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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 18 luglio 2023, n. 20997.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

A giudizio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, è duplice l’errore di giudizio in cui è incorsa la Corte d’Appello meneghina, nell’interpretazione dell’art. 1892, primo comma, c.c.; segnatamente: a) l’erronea interpretazione del concetto di “circostanze”; b) l’erronea interpretazione del parametro di accertamento dell’elemento soggettivo del dichiarante.

  1. Sulla reticenza dell’assicurato.

Con riferimento al primo dei due profili, il Collegio evidenzia come, dalla lettera della norma, non sia possibile ricavarne un contenuto “statico”: invero, le circostanze rilevanti, ex art. 1892, primo comma, c.c., rispetto alla cui dichiarazione in sede di conclusione del contratto l’assicurato è stato reticente o inesatto, sono definite dalla legge in via funzionale e corrispondono a quelle che, se fossero state conosciute dall’assicuratore, non lo avrebbero determinato a contrarre ovvero avrebbero portato alla conclusione del contratto di assicurazione a condizioni diverse. L’art. 1892, primo comma, c.c. (sì come anche l’art. 1893 c.c.) costituisce strumento di tutela fondamentale per l’assicuratore che, data la aleatorietà tipica del contratto di assicurazione, fa affidamento sulle dichiarazioni dell’assicurato per valutare il livello di rischio e fissare il corrispondente premio. Difatti, dalle dichiarazioni sulle circostanze rilevanti assunte in sede di stipulazione del contratto, dipenderà la determinazione del premio costituente la controprestazione, cui è obbligato l’assicurato; dalle stesse dipenderà la proporzionalità delle prestazioni di cui si compone il contratto di assicurazione.

Alla luce di tali considerazioni, dunque, non è possibile individuare ex ante e in via tassativa quali circostanze l’assicurato è obbligato a denunciare in sede di conclusione del contratto; assumono rilevanza, ai sensi dell’art. 1892, primo comma, c.c., tutti quegli accadimenti di fatto e di diritto (conosciuti o conoscibili dall’assicurato ed idonei, obiettivamente, ad incidere sul consenso prestato dall’assicuratore) necessari al fine di perimetrare il rischio assicurato, prima, e determinare il premio assicurativo, poi. Ciò posto, ha errato la Corte territoriale, là dove, per sostenere la validità della polizza assicurativa, non ritenendo integrata in quella tenuta dall’assicurata una condotta equivalente alla omessa dichiarazione e alla colpevole reticenza, afferma che «alla data di stipula non poteva presagire, dopo ben sette mesi di quiescenza, un’azione giudiziaria da parte dei signori XXXXXX e XXXXXX, anche considerando che la loro comunicazione datata 29.04.2015 aveva un tenore più che altro interlocutorio […] che non poteva avere la stessa rilevanza di una espressa ed univoca richiesta risarcitoria da parte dell’assicurato». Trattasi, infatti, di affermazione errata in diritto sotto un triplice profilo; più nello specifico:

  1. un primo errore è consistito nel ritenere che la reticenza dell’assicurato rilevi, ai fini dell’art. 1892 c.c., solo se questi al momento della stipula del contratto possa presagire che “certamente” quella circostanza provocherà un sinistro. Deve, però, in contrario osservarsi che le reticenze dell’assicurato producono gli effetti di cui all’art. 1892 c.c. quando siano “in astratto” idonee ad incidere sul rischio, a prescindere dalla loro effettiva incidenza causale sul concreto sinistro del cui indennizzo di discute. Così, a titolo esemplificativo, nell’assicurazione della responsabilità civile una pregressa richiesta di risarcimento è idonea ad incidere sul rischio quand’anche ad essa poi non faccia seguito alcuna azione giudiziaria da parte del terzo danneggiato.
  2. Un secondo errore (conseguente al primo) è consistito nel ritenere che non il silenzio sulla causa (la richiesta di risarcimento), ma la “prevedibilità” dell’effetto (l’azione giudiziaria del terzo) costituiscano il presupposto per l’applicazione dell’art. 1892 c.c. Pur tuttavia, l’annullamento del contratto o la perdita dell’indennizzo, ex 1892 c.c., dipendono nel sistema della legge non da un errore di previsione, ma da un errore di informazione. L’assicurato perde il diritto all’indennizzo non perché abbia previsto il sinistro senza dirlo, ma perché ha taciuto una causa potenziale di aggravamento del rischio. La maggiore o minore prevedibilità che la circostanza sottaciuta possa causare un sinistro può, in teoria, rilevare solo sul piano della colpa dell’assicurato, non sul piano della incidenza del silenzio sul rischio, e quindi sul consenso dell’assicuratore alla stipula.
  3. In terzo luogo, se il reclamo avesse avuto rilevanza di una “espressa ed univoca richiesta risarcitoria da parte dell’assicurato”, non si sarebbe potuto validamente dar luogo al contratto di assicurazione oggetto del presente giudizio, giacché questo era delineato sul modello “claims made”, per cui, coincidendo il sinistro, in tale modello assicurativo, con la richiesta di risarcimento del danno, il rischio si sarebbe già verificato prima della stipula del contratto (avvenuta il 30 giugno 2015), ciò comportando la nullità del contratto stesso ai sensi dell’ 1895 c.c. L’insoddisfazione circa l’esecuzione della prestazione oggetto del contratto di vigilanza si palesa, dunque, con caratteristiche tali da poter essere ricompresa nel concetto di “circostanza” di cui all’art. 1892, primo comma, c.c., ovverosia di accadimento di fatto astrattamente idoneo a incidere sulla perimetrazione del rischio assicurato, in quanto possibile antecedente del “sinistro” al cui verificarsi scatta la copertura assicurativa. Giova, quindi, precisare che, mentre ai fini dell’annullamento del contratto di assicurazione ex art. 1892, primo comma, c.c., è necessario che l’assicuratore fornisca la prova del fatto che, se avesse conosciuto quella circostanza, avrebbe stipulato il contratto a condizioni diverse o non lo avrebbe stipulato affatto, ai fini dell’individuazione di quali sono le circostanze che l’assicurato è tenuto a dichiarare in sede di conclusione del contratto occorre utilizzare un parametro non di tipo concreto, bensì astratto. Pertanto, l’art. 1892 c.c. onera l’assicurato di comunicare all’assicuratore l’esistenza di fatti anche solo potenzialmente idonei a far sorgere la propria responsabilità[1]. E tali, nell’ambito dei contratti di assicurazione fondati sul modello claims made – sono tutti quegli accadimenti dai quali potrebbero scaturire richieste di risarcimento del danno e la cui conoscenza risulta essere per l’assicuratore necessaria al fine di determinare un premio di entità proporzionale rispetto al rischio assicurato.
  1. Il dolo o la colpa grave dell’assicurato.

