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Nota a Cass. Civ., Sez. V, 24 gennaio 2023, n. 2193.

Massima redazionale

In via preliminare, il Collegio rileva che l’art. 16sexies D.L. n. 179/2012, convertito dalla l. n. 221/2012, prevede testualmente: «Salvo quanto previsto dall’articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia». Tale disposizione normativa, nell’ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c. per il giudizio di cassazione), impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INI PEC, di cui all’art. 6bis D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il Re.G.Ind.E, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo p.e.c., per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.

La prescrizione dell’art. 16sexies D.L. n. 179/2012 prescinde dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica a opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l’indirizzo p.e.c. del difensore, stante l’obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell’ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel Re.G.Ind.E. La norma de qua, dunque, depotenzia la portata dell’elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia non consente, pertanto, la notificazione dell’atto in cancelleria, ma la impone pur sempre e necessariamente alla p.e.c. del difensore domiciliatario, salvo l’impossibilità per causa al medesimo imputabile, e, al contempo, attenua l’efficacia prescrittiva l’art. 82, R.D. n. 37/1934, che, stante l’obbligo di notificazione tramite p.e.c. presso gli elenchi/registri normativamente indicati, può assumere rilievo unicamente in caso di mancata notificazione via p.e.c. per causa imputabile al destinatario della stessa, quale localizzazione dell’ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria[1].

Ciò posto, una recente giurisprudenza di legittimità equipara tale situazione all’avvenuta consegna della pec. Infatti «La notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi»[2]. Tale decisione basa la propria ratio sull’art. 149-bis, terzo comma, cod. proc. civ., in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario, secondo cui «La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.». La norma andrebbe letta alla luce del D.M. n. 179/2012. Va ricordato che il disposto dell’art. 20, comma 5, del D.M. n. 44/2011, in base al quale «Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.».

Sarebbe, dunque, onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di pec, finalizzato ad assicurare che gli effetti giuridici connessi alla notifica di atti tramite quel mezzo sia effettivo. In proposito, dunque, per tale orientamento, rileva l’espressione “rendere disponibile” figurante nel citato disposto codicistico, che individua un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario[3]. Si giustificherebbe così che «qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante può procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato»[4].

Nello stesso senso andrebbe letto il riferimento all’art. 138, comma 2, c.p.c., il quale considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente ad una notificazione di tale genere. Il lasciare la casella di PEC satura equivale a un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite la stessa.

Va, pur tuttavia, segnalato un diverso indirizzo[5], in base al quale, se la notificazione telematica non vada a buon fine per una ragione non imputabile al notificante (essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi)[6], il notificante stesso deve ritenersi abbia il “più composito onere”, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domicilio (fisico) eletto, in un tempo adeguatamente contenuto[7].

Tale orientamento si fonda sul principio per cui dev’esser escluso che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati[8], e solo così potranno conservarsi gli effetti della originaria notifica. A tale stregua, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella p.e.c., pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente (nei termini dimezzati che si sono indicati nella pronuncia a Sezioni Unite sopra ripotata) al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e seguenti, cod. proc. civ., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 16, comma 6, ultima parte, del D.L. n. 179/2012, prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC)[9].

L’onere, incombente sul notificante pur a fronte del comportamento obiettivamente negligente del destinatario, appare ragionevole a fronte della persistente domiciliazione fisica (ovviamente se presente), con gli effetti (in caso di notifica del ricorso in cassazione e in generale di impugnazione) di cui all’art. 330 c.p.c., e del fatto che lo stesso notificante può subito controllare l’esito della mancata consegna, tramite appunto il messaggio di rifiuto.

In definitiva «se si può ritenere che l’elezione di domicilio fisico non impedisca l’utilizzo di quello telematico sopra richiamato, ciò non può viceversa imporre al difensore destinatario della notifica, in assenza di norme esplicite, gli stessi oneri che sono a lui richiedibili quando non possa aver fatto affidamento sulla suddetta legittima elezione e, anzi, abbia dato speculare valore al luogo elettronico di ricezione appositamente eletto; e, parimenti, l’onere del notificante si articola diversamente, dovendo tenersi congruo conto della specifica elezione di domicilio fisica; pertanto, la notifica telematica al domicilio digitale sarà valida nell’ipotesi di avvenuta consegna, mentre, qualora vi sia una differente e specifica elezione di diverso domicilio (nell’odierna fattispecie, fisico), nell’eventualità di casella telematica piena (presso il domicilio digitale più sopra ricordato) per insufficiente gestione dello spazio da parte del destinatario della notifica, il notificante dovrà, per tempo, riprendere il procedimento notificatorio presso il domicilio eletto, e ciò a valere solo nel caso specificato, altrimenti non potendo sussistere alcun altro affidamento, da parte del notificatario, se non alla propria costante gestione della casella di posta elettronica, e nessun’altra appendice alla condotta esigibile dal notificante»[10].

 

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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 11.07.2017, n. 17048; Cass. Civ., Sez. III, 08.06.2018, n. 14914; Cass. Civ., Sez. VI, 23.05.2019, n. 14140; Cass. Civ., Sez. Lav., 20.05.2019, n. 13532; Cass. Civ., Sez. III, 29.01.2020, n. 1982; Cass. Civ., Sez. VI, 11.02.2020, n. 3164; Cass. Civ., Sez. I, 03.02.2021, n. 2460.

[2] V. Cass. 11.02.2020, n. 3164.

[3] V. Cass. n. 3164/2020.

[4] V. Cass. n. 3164/2020.

[5] V. Cass. 20.12.2021, n. 40758.

[6] Cfr. Cass. 20.05.2019, n. 13532; Cass. 21.03.2018, n. 8029.

[7] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 15.07.2016, n. 14594, secondo cui «In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa»; Cass. 19.07.2017, n. 17864; Cass. 31.07.2017, n. 19059; Cass. 11.05.2018, n. 11485; Cass. 09.08.2018, n. 20700.

[8] Cfr. Cass. 11.02.2021, n. 3557.

[9] Cfr. Cass. 18.11.2019, n. 29851.

[10] Cfr. Cass. n. 40758/2021.

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