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Nota a ABF, Collegio di Milano, 11 gennaio 2022, n. 657.

di Donato Giovenzana

 

Secondo il Collegio arbitrale meneghino, al di là di ogni valutazione del grado di diligenza esigibile dalla banca negoziatrice nella verifica di difformità riguardanti gli aspetti esteriori del titolo, appare incontestabile che, nel caso di specie, la banca negoziatrice ha rilasciato al ricorrente, che ne aveva formulato espressa richiesta, la conferma di bene emissione, verificata attraverso una semplice telefonata a quella che riteneva essere la filiale della banca emittente. Questa condotta non appare conforme allo statuto comportamentale del bonus argentarius. E’, infatti, principio consolidato del diritto vivente (cfr. da ultimo Collegio di coordinamento n. 2097/2020; per la giurisprudenza di legittimità, tra le altre, Cass. nn. 10492/2011, 24084/2008) che “l’intermediario che sia richiesto dal prenditore della conferma di bene emissione dell’assegno mediante contatto telefonico con la filiale dell’intermediario emittente, può legittimamente decidere di negare la propria assistenza al cliente, senza incorrere in responsabilità, purché il diniego avvenga in modo trasparente e conforme ai principi della correttezza; e può anche fornire tale assistenza senza incorrere in responsabilità, purché dichiari contestualmente al cliente, in modo espresso e inequivoco, che non intende assumerla in alcun modo, non potendo fornire assicurazioni di sorta sul buon fine della operazione. Ma ove la banca semplicemente acceda alla richiesta del cliente, il riscontro con la banca emittente deve essere effettuato secondo i criteri della diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, c.c. (…) la quale esige che la richiesta all’emittente di bene emissione sia almeno accompagnata da una conferma scritta, restando altrimenti la negoziatrice responsabile per il legittimo affidamento ingenerato nel cliente circa la genuinità dell’assegno (cfr. Collegio di Coordinamento n.7283/2018; Collegio di Torino n.10545/2019; Collegio di Roma n.20544/2019)”.

Da ciò solo, tuttavia, non possono farsi automaticamente derivare conseguenze risarcitorie in capo all’intermediario negoziatore.

Il Collegio di Coordinamento, nella decisione n. 20978/2020, ha infatti opportunamente chiarito che “la responsabilità della banca negoziatrice non consiste comunque (…) nel mancato pagamento di un assegno falso, ma proprio nel fatto che, per effetto della dichiarazione di bene emissione dell’assegno poi rivelatosi falso, il cliente si è privato di un bene per il quale, qualunque fosse il suo valore intrinseco, aveva concordato un “prezzo” che in definitiva non è entrato nella suo patrimonio. Ciò vale a dire che il comportamento colposo della banca ha concausato civilisticamente la produzione del danno (comprensivo del lucro cessante) derivante dalla truffa ordita dal terzo acquirente, pari appunto al prezzo contrattuale del bene ceduto, danno di cui il truffatore potrebbe essere chiamato a rispondere in ogni sede, ancorché egli fosse psicologicamente non particolarmente interessato a una trattativa al ribasso della somma indicata nella offerta comunicata via internet o altrimenti concordata contrattualmente”.

Su queste premesse il predetto Collegio ha enunciato il principio di diritto secondo cui,

nel caso di vendita di un bene di cui il venditore si sia spogliato facendo legittimo affidamento sulla dichiarazione di bene emissione dell’assegno circolare, poi risultato falso, consegnatogli dall’acquirente in pagamento del prezzo, la banca negoziatrice che abbia ingenerato tale affidamento è tenuta al pagamento della somma corrispondente al valore facciale del titolo”.

E’ del tutto evidente, allora, che, muovendo da questa prospettiva, al di là di ogni altra pur possibile considerazione sulle dinamiche dell’operazione di vendita, preliminare ad ogni successiva statuizione in termini risarcitori contro l’intermediario negoziatore del titolo è l’acquisizione della prova dell’effettiva consegna all’acquirente del bene compravenduto da parte del venditore, che è gravato del relativo onere.

Nel caso di specie, dalle evidenze in atti non risulta in alcun modo che gli orologi (di grande valore), asseritamente pagati con l’assegno contraffatto, siano stati effettivamente consegnati al truffatore, né detta prova può essere ricavata per via indiziaria. Ne consegue che, pur non avendo l’intermediario convenuto fatto un buon governo della diligenza professionale impostagli dall’art. 1176, comma 2, c.c. nella negoziazione dell’assegno, il ricorso non può essere accolto.

 

Qui la decisione.

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