Nota a Corte Cost., 7 novembre 2022, n. 225.
Massima redazionale
Dinanzi al Tribunale di Firenze era stato introdotto un giudizio nei confronti di Intesa Sanpaolo spa , quale cessionaria di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa (in liquidazione coatta amministrativa) per sentir dichiarare l’invalidità o l’inefficacia delle operazioni di acquisto di azioni emesse da Banca Popolare di Vicenza spa, per violazione degli obblighi informativi e per la mancata verifica di adeguatezza delle operazioni, nonché per sentirla condannare al risarcimento dei danni. Il Tribunale ha sollevato molteplici questioni di legittimità costituzionale (evocando una serie di parametri) dell’intero testo del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99 (Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2017, n. 121, nonché dei suoi artt. 2, commi 1, lettera c), e 2; 3, commi 1, lettere a), b) e c), 2, 3 e 4; 4, commi 1, lettere b) e d), 3, 4 e 5; e 6, nella parte in cui non prevede la possibilità di ristoro anche per gli azionisti.
La normativa era sospettata della violazione degli artt. 2, 3, 23, 24, 41, 42, 45 e 47 della Costituzione, nonché all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed infine dell’art. 111, primo comma, Cost. e all’art. 47 CDFUE.
Il giudice a quo ravvisa un’arbitraria assimilazione tra i creditori di cui alle lettere a) e b) del censurato art. 3, comma 1, evidenziando come i creditori di cui alla lettera b) avessero investito in azioni e obbligazioni subordinate sulla base di informazioni non corrette ricevute dalle rispettive banche o della subordinazione della concessione di mutui al loro acquisto. Sarebbe stata quindi violata la parità di trattamento tra i creditori, restando sacrificati quelli individuati dalle norme censurate, mentre sarebbero assimilati i creditori di cui alle lettere a) e b) del censurato art. 3, comma 1, «pur essendo radicalmente diversa la situazione di chi ha effettuato un investimento con la consapevolezza di assumere determinati rischi e quella invece di chi vanta un credito nascente dalla illegittimità nella specie del comportamento della Banca».
Sempre a parere del remittente sarebbe stata violata la normativa europea sugli aiuti di Stato» e vi sarebbe stato eccesso di potere legislativo, perché i risparmi degli azionisti e dei creditori subordinati delle due Banche sarebbero rimasti nelle liquidazioni non per assorbire le perdite nella massima misura necessaria, ma allo scopo di trasferirli alla cessionaria Intesa Sanpaolo spa sotto la voce fittizia di «aiuti di Stato». Il sostanziale azzeramento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate, per effetto del trasferimento a Intesa Sanpaolo spa, avrebbe quindi concretato una espropriazione, senza indennizzo, a favore di un soggetto privato per l’esclusivo interesse dello stesso, non prevedendo l’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, alcuna possibilità di ristoro per gli azionisti. Infatti l’aiuto di Stato sarebbe stato realizzato mediante l’annullamento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate delle due Banche, atteso che il costo della crisi aziendale è stato fatto ricadere in primo luogo sugli azionisti e sui detentori di obbligazioni subordinate delle due Banche, i cui diritti sono stati mantenuti nella liquidazione e potranno essere soddisfatti solo nell’eventualità in cui lo Stato recuperi integralmente quanto versato a supporto dell’intervento e siano stati soddisfatti gli altri creditori.
La sentenza ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni, per ragioni che vanno dal difetto di prospettazione delle stesse, alla discrezionalità legislativa circa le soluzioni possibili (come sintetizzato qui di seguito), ma è importante rilevare come la Corte abbia tenuto ad evidenziare la dimensione della “vicenda che ha avuto anche risvolti drammatici per una moltitudine di risparmiatori. Dal preambolo del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, si evince, del resto, che l’intervento normativo ha avuto riguardo alle gravi ripercussioni di rilievo sociale ed economico per persone, famiglie e imprese, derivanti dalla sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza spa e Veneto Banca spa, ravvisate in termini di perdite per i creditori non professionali chirografari e di cessazione dei rapporti di affidamento creditizio.”
Nella ricostruzione della vicenda stessa, la Corte rileva che il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, ha rimesso alle parti delle convenzioni di cessione di determinare le attività e passività cedute, ponendo un divieto di trasferimento di alcune poste. “Nella specie, quale conseguenza del limite inderogabile imposto all’autonomia negoziale delle parti degli accordi di trasferimento, il perimetro della cessione ha lasciato fuori sia i debiti delle banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle banche, sia i debiti correlati alle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, nonché, in generale, le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività”. Tuttavia la scelta di non trasferire i crediti degli azionisti e dei creditori subordinati nel patrimonio del cessionario dell’azienda bancaria in dissesto avrebbe dovuto essere verificata alla luce delle regole europee che chiamano gli Stati membri dell’Unione, nella risoluzione delle crisi del settore creditizio, ad assicurare il funzionamento della vigilanza prudenziale e la stabilità finanziaria. Oltre all’incompleta ricostruzione del quadro normativo, la sentenza stigmatizza la lacunosa e contraddittoria prospettazione del rimettente quanto al tipo di intervento richiesto onde porre rimedio alla dedotta illegittimità costituzionale, non desumendosi in maniera univoca, né dal dispositivo, né dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione, se il giudice a quo invocasse una generale ablazione di tutti i casi esclusi dalla cessione, o, piuttosto, un intervento manipolativo-additivo che estenda la responsabilità della cessionaria rispetto alle pretese risarcitorie o restitutorie degli acquirenti di azioni emesse dalle due Banche venete. Ed in effetti l’ordinanza di rimessione…” omette del tutto di motivare sul nesso di condizionamento e sulle implicazioni che, dall’accoglimento delle questioni sollevate, deriverebbero sul rapporto contrattuale, che costituisce l’effettiva fonte regolatoria presupposta del rapporto dedotto nel giudizio principale.” E non ha comunque considerato, …..che l’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, non è, di per sé, rivolto a regolare direttamente tali rapporti, perché rimetteva ai commissari liquidatori e al cessionario individuato di determinare l’oggetto della cessione, e cioè se si dovesse trasferire l’azienda, suoi singoli rami, ovvero beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, oppure attività e passività, anche parziali o per quote, ponendo però ai contraenti un limite oggettivo e inderogabile, in forza del quale dovevano restare «in ogni caso esclusi» dal trasferimento le passività e i debiti elencati nelle lettere a), b) e c).”
E la dimostrazione di quanto sopra è data proprio dal giudizio a quo, dove “la individuazione della legittimazione passiva in capo alla convenuta Intesa Sanpaolo spa, o, meglio, della riferibilità ad essa della titolarità sostanziale della posizione giuridica cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio, non discende, quindi, dalla necessaria e immediata applicazione delle norme di legge su cui cadono i dubbi di legittimità costituzionale, quanto dall’ambito oggettivo del programma obbligatorio regolato dalle parti del contratto di cessione.”
Infine “ Per il fatto…..di non confrontarsi con l’intreccio intercorrente fra le norme censurate e il contratto di cessione, nulla argomentando sulla possibile ricaduta, che, in ipotesi, dovrebbe avere la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata sull’atto negoziale, il rimettente offre una «prospettazione non adeguata delle conseguenze applicative derivanti da un eventuale accoglimento della questione sollevata» (ordinanza n. 280 del 2020), che si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza tale da inficiare, anche da questa ulteriore prospettiva, l’ammissibilità delle questioni.”
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