Nota a Trib. Milano, Sez. III, 18 maggio 2023.
Con un provvedimento di scioglimento riserva del maggio scorso, la sezione terza civile del Tribunale di Milano, competente nella materia delle esecuzioni immobiliari, consegna agli interessati un breve, ma incisivo e magistralmente argomentato compendio di diritto sostanziale e processuale al contempo.
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La vicenda fattuale
Il fatto da cui l’ordinanza del G.E. trae origine riguarda un’opposizione all’esecuzione ex art. 615, co. II, c.p.c. promossa da alcuni soggetti (dal provvedimento non è dato comprendere il numero preciso), destinatari di un decreto ingiuntivo (provvisoriamente) esecutivo non opposto secondo i crismi dell’art. 645 c.p.c., nella loro veste di fideiussori della società debitrice principale.
La quaestio iuris sostanziale
Ebbene, si può dire che la specificità della questione sulla quale l’iter decisionale del giudice principalmente si snoda attiene alla mancata qualificazione da parte del giudice del monitorio in ordine alla natura dei debitori esecutati. Trattavasi, infatti, di soggetti fideiussori-consumatori, che non avevano, cioè, sottoscritto le garanzie – nello specifico, in numero di due: una fideiussione specifica ed una cd. omnibus – perché “coinvolti” , in qualche modo, nella governance della società.
Donde la qualità di consumatore: tant’è che, come gli stessi opponenti rilevano e come il giudice dà modo di condividere, deve essere considerata vessatoria ex art. 33 cod. cons. la clausola della fideiussione derogatoria del termine di cui all’art. 1957 c.c. (che attiene, come noto, alla persistenza dell’obbligazione in capo al fideiussore anche se venuta meno l’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi proponga le sue istanze contro il debitore e le continui con diligenza), in quanto clausola che limita in maniera eccessiva le istanze del consumatore. Clausola sulla quale il decreto ingiuntivo rimaneva parimenti silente.
I precipitati processuali
Quanto al risvolto processuale della vicenda, il giudice s’interroga sullo strumento giuridico più idoneo a sollevare le proprie doglianze. In particolare, sulla scorta delle deduzioni di parte opponente, vengono svolte delle riflessioni sulla proponibilità delle questioni sollevate mediante ricorso in opposizione ex art. 615, co. II, c.p.c. – che, appunto, presuppone il formarsi di un titolo esecutivo. Invero, nel caso di specie, era accaduto che gli opponenti non avessero proposto opposizione al decreto ingiuntivo e, dunque, non fosse stata aperta alcuna parentesi di cognizione in ordine alla lite iniziata con la notificazione del provvedimento concludente il rito monitorio (come tale, inaudita altera parte). Parentesi di cognizione che avrebbe certamente sopito ogni dubbio circa l’interpretazione della fideiussione (e, quindi, la natura di professionista o consumatore del garante), come l’ordinamento impone.
Viene, per l’effetto, giocoforza in rilievo la questione circa i poteri di un giudice che non è della cognizione, ma, appunto, dell’esecuzione, deputato, a sua volta, alla coordinazione e allo svolgimento degli atti successivi al titolo formatosi in sede di cognizione ed innanzi a lui portato in executivis, essendogli precluso qualsiasi valido potere decisorio[1]. Più nel dettaglio, come anche l’ordinanza del G.E. in commento contempla, il principio processuale che informa l’ordinamento nazionale da tenere a mente è quello del cd. giudicato implicito, per il quale il G.E. non è abilitato al controllo dell’(eventuale) carattere abusivo delle clausole del contratto il cui inadempimento ha dato luogo al procedimento per D.I. e nel quale il giudice designato, pur essendo nei suoi poteri, non abbia d’ufficio vagliato la questione.
