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Nota a Trib. Pescara, 26 aprile 2023, n. 584.

di Fabrizio Cappelluti

Dottore Commercialista

In tema di ius variandi, oltre che riproporre l’evoluzione normativa tempo per tempo succedutasi, l’estensore ha evidenziato come, a decorrere dalle modifiche apportate all’art.118 TUB dal D.L. 04.07.2006 n.223 convertito con modifiche dalla Legge n.248/2006, le comunicazioni riguardanti le modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali dovevano, oltre che essere evidenziate in forma scritta o con altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente con la formula “Proposta di modifica unilaterale del contratto”, essere “di tipo dedicato”, vale a dire espressamente finalizzata ad informare il cliente della modifica contrattuale escludendosi la possibilità che una simile comunicazione potesse essere utilmente inserita all’interno dell’estratto conto periodicamente inviato alla clientela. In sintesi la validità della modifica unilaterale delle condizioni contrattuali era ed è subordinata al rispetto del contenuto minimo prescritto dalla legge e, a prescindere dalla forma di comunicazione prescelta, è onere della banca che intende invocare l’avvenuta modifica delle condizioni contrattuali, di provare di avere assolto l’obbligo di comunicazione previsto dall’art.118 TUB, ossia l’avvenuta spedizione della comunicazione di modifica unilaterale e l’avvenuta ricezione della stessa da parte del cliente.

Riguardo alla validità dell’applicazione dell’anatocismo per i contratti già stipulati alla data del 22.4.2000 di entrata in vigore della Delibera CICR 9.2.2000, il foro pescarese ha ribadito quanto già affermato da almeno nove Cassazioni e cioè l’impossibilità di stabilire se l’introduzione dei nuovi criteri rispetto a quelli precedenti costituisca una situazione peggiorativa o meno per il correntista, ciò comportando l’assoluta necessità, come requisito di validità della clausola anatocistica, la specifica approvazione per iscritto delle nuove condizioni.

In tema di prova dell’esistenza di una apertura di credito, elemento decisivo ai fini dell’individuazione delle rimesse come solutorie o ripristinatorie, necessaria alla verifica della ricorrenza della prescrizione degli addebiti illegittimi annotati dalla banca, il Tribunale si è pronunciato dichiarando la possibilità di dimostrare l’esistenza di un rapporto di conto corrente anche senza il contratto scritto attraverso prove indirette assunte da estratti conto, riassunti scalari, report di Centrale Rischi quali la stabilità, non occasionalità dell’esposizione a debito, l’entità del saldo debitore, l’assenza di tracce sensibili di un rientro del correntista, il mancato avviso di azioni di recupero dell’esposizione debitoria, l’utilizzo negli estratti conto e negli scalari di espressioni quali “scoperto nei limiti del fido” o “APC fiduciaria” o simili, l’applicazione di tassi debitori differenziati legata alla determinazione di interessi passivi entro fido ed extra fido, l’applicazione costante della Commissione di Massimo Scoperto che presuppone la remunerazione di un servizio di messa a disposizione costante di una somma di denaro, tutti elementi che denotano un preventivo accordo tra le parti avente ad oggetto un affidamento, anche in assenza del documento contrattuale.

Riguardo, poi, l’obiezione che, in assenza del contratto scritto, non sarebbe possibile accertare il limite massimo dell’affidamento, l’Organo giudicante, richiamando Cass. 3842/1996 e Cass. 26133/2013, ritiene condivisibile il fatto che la predeterminazione del limite massimo non costituisca elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito in conto corrente, dovendosi ritenere che in presenza di un fido di fatto (desumibile dagli elementi induttivi sopra indicati) ben può tale limite massimo essere individuato nello stesso massimo scoperto “di fatto” consentito dalla banca prima dell’adozione da parte di quest’ultima di qualsivoglia iniziativa di rientro, gravando sulla banca l’onere di provare l’esistenza, nelle forme di legge, di un fido di diverso ammontare predeterminato.

Dichiarata la nullità della capitalizzazione trimestrale, della commissione di massimo scoperto, degli interessi di fatto e delle ulteriori spese applicate dalla Banca, Il Tribunale ha condannato la banca alla restituzione degli importi indebitamente percepiti e alla refusione in favore dell’attrice delle spese di lite.

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