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Nota a ABF, Collegio di Roma, 1 marzo 2022, n. 3721.

di Donato Giovenzana

 

Secondo il Collegio romano non si può fare a meno di rilevare che, in merito alla sorte dei crediti ereditari nell’ipotesi di successione mortis causa con pluralità di eredi, si registrano, in giurisprudenza e in dottrina, due diversi orientamenti.

Da un lato, si afferma che i crediti del de cuius dovrebbero seguire lo stesso destino dei debiti, dividendosi automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, in forza di quanto prevede il noto principio secondo il quale nomina et debita hereditaria ipso iure dividuntur.

Secondo un diverso indirizzo, invece, i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si dividerebbero automaticamente, ma entrerebbero a far parte della comunione ereditaria; ciò in quanto l’articolo 752 cod. civ., che prevede il principio tradizionale della ripartizione automatica tra coeredi, si riferirebbe unicamente ai debiti ereditari.

In tal senso si è espressa – secondo il Collegio arbitrale capitolino – anche la prevalente giurisprudenza di legittimità, la quale, in più occasioni, ha statuito che “in tema di divisione di beni ereditari le porzioni devono essere formate comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, in proporzione dell’entità di ciascuna quota. I crediti non si dividono automaticamente ma vengono ripartiti tra i coeredi con la divisione di tutta la massa ereditaria, per cui è vietato al singolo partecipe di compiere gli atti individuali dispositivi dei crediti ed è perciò necessario che qualsiasi atto che a essi si riferisca sia posto in essere congiuntamente da tutti i coeredi” (così, testualmente, Cass., 25.5.2007 n. 12192; nel medesimo senso, Cass. 21.1.2000 n. 640, secondo la quale “I crediti del de cuius, a differenza dei debiti (art. 752 c.c.), non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, come è dato desumere dalle disposizioni degli art. 727, 757 e 760 c.c.; e, poiché il mantenimento della comunione ereditaria dei crediti sino alla divisione soddisfa l’esigenza di conservare l’integrità della massa e di evitare qualsiasi iniziativa individuale idonea a compromettere l’esito della divisione stessa, i compartecipi assumono la veste di litisconsorti necessari nei giudizi diretti all’accertamento dei crediti ereditari ed al loro soddisfacimento”; in senso conforme cfr., altresì, Cass. 13.10.1992 n. 11128).

I crediti, dunque, farebbero parte della comunione, come espressamente stabilito dall’articolo 727 cod. civ., ai sensi del quale, come si è ricordato, le porzioni ereditarie devono essere formate comprendendo nelle stesse, oltre ai beni immobili e mobili, anche i crediti.

Pur dovendo rilevare che la questione è tutt’altro che pacifica, questo Collegio ritiene opportuno aderire alla tesi prevalente espressa in dottrina e in giurisprudenza, ovvero quella secondo la quale i crediti ereditari non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle proprie quote, ma entrano a far parte della comunione ai sensi degli articoli 727, 757 e 760 cod. civ., venendo ripartiti tra gli stessi al momento della divisione dell’intera massa ereditariaLa scelta del legislatore di mantenere la comunione ereditaria dei crediti fino alla divisione, del resto, soddisfa proprio le suddette esigenze: da un lato, quella di conservare l’integrità della massa ereditaria e, dall’altro lato, quella di evitare che una qualsiasi iniziativa individuale possa compromettere l’esito della divisione stessaDa quanto appena rilevato consegue il divieto, per il singolo coerede, di compiere atti individuali dispositivi dei predetti crediti: un solo coerede, infatti, non potrà agire unicamente in nome proprio per riscuotere in tutto o in parte il credito (o una parte del saldo del conto corrente). È pur vero che la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24657/2007, per quanto abbia affermato che i crediti ereditari siano oggetto di contitolarità indivisa da parte degli eredi sino al momento della divisione, ha ammesso il singolo coerede ad agire per la riscossione di una parte del credito proporzionale alla propria quota ereditaria, senza necessità di litisconsorzio.

Tuttavia, come l’ABF ha avuto occasione di notare, “Il corollario tratto dalla Suprema Corte lascia molto perplessi anche perché non distingue le iniziative individuali di tutela, volte a proteggere il bene comune o ad accertare la sussistenza di crediti, che sono suscettibili di avvantaggiare anche gli altri coeredi che non le hanno promosse, da iniziative individuali che non perseguono una funzione di protezione o di accertamento ma implicano l’appropriazione e, di fatto, la liquidazione di tutto il credito o anche di una sola parte di esso, nei limiti della propria quota. Soprattutto quando la controversia – è il caso di specie – riguarda crediti pecuniari, una iniziativa del singolo coerede mirata a riscuotere gli stessi, lungi dall’avvantaggiare la massa ereditaria, rischia di pregiudicare le ragioni degli altri coeredi; né vale obiettare che il coerede che agisce nei limiti della sua quota non può, per definizione, pregiudicare gli interessi degli altri partecipanti alla comunione ereditaria: il pregiudizio è da ravvisare nel fatto che, consentendo al singolo coerede di riscuotere un credito ancorché pro quota e, più in generale, di compiere atti dispositivi senza il coinvolgimento degli altri coeredi, si arreca un vulnus all’integrità della massa e si rischia di compromettere l’esito della divisione” (così, Collegio di Napoli, dec. 7591/2015).

