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«Ho “conosciuto” Malraux che c’era ancora la Lira, ma l’ho terminato che ormai l’Euro aveva già abbondantemente corso legale»

Ho “conosciuto” Malraux che c’era ancora la Lira; non è stato amore a prima vista. Anzi, non è stato affatto amore. Ho terminato questo libro che l’Euro aveva abbondantemente soppiantato la moneta precedente, avendo da tempo guadagnato il corso legale.

Ho impiegato circa 20 anni per leggere questo testo; l’ho abbandonato più di una volta, ma alla fine ho avuto la meglio su quello che era divenuto un nemico letterario. Non mi piace l’opera incompiuta, dovevo sconfiggere la mia stessa ritrosia.

Questa è una recensione insolita, perché generalmente si preferisce recensire ciò che si è apprezzato, mentre io questo libro l’ho profondamente detestato.

Non si pensi, tuttavia, che la mia sia una stroncatura al libro, non avrei le doti per farlo, credo più si tratti di un piccolo elogio alla mia perseveranza nel voler concludere ciò che avevo iniziato e lasciato in sospeso.

“La condizione umana” è considerato una pietra miliare della letteratura mondiale e valse a Malraux il premio Goncourt nel 1933, riscuotendo fin da subito ampio successo del pubblico e della critica, ma io tutto questo non l’ho percepito. Non l’ho capito. Non l’ho saputo cogliere.

Probabilmente ho pagato lo scotto di un’edizione mediocre ed infatti penso che il peggior difetto di questo libro sia la traduzione, che spesso non cura il dettaglio del significato intrinseco dei pensieri, ma non ci metterei la mano sul fuoco.

Del resto, già la copertina avrebbe dovuto dirottare altrove la mia scelta, ma invero si trattò di un libro consigliato, probabilmente da chi non mi voleva bene!

L’ambientazione è la Cina della fine degli anni Venti del secolo scorso, precisamente subito dopo l’insurrezione di Shangai del 1927: gli operai armati dai comunisti liberarono la città prima dell’arrivo di Chiang Kai-shek e le truppe del Kuomintang, già alleati. L’alleanza tra comunisti e Kuomintang venne infranta e i comunisti, di fatto, furono condannati al massacro.

Un libro introspettivo, tutt’altro che leggero, che solo apparentemente tratta uno spaccato della rivoluzione cinese nella Shangai di un secolo fa.

Un viaggio interiore, che cerca di penetrare a fondo nell’animo umano per trarne un quadro complesso e sempre incompleto.

La condizione umana di cui scrive Malraux non è quella dei disperati, di chi ha perso tutto in una guerra non sua, di chi soffre nella disgrazia bellica; gli uomini di Malraux possono essere descritti come una serie di “isole” che, pur nel dialogo e nel confronto, restano estranee e distaccate, ognuna per il suo percorso, con il suo disegno. Uno spaccato del male che ci affligge da tempo immemore e che è la peggior piaga della modernità: l’incomunicabilità.

L’impossibilità di comunicare con l’altro è la caratteristica di ogni essere umano, anche il più espansivo, e ci logora dall’interno, impedendoci di conseguire uno scopo benevolo unitario, lasciandoci soli.

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