Nota a Cass. Civ., Sez. III, 12 dicembre 2022, n. 36183.
Nella controversia presa in esame, le Ricorrenti hanno proposto quattro motivi di ricorso, ritenuti tutti inammissibili e/o infondati dal giudice di legittimità.
Venendo all’esame delle ragioni che hanno condotto al rigetto del ricorso, le Ricorrenti, con il primo motivo, hanno denunciato al giudice la «nullità totale della fideiussione conforme allo schema ABI».
Prima di verificare la fondatezza della questione, la Corte ha preliminarmente precisato che, conformemente a quanto stabilito in altre pronunce[1], la valutazione della eccezione di nullità del contratto in sede di legittimità presuppone che in sede di giudizio di merito siano stati accertati i relativi presupposti di fatto. La nullità, infatti, può essere bensì sollevata in ogni stato e grado del giudizio, ma solo laddove siano acquisiti agli atti del giudizio tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza. Tale principio va coordinato con l’indirizzo, ormai consolidato[2], secondo il quale le questioni esaminabili d’ufficio, che abbiano formato oggetto di una specifica domanda o eccezione, non sono più proponibili nei successivi gradi di giudizio, qualora la decisione o l’omessa decisione di tali questioni da parte del giudice non abbia formato oggetto di specifica impugnazione, dal momento che vi è il formarsi di un giudicato interno che il giudice dei gradi successivi deve in ogni caso rilevare.
Il percorso logico argomentativo condotto dal giudice di legittimità, attraverso il richiamo al già noto arresto delle Sezioni Unite del 2014, ha chiarito che la preclusione al rilievo in Cassazione della nullità contrattuale – come qualsiasi altra eccezione rilevabile d’ufficio – si determina solo ove in appello sia stata formulata la relativa domanda o eccezione e la corte di merito non si sia pronunciata, dal momento che, in tal caso, sull’omessa pronuncia, ove non espressamente denunciata come tale, si determina un giudicato processuale preclusivo della riproposizione della questione in Cassazione.
Ciò premesso, nel caso di specie, la Corte ha precisato che il comportamento delle parti, consistente nell’omessa riproduzione in giudizio delle clausole ritenute nulle, ha impedito alla medesima di compiere le necessarie verifiche circa l’eventuale formarsi delle suddette preclusioni.
Ad ogni modo, secondo la Corte, la censura è da ritenersi infondata, dal momento che le fideiussioni omnibus conformi allo «schema ABI vietato» comportano solo la nullità parziale delle clausole contrarie agli articoli 2, comma 2, lett. a) della Legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e non la nullità totale delle stesse.
La nullità parziale, come già chiarito dalle Sezioni Unite[3], esprime il generale favore dell’ordinamento per la «conservazione», in quanto possibile, degli atti di autonomia negoziale, benché difformi dallo schema legale. L’estensione della nullità che colpisce la parte o le clausole all’intero contratto ha natura eccezionale ed è subordinata alla dimostrazione, a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l’assetto di interessi programmato, dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, restando preclusa al giudice la rilevazione d’ufficio dell’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto.
Nel caso de quo, la Corte ha rilevato che le Ricorrenti non hanno assolto al predetto onere probatorio, in quanto le medesime hanno avuto riguardo al ben diverso obiettivo dell’accertamento officioso (allo stato dei fatti non consentito) della nullità totale dei contratti.
Con il secondo motivo, le Ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., nella misura in cui hanno rilevato che la banca ha omesso di allegare la documentazione comprovante il reale saldo dei rapporti di conto.
Il giudice di legittimità, in proposito, ha osservato che le Parti ricorrenti, nella censura avanzata, non hanno individuato il presupposto indefettibile del mezzo di impugnazione, vale a dire la motivazione o la parte del provvedimento impugnato a cui esse hanno inteso riferirsi.
Il motivo di impugnazione, ha precisato la Corte, è rappresentato dall’enunciazione delle ragioni per le quali, secondo chi ha esercitato l’azione, la decisione è erronea, con la conseguenza che siccome per denunciare un errore occorre identificarlo, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo solo quando i motivi con i quali è esplicato si concretino nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata. Pertanto, il motivo che non rispetti tale requisito è nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione, tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità[4].
Nella vicenda esaminata, secondo la Corte, il motivo è manifestamente inammissibile, sia perché prospetta un tema di lite sul quale deve ritenersi formato un giudicato interno, sia perché risulta «eccentrico» rispetto alla ratio decidendi posta a fondamento della sentenza d’appello (la quale si è occupata di una questione diversa rispetto a quella relativa alla completezza della documentazione contrabile già esaminata in primo grado).
In conclusione, con il terzo motivo e il quarto motivo, le Ricorrenti hanno lamentato la mancata produzione, da parte della banca, degli estratti conto integrali inerenti al rapporto di conto corrente e l’omessa valutazione, da parte del giudice di appello, dell’incompleta documentazione prodotta dalla medesima.
Tali profili sono stati censurati dal giudice di legittimità per le stesse considerazioni sopra riportate.
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[1] Cfr., Cass., n. 34799 del 17.11.2021; Cass., n. 26530 del 30.09.2021.
[2] Cfr., Cass., SS.UU., n. 26242 e n. 26243 del 12.12.2014.
[3] Cfr., Cass., SS.UU., n. 41994 del 2021.
[4] Ex plurimis, Cass., n. 9951 del 15.04.2021.
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