Il secondo errore di giudizio in cui è incorsa la Corte territoriale milanese concerne, per contro, l’ulteriore presupposto, di carattere soggettivo, alla sussistenza del quale l’art. 1882, primo comma, c.c., condiziona l’annullamento del contratto di assicurazione, ovverosia l’addebito del fatto (reticenza o inesattezza della dichiarazione inerente a circostanze rilevanti) a titolo di dolo o colpa grave.

Fermo restando la consolidata interpretazione in seno alla giurisprudenza di legittimità, in ordine ai concetti di “dolo” e “colpa grave”[2], ciò che in questa sede rileva come errore di diritto è l’aver la Corte territoriale ancorato il giudizio di prevedibilità (che sostanzia la colpa) a un accertamento di tipo ex post e non anche prognostico, come richiesto dalla natura dello stesso. Il giudice di appello, infatti, ha fondato il suo ragionamento sulla circostanza che “alla data della stipula non poteva presagire, dopo ben sette mesi di quiescenza, un’azione giudiziaria da parte dei signori XXXX e XXXX […]”. Il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale è, dunque, quello per cui, al fine di affermare l’insussistenza di un addebito (gravemente) colposo e come tale rilevante ex art. 1892, primo comma, c.c., ciò che assume rilievo dirimente è il lasso di tempo decorso tra la data del reclamo (29.04.2015) e la data in cui è stata proposta l’azione di risarcimento del danno (01.12.2015), per l’appunto, “ben sette mesi”.

In definitiva, il giudice di appello ha basato la decisione in forza di una verifica ex post circa la prevedibilità della verificazione del “sinistro” da parte dell’assicurato. Diversamente, la Corte territoriale, per accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 1882, primo comma, c.c., avrebbe dovuto operare tramite un giudizio di prognosi postuma, ex ante, al momento in cui l’assicurato ha redatto il questionario e stipulato la polizza assicurativa (in data 8 giugno 2015) e accertare se, in quelle circostanze di fatto (valutando, quali indici di riferimento, il tempo trascorso tra la data della stipula del contratto e la ricezione del reclamo, il contenuto del reclamo, le dichiarazioni fornite all’interno del questionario, etc.), il “sinistro” (ossia, nella specie, la richiesta di risarcimento in conseguenza del furto consumato in abitazione vigilata dalla società Sicuritalia) fosse prevedibile, con conseguente legittimo addebito a titolo di colpa.

 

 

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[1] Cfr. Cass. n. 23961/2022.

[2] Per tutte, Cass. n. 12086/2015, secondo cui, in tema di annullamento del contratto di assicurazione per reticenza o dichiarazioni inesatte ex art. 1892 c.c., non è necessario, al fine di integrare l’elemento soggettivo del dolo, che l’assicurato ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti, essendo sufficiente la sua coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente; quanto alla colpa grave, occorre invece che la dichiarazione inesatta o reticente sia frutto di una grave negligenza che presupponga la coscienza dell’inesattezza della dichiarazione o della reticenza in uno con la consapevolezza dell’importanza dell’informazione, inesatta o mancata, rispetto alla conclusione del contratto ed alle sue condizioni.

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