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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 13 dicembre 2021, n. 39765.

di Viviana Visaggio

Avvocato e Dottore di ricerca in diritto privato

La Cassazione Sez. I Civ. 13 dicembre 2021, con ordinanza n. 39765 sulla distinzione tra marchio forte e marchio debole e sui caratteri distintivi di quest’ultimo,  afferma che “Il marchio deve possedere capacità distintiva, normalmente garantita attraverso un distacco concettuale, più o meno accentuato, fra il segno e il bene (prodotto o servizio) a cui si riferisce, secondo una ideale curva progressiva del parametro della capricciosità e dell’arbitrarietà del collegamento, che va dalla generica denominazione del prodotto o servizio stesso (che possiede un tasso di distintività pari a zero), sino all’assenza assoluta di collegamento logico (distintività massima), attraverso gradini intermedi che declinano in via decrescente l’intensità del collegamento logico fra segno, da una parte, e prodotto o servizio, dall’altra. Se il collegamento logico è intenso, si parla di marchio debole, se il collegamento logico si fa sempre più evanescente, si parla di marchio sempre più forte. La ratio evidentemente sottesa a tale principio vuol impedire che attraverso la privativa sul segno si venga a precostituire un monopolio sullo stesso prodotto o servizio contraddistinto. Inoltre il grado di tutela accordata al marchio muta, in termini di intensità, a seconda della sua qualificazione di esso quale marchio “forte” (e cioè costituito da elementi frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti e, quindi, senza capacità descrittiva rispetto alla tipologia di prodotto contrassegnata) o “debole” (ossia costituito da un elemento avente una evidente aderenza concettuale rispetto al prodotto contraddistinto). La distinzione fra i due tipi di marchio, debole e forte, si riverbera poi sulla loro tutela di fronte alle varianti: nel senso che, per il marchio debole, anche lievi modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escludere la confondibilità, mentre, al contrario, per il marchio forte devono ritenersi illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandolo in modo individualizzant”

Il rischio di associazione fra i due segni ricorre quando il pubblico possa essere indotto in errore circa la provenienza dei prodotti dalla stessa impresa, o anche (cfr. al riguardo Cass. 21 dicembre 2007, n. 27081) circa la sussistenza di un particolare legame commerciale o di gruppo tra l’impresa terza e il titolare del marchio, ovvero possa essere indotto a credere che i due prodotti provengano da imprese distinte tra le quali intercorrano rapporti di licenza o di autorizzazione all’uso del marchio stesso. Va tuttavia precisato, in conformità dell’insegnamento della Corte di giustizia, che il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate, costituisce espressione del rischio di confusione.

In conseguenza, la Corte ha avuto modo di rilevare che l’art. 5, n. 1, lettera b), della dir. n. 89/104/CE non consente di presumere l’esistenza di un rischio di confusione per il solo fatto dell’esistenza di un rischio di associazione in senso stretto, essendo necessario l’accertamento positivo dell’esistenza di un rischio di confusione, il quale costituisce l’oggetto della prova da far valere (Cass. 28 ottobre 2005, n. 21086).

La Cassazione pertanto ha escluso il rischio di confusione e respinto il ricorso.

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