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Nota a Trib. Trani, 1 marzo 2023.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

Il nodo gordiano dell’odierna vicenda processuale attiene alla questione inerente alla sorte dei diritti e delle pretese non ancora azionate nel caso di estinzione di una società a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, questione che è stata affrontata anche in alcuni pronunciamenti del massimo consesso della giurisprudenza di legittimità. In particolare, nel 2010, con riferimento alla cancellazione di una società di persone, la Corte Suprema di Cassazione ha chiarito che la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, sia determinativa del venir meno della loro capacità e soggettività, in maniera non dissimile dalle società di capitali. Segnatamente, in caso di cancellazione in presenza di diritti litigiosi, ha affermato che «in caso di cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, i singoli soci non sono legittimati all’esercizio di azioni giudiziarie la cui titolarità sarebbe spettata alla società prima della cancellazione ma che essa ha scelto di non esperire, sciogliendosi e facendosi cancellare dal registro, atteso che, in tal modo, la società ha posto in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a quelle azioni, facendo così venir meno l’oggetto stesso di una trasmissione successoria al soci»[1].

Successivamente, con le sentenze gemelle del 2013, ritenendo pacifico che la cancellazione ha effetto estintivo, le Sezioni Unite si sono soffermate sulla sorte dei rapporti, sostanziali e processuali, di cui fosse parte la società al momento della cancellazione e hanno ricondotto la vicenda estintiva a un fenomeno di tipo successorio, con conseguente subentro dei soci nelle posizioni attive e passive della società, con applicabilità, dal punto di vista processuale, del meccanismo interruzione/riassunzione, e con esclusione, anche nel caso di sopravvenienze attive, della cancellazione d’ufficio della società, se non in caso di svolgimento dinamico di attività d’impresa da parte della società, pur cancellata. In particolare[2], occupandosi della sorte dei residui attivi non liquidati e delle sopravvenienze attive della liquidazione di una società cancellata dal registro, la Suprema Corte ha affermato che «E’ ben possibile che la stessa scelta della società di cancellarsi dal registro senza tener conto di una pendenza non ancora definita, ma della quale il liquidatore aveva (o si può ragionevolmente presumere che avesse) contezza sia da intendere come una tacita manifestazione di volontà di rinunciare alla relativa pretesa (si veda, ad esempio, la fattispecie pagina 5 di 8 esaminata da Cass. 16 luglio 2010, n. 16758); ma ciò può postularsi agevolmente quando si tratti, appunto, di mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, cui ancora non corrisponda la possibilità d’individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito, onde un tal diritto o un tal bene non avrebbero neppure perciò potuto ragionevolmente essere iscritti nell’attivo del bilancio finale di liquidazione. Ad analoghe conclusioni può logicamente pervenirsi nel caso in cui un diritto di credito, oltre che magari controverso, non sia neppure liquido: di modo che solo un’attività ulteriore da parte del liquidatore – per lo più consistente nell’esercizio o nella coltivazione di un’apposita azione giudiziaria – avrebbe potuto condurre a renderlo liquido, in vista del riparto tra i soci dopo il soddisfacimento dei debiti sociali. In una simile situazione la scelta del liquidatore di procedere senz’altro alla cancellazione della società dal registro, senza prima svolgere alcuna attività volta a far accertare il credito o farlo liquidare, può ragionevolmente essere interpretata come un’univoca manifestazione di volontà di rinunciare a quel credito (incerto o comunque illiquido) privilegiando una più rapida conclusione del procedimento estintivo.». Successivamente, è stato ribadito che dal fenomeno successorio derivante dall’estinzione di una società (conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso) esulano le mere pretese, benché azionate in giudizio, e i diritti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell’accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente, quindi, di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato con conseguente cessazione della materia del contendere[3].

Applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie de qua, può affermarsi che il fenomeno successorio non può dirsi verificato, avendo la domanda proposta nell’odierno giudizio diritti ancora incerti o illiquidi, sicchè è da ritenersi che la società al momento della liquidazione ed estinzione abbia pagina implicitamente rinunciato a detti diritti poi fatti valere in giudizio dall’ex socio. Nel caso di specie, il preteso credito reclamato discendeva dalla verifica della validità delle clausole del contratto di conto corrente: ipotetica invalidità che, al momento dello scioglimento, la società bene avrebbe potuto far valere, e invece non ha inteso azionare, così tacitamente ma inequivocamente rinunciandovi. In altri termini, il presunto credito restitutorio, sorto originariamente in capo alla società, risultava controverso e necessitante di accertamento e di liquidazione nel momento in cui la società, nel settembre 2016, decise di farsi cancellare dal registro delle imprese. In base ai principi dianzi enunciati, è agevole trarre la conseguenza che tale scelta ha implicato la tacita rinuncia della società al credito in questione, perché si manifesta incompatibile con la volontà di pervenire al concreto accertamento ed alla liquidazione del credito stesso. Tale conclusione è corroborata dalla circostanza che, al momento della cancellazione della Società dal registro delle imprese, era già stata pronunciata l’ordinanza ex art. 186quater c.p.c. dal Tribunale di Trani di condanna dell’istituto Bancario convenuto alla ripetizione delle somme indebitamente riscosse, sicchè l’odierno attore (liquidatore della società) ben avrebbe potuto agire a tutela dell’ulteriore credito maturato. La decisione di estinguere la Società senza riportare neppure in bilancio le suddette poste attive 8 anche solo potenziali) è espressione della volontà di rinunciare alle stesse.

 

 

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[1] In tal senso, Cass. Civ., Sez. Un., 22.02.2010, nn. 4060, 4061 e 4062.

[2] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un., n. 6072/2013.

[3] In fattispecie del tutto analoga a quella in esame si veda, Cass., 15.11.2016 n. 23269; Cass., 24.12.2015, n. 25974; Cass. 10.06.2014, n. 13017; Cass., 19.07.2018, n. 19302.

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