In conclusione, la liquidazione del saldo residuo del conto corrente della de cuius potrà essere eseguita dall’intermediario solamente sulla base di disposizioni congiuntamente impartite da tutti gli eredi.

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La “singolarità” della decisione in commento si evidenzia in ragione non solo del contrasto con precedenti scrutini dello stesso Collegio arbitrale in subjecta materia (ex multis ABF Roma  n. 13031 del 27 luglio 2020; ABF Roma n. 15382 del 3 settembre 2020) ma anche e soprattutto perché sembra non tener in debito conto la significativa evoluzione giurisprudenziale di legittimità nonchè dello stesso Collegio di coordinamento ABF nel frattempo intervenuta.

Ed invero viene del tutto sottaciuta in primis l’Ordinanza 21 settembre – 20 novembre 2017, n. 27417, con cui la Suprema Corte ha precisato che ogni coerede può agire anche per l’adempimento del credito ereditario pro quota, senza che la parte debitrice possa opporsi adducendo il mancato consenso degli altri coeredi, dovendo trovare risoluzione gli eventuali contrasti insorti tra gli stessi nell’ambito delle questioni da affrontare nell’eventuale giudizio di divisione.

Va poi debitamente ricordato e richiamato che in data 10 ottobre 2018, il Collegio Abf di Bologna ha sottoposto al Collegio di coordinamento la seguente questione di diritto:

se, a fronte della caduta del credito in comunione, giusta l’apertura della successione a causa di morte del creditore, sussista o meno il potere del singolo coerede di pretendere l’adempimento dell’obbligazione pro quota ovvero per l’intero, senza che il debitore possa rifiutare l’adempimento ovvero eccepire il difetto di legittimazione deducendo la necessità del litisconsorzio”.

Orbene secondo il Collegio di coordinamento detta questione di diritto, sottopostagli dal Collegio Abf di Bologna, ha comportato l’analisi di due distinti profili, il primo sostanziale ed il secondo processuale:

  1. se i crediti del de cuius si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote e, quindi, opera nel nostro ordinamento il principio di diritto romano in base al quale nomina et debita ipso iure dividuntur, oppure entrino a far parte pro indiviso della comunione ereditaria;
  2. se i coeredi assumono le vesti di litisconsorti necessari nei giudizi diretti all’accertamento dei crediti ereditari ed al loro soddisfacimento.

In esito ad un’approfondita e diacronica disamina della giurisprudenza di legittimità – in particolare, sentenza della Sezioni Unite n. 24657/2007, ordinanza n. 27417 del 20/11/2017 – nonché delle decisioni assunte dai vari Collegi ABF  – in particolare quella del Collegio di Roma n. 7591/15 – il Collegio di coordinamento ha ritenuto che l’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte imponesse una rivisitazione di quella dei Collegi dell’ABF, al fine di evitare interpretazioni divergenti delle stesse norme che andrebbero a detrimento della certezza del diritto.

Per il che:

  1. se, per un verso, ha confermato l’adesione al consolidato e ben argomentato indirizzo della Suprema Corte che afferma che il credito del dante causa caduto in successione viene ad essere parte della comunione ereditaria e non si divide automaticamente tra i coeredi,
  2. per converso, ha ritenuto  di doversi discostare dall’indirizzo dei Collegi territoriali con riferimento all’esistenza di un litisconsorzio necessario tra i coeredi che intendano far valere il credito ereditato, poiché tale indirizzo contrasta con la sentenza delle Sezioni Unite n. 24657/2007 e ancor più perché incompatibile con le più liberali conclusioni raggiunte dall’ordinanza n. 27417/2017, la quale ammette l’azione individuale del coerede anche in assenza della dimostrazione che l’azione stessa è promossa anche nell’interesse degli altri coeredi.

Il Collegio di coordinamento ha ritenuto, poi, che l’esigenza di tutelare l’intermediario resistente da condotte abusive del coerede che promuova il ricorso senza coinvolgere gli altri coeredi trovi adeguato soddisfacimento nella circostanza che il pagamento che l’intermediario fa nelle mani del coerede ricorrente ha efficacia liberatoria anche nei confronti degli altri, essendo tale liberazione corollario necessario della legittimazione attiva spettante al singolo coerede (arg. ex art. 1105, comma 1, c.c.).

Per il che ha, conclusivamente, in subjecta materia, formulato il seguente principio di diritto:

Il singolo coerede è legittimato a far valere davanti all’ABF il credito del de cuius caduto in successione sia limitatamente alla propria quota, sia per l’intero, senza che l’intermediario resistente possa eccepire l’inammissibilità del ricorso deducendo la necessità del litisconsorzio né richiedere la chiamata in causa degli altri coeredi. Il pagamento compiuto dall’intermediario resistente a mani del coerede ricorrente avrà efficacia liberatoria anche nei confronti dei coeredi che non hanno agito, i quali potranno far valere le proprie ragioni solo nei confronti del medesimo ricorrente” (Dec. n. 27252/2018).

Va altresì rilevato che da allora la pletora dei Collegi territoriali ha aderito pressochè graniticamente a tale principio di diritto.

 

Qui la decisione.

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