Nota a Cass. Civ., Sez. I, 25 luglio 2023, n. 22290.
Il contributo si sofferma sulla recente Ordinanza n. 22290 del 25 luglio 2023, con la quale la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, nell’accogliere tutte le censure del ricorrente, ha enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di accertamento, nel conto corrente bancario, del rapporto di dare/avere, a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto è sempre possibile, per il giudice del merito, ricostruire i saldi attraverso l’impiego di mezzi di prova ulteriori, purché questi siano idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti».
Tale pronuncia offre lo spunto per approfondire la questione, mai sopita, del riparto dell’onere probatorio.
*****
- Il caso
Con la recentissima ordinanza in oggetto, la Corte Suprema di Cassazione torna ad affrontare il tema degli estratti di conto correnti quali mezzi istruttori efficaci per assolvere l’onere della prova nelle controversie bancarie. La pronuncia ha origine dalla domanda avanzata da un correntista (titolare di ditta individuale) innanzi al Tribunale di Arezzo, nei confronti del proprio Istituto di credito, al fine del ricalcolo del rapporto dare/avere del proprio conto corrente bancario (chiuso nel 1999).
Le doglianze del correntista riguardavano la presunta applicazione di illegittimi interessi ultralegali secondo l’uso di piazza, illegittimi interessi anatocistici, illegittime commissioni di massimo scoperto, illegittime competenze non concordate ed illegittimi giorni di valuta, con conseguente eventuale restituzione delle somme addebitate dalla banca. Il Giudice di prime cure, accertati i fatti di causa, rigettava le pretese dell’attore non ritenendo soddisfatto l’onere della prova a suo carico, atteso che il correntista aveva esibito gli estratti conto relativi solo alle annualità più recenti (precisamente, dal 1993 sino alla data di chiusura del conto), non riuscendo a documentare i primi anni del rapporto negoziale poiché risalenti nel tempo.
Tale decisione veniva impugnata dal correntista innanzi alla Corte d’Appello di Firenze, la quale confermava la sentenza di primo grado ritenendo che l’onere probatorio gravante sull’attore può considerarsi assolto esclusivamente con la produzione integrale degli estratti conto. Inoltre, il Giudice dell’appello non riteneva applicabile nel caso di specie il principio della “vicinanza della prova”, invocato dall’attore[1], perché, se era vero che la banca aveva più facilità del cliente a reperire la documentazione necessaria, era altrettanto vero che il cliente aveva la possibilità di chiederla alla banca, ai sensi dell’art. 119 T.U.B., con la conseguenza che, l’eventuale mancata ottemperanza della banca a tale richiesta, avrebbe potuto essere valutata come principio di prova in favore del cliente stesso. Di tale richiesta, però, non era stata fornita adeguata prova nel corso del giudizio[2].
La Suprema Corte, con l’ordinanza de qua, accoglie il ricorso presentato dal correntista avverso la decisione della Corte d’Appello di Firenze e cassa con rinvio la sentenza, accogliendo tre dei cinque motivi del ricorso e considerando assorbiti i restanti.
- Motivi della decisione.
La Corte di Cassazione ritiene che le conclusioni del giudice di secondo grado costituiscano palese violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. poiché, nel caso di specie, il ricorrente, seppur non avesse prodotto in giudizio tutti gli estratti conto, ha prodotto ed esibito le proprie scritture contabili regolarmente tenute e idonee ad essere assunte quale mezzo istruttorio in favore dell’imprenditore ex art. 2710 c.c., in quanto consentono la ricostruzione dei flussi del rapporto negoziale[3].
La Suprema Corte afferma che «deve ritenersi, ormai, ius receptum il principio di diritto secondo cui, a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto è sempre possibile, per il giudice del merito, ricostruire i saldi attraverso l’impiego di mezzi di prova ulteriori, purché questi siano idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto rapporto. La prova dei movimenti del conto può, pertanto, desumersi anche aliunde»[4].
Solo in mancanza di tali elementi ulteriori e certi potrà, dunque, essere respinta la domanda attorea per mancato assolvimento dell’onere della prova[5].
