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Nota a Trib. Forlì, 25 gennaio 2023, n. 59.

di Benedetta Tommasi

Tirocinante presso la Sezione Commerciale del Tribunale Civile di Lecce

La recente sentenza n. 59 del 25 gennaio 2023 resa dal Tribunale di Forlì, compie una valutazione di diritto e, una acribiosa analisi sostanziale, riguardo la corretta modalità di esperimento del tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, comma 4, d.lgs. 28/2010.

La controversia sottoposta all’attenzione del Tribunale riguarda un’opposizione a decreto ingiuntivo, nell’ambito di contratti bancari, in particolare trattasi di contratto di mutuo e, pertanto, la domanda giudiziale è necessariamente sottoposta alla condizione di procedibilità predetta -esperimento del tentativo di mediazione – ai fini della prosecuzione del giudizio in corso, in conformità con quanto statuito all’art. 5, comma 4, D.lgs. 28/2010, riformato con D.l. 69/2013.

La pronuncia, oggi oggetto della nota di commento, in discontinuità con la giurisprudenza di legittimità sul punto, in linea con un’interpretazione estensiva della normativa, chiarisce le fasi introduttive del procedimento di mediazione in particolare evidenziando come, alla luce di quanto statuito dalla normativa, segnatamente in riferimento all’art. 8, comma 1, e all’art. 5, comma 4, del d.lgs. 28/2010 (riformato con d.l. 69/2013), ai fini dell’avveramento della condizione di procedibilità, debbano essere presenti i presupposti essenziali affinché si realizzi “un procedimento validamente instaurato”, scindendo il momento tecnicamente «informativo» da quello di interlocuzione “effettiva tra le parti”[1].

Il Tribunale adito ravvisa come il tentativo di mediazione non si esaurisce, sic et sempliciter nell’esclusivo incontro «filtro», ovverosia nella fase in cui il ruolo e l’attività svolta dal mediatore assumono un carattere tecnicamente preparatorio ed informativo, ove si chiarisce “la funzione e la modalità di svolgimento della mediazione” ex art. 8, comma 1, d.lgs. 28/2010; poiché è la norma medesima che, sul punto, ribadisce che “sempre nello stesso primo incontro, invita (…) ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”. Il “primo incontro” si configura come una fase integrativa e successiva a quella preparatoria, la quale invece, rappresenta una sorta di verifica preliminare della corretta instaurazione del procedimento di mediazione[2].

Sul punto, la Suprema Corte avalla un’interpretazione fermamente più restrittiva dell’art. 8 d.lgs. 28/2010. La Cassazione ha definito e, conseguentemente ridotto, la portata della condizione di procedibilità in termini più esigui, ipotizzando che l’esistenza di un obbligo in positivo di mediare porrebbe una limitazione eccessiva al diritto di agire in giudizio, infatti, sul punto la Corte asserisce che “l’onere (…) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l’avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del quale, ricevute le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento  (…) può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione” [3]. 

Diversamente argomentando, invece, il Tribunale adito ha ribadito che il superamento del c.d. incontro “filtro” è inidoneo e, quindi insufficiente a ritenere assolto l’onere di attivazione della procedura. Nel caso de quo, avendo le parti opposto il proprio rifiuto ad intraprendere il tentativo di mediazione al primo incontro, asserendo testualmente che “non sussistono i presupposti per una definizione bonaria della vertenza”, secondo quanto deciso dal Tribunale, hanno assunto una condotta compatibile con il rifiuto ostativo all’avveramento della condizione di procedibilità della controversia in oggetto. Nell’alveo del Tribunale forlivese, in piena conformità con la tesi “sostanzialistica” dell’istituto della mediazione, si è rilevato come l’eventuale rifiuto della mediazione debba configurarsi in riferimento non solo al merito, bensì in relazione ai dettagli del caso in concreto, in termini di logicità, a dispetto di quanto avvenuto nel caso in esame[4].

È stato poi precisato che, tale orientamento risulta essere conforme alle linee guida prospettate dalla recente Riforma del processo civile, attuata con il d.lgs. n. 149/2022, volta ad integrare la disciplina di riferimento, con l’aggiunta del 6 comma, all’art. 8 del d.lgs. 28/2010, ove delimita le condotte assunte dalle parti e dai rispettivi avvocati, statuendo che: “cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse”.

L’indirizzo promosso dal Tribunale di Forlì è volto, alla luce di un’interpretazione legislativa più estensiva, a rilevare la reale volontà del legislatore, sottendendo ogni tentativo di svilimento della ratio dell’istituto della mediazione. L’approccio c.d. “sostanzialistico” sostiene la tesi secondo cui la mediazione, atteso che la dottrina ancora vacilla a conferirle una determinata nozione giuridica, sul piano concreto, si configura come un procedimento, ovverosia un percorso, intrapreso dalle parti, ove sono recepite le reciproche esigenze e ove si determina un reale confronto al fine di risolvere in concreto, la questione oggetto di una probabile lite giudiziaria. 

La pronuncia in esame delinea in maniera evidente le potenzialità sottese all’istituto della mediazione sotto il profilo sostanziale, esulando le rigidità formali che la relegano come un “inutile orpello processuale”, bensì precisando che “il principale significato della mediazione è proprio il riconoscimento della capacità delle persone di diventare autrici del percorso di soluzione dei conflitti che le attra­ver­sano e la restituzione della parola alle parti per una nuova centratura della giustizia”[5].

 

 

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[1] Conformi: Trib. di Firenze, 26/11/2014, Trib. di Firenze 08/05/2019.

[2] Conformi: Trib. di Forlì, sent. n. 130/2021, Trib. di Forlì, sent. n. 2318/2021.

[3] Il riferimento è a Cass. sez. III., 27/03/2019, sent. n. 8473.

[4] Il riferimento è a Trib. di Treviso 31/08/2020.

[5] Il riferimento è a Trib. di Firenze, 26/11/2014.

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