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Nota a Trib. Roma, Sez. XVII, 24 giugno 2022, n. 10206.

Segnalazione a cura dell'Avv. Daniele Fantini

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

Necessitato punto di partenza è la sentenza delle Sezioni Unite, n. 41994/2021, nella quale è stato statuito che «in tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 della I. n. 287 del 1990, e con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento della Banca d’Italia di accertamento dell’infrazione, adottato prima delle modifiche apportate dall’art. 19, comma 11, della I. n. 262 del 2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano – eventualmente – in esso pronunciate. Il giudice del merito è. quindi. tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento, con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario (Cass., 22/05/2019, n. 13846)».

In ordine agli effetti di detta intesa illecita sui cc.dd. contratti “a valle” le suddette Sezioni Unite hanno pronunciato il seguente principio di diritto: i contratti di fideiussione a valle di intesa dichiarata parzialmente nulla dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2 lett.a), l.287/90 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt.2, co.3, l. 287/90 e dell’art.1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. La Suprema Corte osserva, in particolare, che detta nullità discende dal collegamento funzionale (e non negoziale) inscindibile che vi è tra l’intesa illecita “a monte” e l’atto conseguenziale “a valle”, essendo quest’ultimo lo strumento che conclude il percorso illecito iniziato con l’intesa restrittiva finalizzata a far effettuare solo una scelta apparente del prodotto offerto dal mercato. Avvalora tale assunto evidenziando l’inidoneità della sola tutela risarcitoria, disgiunta alla tutela reale, a garantire la finalità della normativa antitrust nonché rilevando come «il legislatore nazionale ed europeo… intendendo sanzionare con la nullità un «risultato economico», ossia il fatto stesso della distorsione della concorrenza, ha dato rilievo -anche a comportamenti «non contrattuali» o «non negoziali». In tale prospettiva, si rende perciò rilevante qualsiasi forma di condotta di mercato, anche realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale, ed anche laddove il meccanismo di «intesa» rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente «unilaterali». Da ciò consegue – come ha rilevato da tempo la giurisprudenza di questa Corte – che, allorché l’articolo 2 della legge n. 287 del 1990 stabilisce la nullità’ delle «intese», «non ha inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza» (Cass., n. 827/1999).». La funzionalità in parola si riscontra con evidenza quando il contratto “a valle” (nella specie, una fideiussione) è interamente riproduttivo dell’«intesa» “a monte”, dichiarata nulla dall’autorità amministrativa di vigilanza e conseguentemente; in tal modo l’atto negoziale è di per sé stesso un mezzo per violare la normativa antitrust.

Ciò posto, la circostanza che, nel caso di specie, la fideiussione non fosse omnibus, ma specifica, in quanto riferita ad una determinata obbligazione contrattuale, non esclude la violazione della normativa antitrust, dovendosi dare prevalenza al fatto che la concreta riproduzione negli atti di fideiussione in parola delle menzionate deroghe all’archetipo codicistico, concretizzi quel comportamento ritenuto violativo della normativa antitrust consistente della riproduzione di dette disposizioni integralmente coincidenti con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva.

Nel caso di specie, poi, non emerge una volontà negoziale dei contraenti di ritenere essenziali, per la stipula della garanzia, le clausole da ritenersi nulle, in quanto: a) l’esclusione di dette clausole alleggerisce la posizione del garante, in quanto impongono ad esso solo maggiori obblighi senza riconoscergli corrispondenti diritti; b) l’istituto di credito era interessato ad acquisire, comunque, la fideiussione per avere una maggiore garanzia patrimoniale in relazione agli affidamenti e finanziamenti già concessi o da concedere alla società garantita; c) non emergono elementi specifici da cui dedurre la volontà delle parti contraenti di ritenere l’essenzialità delle clausole in discussione. 

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