Gli ermellini concludono che «l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui occorre, necessariamente, la produzione integrale degli estratti conto dell’intero periodo per la dimostrazione della fondatezza delle domande, una volta (come nel caso di specie), del correntista e, altra volta della banca, per l’accertamento dei rispettivi rapporti di debito/credito azionati in giudizio, risulta contraria ai principi di diritto affermati da questa Corte di legittimità (…) principi alla cui luce anche la presente vicenda processuale dovrà essere riletta da parte della Corte territoriale in sede di giudizio di rinvio».
- Conclusioni.
Il riparto dell’onere della prova (ex art. 2697 c.c.) costituisce oggetto di un dibattito tuttora irrisolto e la vexata quaestio non è di poco conto poiché, com’è noto, dalla mancata dimostrazione di un fatto discende la conseguenza processuale della soccombenza della parte onerata della dimostrazione stessa[6].
È fuor di dubbio che contrapposti interessi necessitino di differente ripartizione dell’onere probatorio e che lo stesso gravi sulla parte che propone la domanda, secondo l’antico brocardo onus incumbit ei qui dicit (vale a dire che la prova spetta a chi afferma un fatto, positivo o negativo). E, in particolare, spetta all’attore la prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, mentre grava sul convenuto la dimostrazione dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto stesso[7]. La difficoltà consiste, allora, proprio nel trovare il giusto equilibrio fra contrapposti interessi, parimenti meritevoli di tutela. La regola di cui all’art. 2697 c.c., quindi, trova alcuni correttivi volti a facilitare l’onere probatorio.
Tali correttivi sono individuabili sia nelle presunzioni legali previste espressamente (ed eccezionalmente) dal legislatore e che comportano un’inversione dell’onere probatorio[8], sia negli strumenti processuali di attenuazione del criterio di riparto della prova come, ad esempio: a) l’acquisizione processuale, attraverso la quale un mezzo istruttorio definitivamente acquisito in giudizio può essere utilizzato dal giudice indipendentemente dalla parte che lo ha prodotto; b) l’acquisizione di prove atipiche[9]; c) la possibilità anche per l’organo giudicante di avere poteri istruttori esercitabili ex officio[10]; d) la previsione di considerare provati i fatti non specificatamente contestati, né direttamente né indirettamente; e) le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (ex art. 115, co. 1 e 2, c.p.c.)[11].
È plausibile ritenere che, tra questi correttivi processuali, vi rientri anche il principio della “vicinanza (o prossimità) della prova”. Tali correttivi, permettono di conformare le regole processuali ai precetti costituzionali del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.) e del giusto processo (ex art. 111 Cost.).
D’altronde, è noto che la ratio dell’onere della prova è quella di evitare il non liquet: il giudice, cioè, non può astenersi dal decidere, né, tantomeno, può rifiutarsi di provvedere per insufficienza di prove. Egli deve decidere in ogni caso, secondo il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (ex art. 112 c.p.c.).
È, quindi, tenuto a formare il proprio convincimento (indipendente, terzo ed imparziale) anche attraverso l’integrazione di elementi di fatto che siano idonei a dimostrare la fondatezza della domanda con maggiore certezza, o meglio, con minore rischio di infondatezza.
Per questi motivi, è consentito ritenere che l’art. 2697 c.c. (o meglio il conseguente rigetto della domanda nel caso di mancanza di mezzi istruttori o insufficienza di quelli allegati), sia applicabile in modo residuale, non già generale. Ad esso, in altre parole, l’interprete si orienta solo ove manchi un diverso criterio specifico che possa applicarsi al caso concreto, che sia una norma sostanziale o che sia una “costruzione” giurisprudenziale.
_________________________________
[1] Seppur non codificato nel nostro ordinamento, il principio della vicinanza della prova costituisce diritto vivente. Secondo tale assunto, la dimostrazione di un fatto giuridico grava sulla parte che si trovi nelle migliori condizioni per fornirla. La Corte di Cassazione ritiene la vicinanza della prova un “principio ormai pienamente generale” (Cass. Civ. n. 13851/2020).
