Nota a Trib. Lecce, 4 aprile 2022.
Segnalazione a cura dell'Avv. Antonio Tanza
Con la sentenza in oggetto, il Tribunale di Lecce è tornato a pronunciarsi su alcuni temi particolarmente dibattuti nelle aule di giustizia, riguardanti i rapporti bancari di conto corrente.
Nel caso di specie, l’attore assumeva di aver intrattenuto con l’Istituto di Credito un rapporto bancario di conto corrente con affidamento tra il 1987 e il 2015. Secondo parte attrice, il rapporto avrebbe avuto inizio verbalmente dal 1961, mentre la prima “traccia scritta” del contratto risaliva al 2012, anno in cui alcune clausole contrattuali venivano rinegoziate.
Il Giudizio veniva incardinato al fine di ottenere la declaratoria di nullità parziale del contratto ai sensi dell’art. 1422 c.c., nonché l’accertamento negativo del saldo finale, con conseguente richiesta di condanna dell’Istituto di Credito alla ripetizione dell’indebito oggettivo, giusto il disposto dell’art. 2033 c.c.
Al riguardo, parte attrice allegava che: 1) la clausola relativa agli interessi debitori avrebbe dovuto essere dichiarata nulla in quanto per la determinazione del tasso si rifaceva al c.d. “uso piazza”; 2) la clausola che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi avrebbe dovuto essere dichiarata nulla in quanto basata su usi negoziali, e dunque in mancanza di apposita convenzione posteriore alla scadenza degli interessi.
In relazione al primo motivo di doglianza, il Tribunale di Lecce ha incidentalmente affrontato la questione relativa alla “prova” del saldo iniziale del conto corrente.
Sul punto, come è ben noto, l’art. 119, comma 4, TUB, in tema di trasparenza bancaria, pone in capo alla Banca l’obbligo di consegnare al Cliente «entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni».
Siffatta disposizione (che secondo la dottrina maggioritaria attribuisce al Cliente un vero e proprio diritto potestativo) riconosce a chi ha interesse ad avviare un’azione nei confronti del proprio Istituto di Credito, il diritto ad ottenere tutta la documentazione relativa rapporto bancario prima di incardinare il relativo procedimento.
Senonché, nel caso (invero assai frequente) in cui il correntista non disponga di tutti gli estratti conto necessari per ricostruire il rapporto bancario, l’inadempimento della Banca dell’obbligo ex art. 119, comma 4, TUB determinerebbe l’impossibilità per l’attore di assolvere all’onere probatorio posto dall’art. 2967 c.c.
Per tali ragioni, e solo nell’ipotesi in cui il Cliente-attore dimostri di essersi tempestivamente attivato per ottenere la documentazione utile a ricostruire le movimentazioni in conto corrente, l’indisponibilità di tale documentazione non può produrre conseguenze negative per il correntista, nemmeno in relazione all’assolvimento dell’onere della prova.
Partendo da tale assunto, il Tribunale di Lecce, considerato che «la parte […] si è attivata per acquisire la documentazione mancante»[1], ha riconosciuto che «il ricalcolo del conto corrente deve avvenire facendo riferimento al “saldo zero” e non al saldo a debito del correntista risultante dal primo estratto-conto disponibile: la mancanza di prova delle operazioni contabili che hanno portato alla prima annotazione in conto conosciuta e la riconducibilità di tale omissione probatoria alla Banca che non ha esibito gli estratti-conto (nonostante richiesta del correntista ex art. 119 TUB) giustifica il ricorso a tale modalità di conteggio».
Fatta questa premessa, in punto di validità della clausola di determinazione degli interessi debitori, il Tribunale ha accolto la domanda formulata dal correntista non ravvedendovi nel riferimento al c.d. “uso piazza” il requisito di forma scritta richiesta dall’art. 1284, comma 3, c.c.[2]
In relazione alla seconda questione sollevata da parte attrice[3], il Tribunale di Lecce ha rilevato che «si deve rilevare anche d’ufficio la nullità della relativa clausola di previsione convenuta dalle parti, risultando ormai pacifico il principio di diritto secondo il quale la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente deve reputarsi nulla in quanto basata su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex artt. 1 e 8 delle preleggi al c.c.) come esige l’art. 1283 c.c., laddove prevede che l’anatocismo non possa ammettersi (salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) in mancanza di usi contrari»[4].
Aderendo a tale impostazione, il Giudice ha dichiarato nulla la clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, precisando al riguardo che in conseguenza della suddetta declaratoria «non è possibile sostituire l’anatocismo trimestrale con quello annuale», ancorché previsto per gli interessi attivi[5].
In applicazione degli assunti sopra riassunti, il Tribunale ha accolto la domanda formulata dall’attore, rideterminando il saldo del conto corrente a partire dal “saldo zero”, applicando gli interessi in misura legale e disapplicando la capitalizzazione degli interessi sino al 2012 (anno in cui veniva negoziata per iscritto).
Per tali motivi, l’Istituto di Credito veniva condannato alla restituzione degli importi indebitamente percepiti.
[1] In particolare, risultava dagli atti che la Banca non aveva risposto all’istanza formulata dal correntista ai sensi dell’art. 119, comma 4, TUB ed avente ad oggetto «copia dei contratti originari e di quelli successivi e di tutti gli estratti conto».
[2] Il tema è stato ampiamente dibattuto da dottrina e giurisprudenza. Significativa, sul punto, la Cass. Civ. 22179/2015, per la quale «in tema di contratto di conto corrente bancario, la clausola relativa agli interessi deve contenere la puntuale indicazione del tasso praticato e, ove esso sia convenuto come variabile, ai fini della sua esatta individuazione concreta, nel corso della vita del rapporto contrattuale, è necessario il riferimento a parametri che consentano la sua precisa determinazione, non essendo sufficienti generici riferimenti, come ad esempio i c.d. usi su piazza, dai quali non emerga con chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione».
[3] Nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e conseguente accertamento dell’illegittimità dell’anatocismo bancario applicato al rapporto de quo.
[4] La statuizione, sul punto, è suffragata dalla sentenza n. 21095/2004 resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
[5] In proposito, si rimanda alla sentenza resa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, n. 24418/2010, di cui si riporta un estratto «dichiarata la nullità della […] previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c. […], gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna».
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