Le influenze unionali sul caso di specie
Orbene, sulla medesima questione il medesimo Tribunale, con ord. di fine ottobre 2019 – richiamata dagli opponenti – ebbe a sollevare rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Con il rinvio de quo veniva chiesto alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità o meno del principio del giudicato implicito sopra spiegato con gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE (modificata, più recentemente, dalla direttiva 2019/2161), emanata negli anni Novanta al fine di proteggere i consumatori dell’U.E. da clausole e condizioni abusive eventualmente presenti in un contratto di adesione per beni e/o servizi, onde evitare qualsiasi significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi reciproci.
Per tutta risposta, che il G.E. meneghino pure riporta, la C.G.U.E. ha chiarito che gli artt. 6 e 7 «ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come “consumatore” ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo».
Il principio risaltato, tale da prevalere anche su quella interno del cd. giudicato implicito, è evidentemente quello dell’effettività della tutela giurisdizionale[2]. È noto, infatti, che, per l’ordinamento europeo, la Corte di giustizia e il giudice “comune” o “naturale” (così come definito dal diritto UE) devono sinergicamente adoperarsi per rendere effettivo l’architettura di tutele e di diritti su cui si fonda l’Unione europea, quale ordinamento sovranazionale peculiare poiché riconosce come soggetti non soltanto gli Stati che la compongono, ma anche i singoli individui[3].
Ed è così, dunque, che la pronuncia della C.G.U.E. ha avuto eco nel giudizio esecutivo di cui all’ordinanza in commento.
Le Sezioni Unite n. 9479/2023
Ma non solo. Altra decisione importante, emanata nelle more del procedimento di opposizione all’esecuzione de qua, è quella del 06/04/2023 (di fatto circa un mese prima dell’ordinanza), n. 9479 delle Sezioni Unite, con la quale la Suprema Corte di cassazione, osservando il suo munus di nomofilachia, ha illustrato la regola di giudizio atta a circoscrivere i poteri/doveri del G.E. circa il rilievo d’ufficio dell’abusività di clausole del contratto posto a fondamento di un decreto ingiuntivo non opposto, richiesto da un professionista (banca) nei confronti di un consumatore (fideiussore).
Nello specifico, tale regula iuris è stata individuata nell’art. 650 c.p.c., che disciplina l’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo. Ad avviso della S.C., dunque, ben potrebbe essere azionata dal consumatore, fermo restando che al G.E. è precluso un giudizio sulla eventuale fondatezza dei motivi di opposizione inerenti il carattere abusivo delle clausole contrattuali su cui si fondi il credito di cui al D.I. non opposto, potendo egli esclusivamente rilevare la possibile natura abusiva di una clausola contrattuale, «ovvero anche della insussistenza dell’abusività e il conseguente avviso al debitore in ordine alla possibilità di proporre opposizione»
Conclusioni
Dunque, pare che il Tribunale di Milano sia stato convinto dagli argomenti portati da parte ricorrente. Infatti, il giudice, dovendo confrontarsi con le recenti SS.UU., si è conseguentemente posto il problema di verificare se il titolo esecutivo costituito dal decreto ingiuntivo non opposto contenga o meno riferimenti sulla qualifica (di consumatore o professionista) dei fideiussori esecutati e, del pari, se il decreto contenga o meno riferimenti sulla presenza o meno di clausole in ipotesi abusive.
Problema, poi, effettivamente risolto mediante l’assegnazione agli esecutati di giorni quaranta per l’introduzione dell’eventuale giudizio di opposizione tardiva, avendo gli stessi proposto opposizione ex art. 615, co. II, c.p.c. ed apparendo dirimente la loro intenzione di avvalersi della eventuale nullità di protezione.
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[1] Sul punto, cfr. Cass. n. 15015 del 2016.
[2] Per scrupolo conoscitivo, si vedano i casi Rewe e Comet del 1976.
[3] A titolo esemplificativo, si pensi allo strumento del Regolamento (par. 288 T.F.U.E.) o della Direttiva cd. self executing, che pongono diritti e obblighi in capo ai singoli senza che vi sia necessità di un atto di recepimento da parte dello stato membro cui i soggetti appartengono.
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