[2] Conformemente alla Corte d’Appello di Firenze, si segnala App. Milano, 16.02.2022, n. 551.
[3] Giova rammentare che la S.C. ha ribadito più volte che l’onere probatorio non possa essere dimostrato solo ed esclusivamente con gli estratti conto: il correntista può utilizzare ogni mezzo istruttorio ritenuto idoneo a dimostrare di aver maturato un credito nei confronti della banca. A tal fine, si segnala l’Ordinanza n. 10293 del 18/04/2023 con la quale la Prima Sezione Civile della Cassazione, cassando la decisione della Corte d’Appello di Brescia del 11/05/2018, ha evidenziato che, ai fini della prova del saldo da parte del correntista, “anche i cosiddetti “riassunti scalari” consentono, per il tramite dell’operato del consulente d’ufficio, la ricostruzione delle movimentazioni del conto. Ciò comporta che la valutazione del Giudice possa ben essere operata anche su documenti diversi dagli estratti conto, ma che risultino comunque idonei a soddisfare l’onere della prova a carico dell’attore per determinare il dare/avere tra le parti”. (Cfr. Cass. Civ., Sez. I, n. 12993/2023; Cass. Civ., n. 35979/2022; Cass. Civ., n. 16837/2022).
Inoltre, con l’Ordinanza n. 22290 del 25/07/2023, la Prima Sezione Civile della S.C. ha specificato che, tra gli elementi che possono fornire indicazioni certe e complete ai fini della ricostruzione del rapporto dare/avere nei periodi non documentati da estratti conto, vi sono anche “le ammissioni del correntista stesso”.
[4] Cfr. Cass. Civ., n. 20621/2021; Cass. Civ., n. 29190/2020; Cass. Civ., n. 9526/2019.
[5] Cfr. Cass. Civ., n. 11543/2019.
[6] Dottrina e giurisprudenza si interrogano sin dal secolo scorso sulla distribuzione dell’onere probatorio quale regola generale applicabile in ogni ambito civilistico (Cfr: F. Schulz, Die Rechtfertigungslast, Druck, Altona, 1919, 3 ss.). Il dibattito è poi entrato nel vivo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. Per una recente critica all’onere della prova, si veda J. Nieva Fenoll, L’onere della prova: una reliquia storica che dovrebbe essere abolita, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2020, 1195 ss. Di tesi contraria: M. Garavaglia, Astrolabi, bussole e onere della prova: a proposito di un saggio recente, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2021, 1349 ss.
[7] L’opinione minoritaria secondo cui spetta al convenuto la prova dei fatti costitutivi del diritto, garantirebbe piena attuazione del diritto di azione, ma al tempo stesso limitarebbe il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost.
[8] È il caso, ad esempio, dell’art. 135 Cod. Cons., che esonera l’acquirente dalla dimostrazione che il difetto di conformità fosse preesistente alla vendita, purché si manifesti entro un anno dalla consegna, onerando il venditore della prova contraria.
[9] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 10.10.2018, n. 25067, con la quale la S.C. ha affermato che il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova.
[10] Tra i mezzi istruttori disposti d’ufficio dal giudice si menzionano, a titolo meramente esemplificativo, l’assunzione di nuovi testimoni (art. 257 cpc) e l’interrogatorio non formale delle parti (art. 117 cpc).
[11] Per evitare che la discrezionalità diventi abuso, e quindi per evitare che il giudice, nell’introdurre in giudizio prove non fornite dalle parti, leda il principio del contraddittorio, è necessario che l’organo giudicante ricorra solo ai c.d. fatti notori, vale a dire ai fatti acquisiti dalla conoscenza collettiva. Solo in tal caso, infatti, quel fatto è certo al punto tale da apparire incontestabile. Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 30.09.2009, n. 20930, con la quale la Corte ha affermato che la prova della condotta sanzionata amministrativamente per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria può essere ricavata da presunzioni semplici: in altre parole, l’esistenza di un fatto ignoto può essere dedotta quale conseguenza del fatto noto, secondo il canone della ragionevole probabilità e secondo la regola della comune esperienza.
Seguici sui social:
Info sull'autore