Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 6 luglio 2022, n. 21429.
Massima redazionale
Con la recentissima ordinanza in oggetto, la Sesta Sezione Civile affronta il problema della competenza sulle cause in materia bancaria, che involgono la nullità dei contratti “a valle” di intese anticoncorrenziali e, ancor più specificamente, relative alle domande con le quali sia fatta valere la nullità di fideiussioni, azionate da Istituti di credito, riproduttive del modello ABI.
La giurisprudenza di legittimità, in tema di condotte anticoncorrenziali, ha assunto una posizione univoca a proposito del rapporto intercorrente tra le intese illecite situate “a monte” dell’attività negoziale singolarmente considerata e le stipulazioni dei contratti “a valle” di quelle intese. Tali contratti costituiscono applicazione concreta dell’intesa vietata; in particolare, è stato riconosciuto che spetta il risarcimento per tutti i contratti che costituiscano applicazione delle intese illecite, finanche se conclusi in epoca anteriore all’accertamento della loro illiceità, da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione del mercato di riferimento[1]. L’affermazione rappresenta un’inequivoca conferma del nesso funzionale intercorrente tra le stipulazioni “a valle” e l’intesa anticoncorrenziale vietata.
Tale legame, rilevante ai fini dell’accertamento dell’attuazione dell’intesa vietata, non può reputarsi irrilevante neppure per la determinazione della competenza, perché presuppone che la violazione della normativa in materia di antitrust assuma la veste di fatto costitutivo della nullità del contratto. In altre parole, la nullità predicata dal singolo contraente deriva dalla invalidità dell’intesa “a monte” della stipula della fideiussione, per contrarietà al diritto della concorrenza; pertanto, non può sostenersi che la qualità della specifica controversia, come attinente alla legge n. 287/1990, art. 33, venga poi meno. La necessità di valutare la coincidenza tra la fideiussione oggetto di causa e il testo frutto dell’intesa restrittiva della concorrenza richiede di estendere l’accertamento alla sorte dell’intesa restrittiva, che, dunque, finisce per rientrare nell’oggetto del processo.
Invero, in linea generale, fa parte dell’oggetto del processo tutto ciò che è individuato nella domanda come suo presupposto. Di talché, è errato sostenere che il processo nel quale si assuma la nullità della fideiussione, perché riproducente uno schema frutto di intese vietate dalla legislazione antitrust, non comprenda anche la valutazione di una tale illiceità. Proprio questo aspetto assume rilevanza in vista dell’attribuzione della competenza per materia.
A tal riguardo, le Sezioni Unite hanno sottolineato che la legge antitrust preveda norme aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovverosia chiunque abbia un interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata.
Non è, del pari, revocabile in dubbio che dinanzi a un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza il consumatore veda eluso il proprio diritto a una scelta effettiva tra prodotti potenzialmente concorrenti (di qualunque genere essi siano). Ne conseguono effetti in una duplice direzione: da un lato, il c.d. contratto “a valle” costituisce sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti; dall’altro, ove sia dedotto il danno da violazione dei relativi interessi (riconosciuti rilevanti dall’ordinamento), ai sensi dell’art. 2043 c.c., il consumatore finale ha azione ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli autori della collusione e tale azione (in quel caso di risarcimento del danno) implica l’accertamento della nullità dell’intesa, ai sensi dell’art. 33 l. n. 287/1990, al punto che la relativa cognizione è rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della Corte d’Appello[2].
Per determinare la competenza, occorre tenere presente le disposizioni del D.lgs. n. 3/2017, recante «Attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea», il cui art. 18, comma 1, lett. b), determina la competenza per materia della Sezione specializzata per le imprese. Ai sensi dell’art. 3 D.lgs. n. 168/2003, le Sezioni specializzate sono (per quanto qui rileva) competenti in materia di: «c) controversie di cui alla L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 33, comma 2» e «d) controversie relative alla violazione della normativa antitrust dell’Unione Europea». A sua volta, il D.lgs. n. 168/2003, all’art. 4, comma 1ter, introduce un regime specifico e inderogabile, per cui «per le controversie di cui all’art. 3, Corte di Cassazione – copia non ufficiale 7 di 7 comma 1, lett. c) e d), anche quando ricorrono i presupposti del comma 1-bis, che, secondo gli ordinari criteri di competenza territoriale e nel rispetto delle disposizioni normative speciali che le disciplinano, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari di seguito elencati, sono inderogabilmente competenti: (..) c) la sezione specializzata in materia di impresa di Napoli per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di corte d’appello di Campobasso, Napoli, Salerno, Bari, Lecce, Taranto (sezione distaccata), Potenza, Caltanissetta, Catania, Catanzaro, Messina, Palermo, Reggio Calabria».
[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 12.12.2017, n. 29810; Cass. Civ., Sez. Un., 04.02.2005, n. 2207.
[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 2207/2005.
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