettura fabbricata da una società avente sede all’interno dell’Unione europea, cassando senza rinvio la decisione di merito che non aveva rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione passiva della società convenuta, mera distributrice e non produttrice del veicolo;

– Cass. 30 agosto 2019, n. 21841: “in tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi, in virtù dell’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 224 del 1988, applicabile “ratione temporis”, si considera produttore chi si presenti come tale apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione. La mera utilizzazione del marchio nella denominazione della società distributrice in Italia, legata al gruppo internazionale, è insufficiente a provare la proprietà del marchio da parte della stessa. Pertanto, la società distributrice, che non sia anche contitolare del marchio o comproprietaria del medesimo, non può considerarsi produttrice, né responsabile del danno dovuto al difetto di fabbricazione, pur impiegando il marchio nella propria denominazione sociale”. Nel caso di specie la Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto provato che la società convenuta fosse il produttore di una autovettura, solo perché nella propria denominazione sociale era contenuto il nome del marchio che risultava apposto sul mezzo, comune ad altre società del medesimo gruppo;

Cass. 13 dicembre 2018, n. 32226: in tema di danno da prodotti difettosi, «l’atto interruttivo della prescrizione indirizzato al fornitore non produce effetti nei confronti del produttore, in quanto il regime di responsabilità solidale di cui all’art. 121 c. cons. opera solo tra i produttori che collaborano nella destinazione del prodotto finito alla circolazione, mentre non riguarda il fornitore, giacché estraneo alla catena produttiva e soggetto, ai sensi dell’art. 116 c. cons., alla responsabilità, alternativa a quella del produttore, derivante dalla mancata comunicazione nel termine prescritto al danneggiato dell’identità e del domicilio del produttore, che non risulti individuato»;

Cass. 20 novembre 2018, n. 29828: con tale pronuncia, la Suprema Corte compie analizza gli elementi costitutivi il modello di responsabilità in parola, evidenziando la relatività sottesa alle “concettualità fondative (sicurezza, responsabilità, difetto e rischio)”, nonché esaminando la distribuzione, su di un piano teorico e pragmatico – operativo, dell’onere probatorio, con la sua ripartizione tra produttore e danneggiato;

Cass. 13 agosto 2015, n. 16808: in tema di responsabilità per danni da prodotto difettoso, «gli obblighi gravanti sul produttore non possono ragionevolmente estendersi all’impiego di materiali o all’adozione di cautele specifiche, tali da reggere anche ad un uso del prodotto univocamente prospettato all’utente come non conforme a minimali modalità di utilizzo, corrispondenti a regole di comune prudenza, né particolarmente gravose né implicanti apprezzabili limitazioni nell’impiego del bene». Sulla base di tale principio, la Suprema Corte ha escluso la responsabilità del fabbricante per i danni subiti dall’attore a seguito dello scoppio dello pneumatico di una ruota di un carrellino pieghevole, che lo stesso danneggiato aveva gonfiato adoperando il compressore ad una pressione superiore a quella massima, chiaramente indicata sulla ruota da gonfiare;

Cass. 28 luglio 2015, n. 15851: «la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto. Ne consegue, pertanto, che incombe sul soggetto danneggiato la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno mentre il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni di cui all’art. 127 cod. cons.».

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