Nota a Corte Suprema degli Stati Uniti, causa Shurtleff et al. v. City of Boston et al., 2 maggio 2022.
Massima redazionale
Con la recentissima sentenza in oggetto, la Corte Suprema degli Stati Uniti si è espressa sul tema del confine tra libertà di manifestazione del pensiero e c.d. «government speech». Nella pronuncia viene in considerazione la clausola della libertà di espressione del Primo Emendamento, in relazione a simboli (nel caso di specie, una bandiera) suscettibili di veicolare contenuti espressivi di una volontà politica, laddove collocati su edifici governativi. Il Sig. Harold Shurtleff, Direttore di un Ente di beneficienza di ispirazione religiosa, si era visto negare il permesso di issare la bandiera rappresentativa dei valori cristiani sulla sede del municipio di Boston, in occasione di un evento (autorizzato) tenutosi nella piazza antistante l’edificio. Siffatto rifiuto era stato basato sul rilievo che l’autorizzazione all’apposizione di un emblema religioso avrebbe integrato gli estremi per ravvisare una violazione della clausola del Primo Emendamento, che proibisce l’istituzione di religioni di Stato (c.d. “Establishment Clause”).
La Corte Distrettuale aveva ritenuto legittimo il diniego dell’autorità amministrativa, non lesivo della libertà di espressione, in quanto l’apposizione della bandiera su un pennone collocato su un edificio pubblico equivaleva a un «government speech». La pronuncia era stata confermata in appello.
Ciò premesso, i giudici supremi hanno affermato che, al fine di distinguere se uno specifico messaggio, come quello in oggetto, rappresenti un’espressione del pensiero del governo o una manifestazione da parte di soggetti privati, deve essere effettuata una «valutazione olistica», che deve contemperare tutti i possibili elementi probatori. Tra di essi, la funzione e la storia pregressa della modalità specifica di diffusione del pensiero, la percezione che essa ha sull’opinione pubblica e la circostanza che l’Autorità pubblica manifesti la volontà di condividere il messaggio veicolato. In tale circostanza, la Corte ha concluso che l’apposizione delle bandiere durante le cerimonie e gli eventi pubblici precedentemente realizzati non si fosse accompagnata a un attivo coinvolgimento dell’amministrazione per la relativa selezione. Pertanto, issare le bandiere sul pennone dell’edificio pubblico non poteva considerarsi un «government speech», quanto piuttosto una libera manifestazione di pensiero da parte di soggetti privati, ed il rifiuto opposto agli organizzatori era da ritenersi una violazione della Clausola di Espressione del Primo Emendamento.
Qui la sentenza.